Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29747 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29747 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato ad Andria (BAT) il DATA_NASCITA NOME, nato a Ruvo di Puglia (Ba) il DATA_NASCITA NOME, nato ad Andria (BAT) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/6/2022 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; sentita la relazione svolta ‘dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibili i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16/6/2022, la Corte di appello di Bari, in riforma della pronuncia emessa il 19/6/2019 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trani, rideterminava nella misura del dispositivo la pena irrogata a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, confermando nel resto, anche quanto a NOME COGNOME, la decisione emessa con riguardo a plurime condotte di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
è
Propongono ricorso per cassazione COGNOME, COGNOME ed COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
COGNOME e COGNOME:
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla mancata esclusione della recidiva. In ordine ad entrambi gli imputati, la motivazione della sentenza risulterebbe viziata quanto al motivo di gravame con il quale si chiedeva escludersi l’aggravante soggettiva: l’argomento speso, infatti, non conterrebbe alcuna verifica circa l’esistenza di una relazione qualificata tra i precedenti penali (peraltro risalenti a diversi anni prima rispetto ai fatti in contestazione) e i rea riconosciuti in questa sede, così da attribuire a questi ultimi l’espressione di una maggiore pericolosità sociale e capacità criminale, come da costante giurisprudenza di legittimità;
lo stesso vizio è poi lamentato in ordine al trattamento sanzionatorio, che avrebbe potuto essere più lieve per rapportare razionalmente la pena al fatto ed alla sua concreta offensività, nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali in materia.
NOME:
erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. La sentenza avrebbe dovuto applicare una pena più lieve, in quanto tutti i parametri della norma avrebbero dato atto di una vicenda non grave, specie con riferimento all’assenza di prova in punto di quantità delle sostanze cedute.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi risultano manifestamente infondati.
Muovendo da quelli – distinti ma identici nel contenuto – proposti da COGNOME e COGNOME (che, peraltro, avevano rinunciato a molti dei motivi ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.), il Collegio rileva che la motivazione dell sentenza quanto alla riconosciuta recidiva non merita censura, perché sostenuta da un argomento non solo adeguato, ma anche coerente con la costante giurisprudenza di legittimità.
4.1. In particolare, è stato innanzitutto ribadito che – per riconoscere l’aggravante soggettiva – la reiterazione dell’illecito deve essere effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenuto conto della natura dei reati, della qualità dei comportamenti, dell’offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità tra le stesse, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza.
4.2. Tanto premesso, la sentenza ha poi evidenziato, quanto a COGNOME, che questi – ritenuto qui colpevole di ben 22 episodi di cessione di stupefacente, anche di tipo pesante – risultava già attinto da un precedente specifico, aggravato ai sensi dell’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 (sanzionato ex art. 444 cod. proc. pen. – in 4 anni, 2 mesi di reclusione e 20mila euro di multa) e commesso nel 2007, quindi in epoca non particolarmente risalente rispetto ai numerosi fatti oggetto del presente giudizio, tutti commessi tra il novembre 2013 e l’aprile 2014. La Corte di appello, pertanto, ha adeguatamente posto in correlazione i reati di cui alle due sentenze, così evidenziando che le condotte sanzionate in questa sede, lette anche alla luce delle precedenti, denotavano un’allarmante pericolosità del soggetto. Già il Tribunale, peraltro, aveva sottolineato che il COGNOME – così come il NOME – aveva dimostrato di avere contatti con le organizzazioni criminali locali, fornendo stupefacente ad altri pusher, così evidenziando una significativa capacità criminale.
4.3. Le stesse conclusioni possono poi essere confermate quanto a NOME. La sentenza ha evidenziato che sul ricorrente gravano precedenti penali remoti per reati contro il patrimonio, ma anche ripetute condanne per condotte in tema di stupefacenti (in particolare, un reato commesso nel settembre 2006, aggravato ai sensi dell’art. 80, d.P.R. n. 309 del 1990; sanzionato con 3 anni e 5 mesi di reclusione, oltre alla multa; un altro reato commesso nel 2007, sanzionato in 3 anni e 4 mesi di reclusione, oltre alla multa; ben 23 reati commessi ancora nel 2006 sanzionati con la pena di 4 anni e 5 mesi di reclusione, oltre alla multa). Alla luce di questi precedenti, e richiamato il ruolo avuto dal ricorrente nella vicenda in esame, nella quale è stato condannato per circa 10 episodi di cessione di stupefacente, la Corte di appello ha dunque confermato l’aggravante soggettiva con argomento del tutto solido e logico, come tale non censurabile.
Manifestamente infondata, dunque inammissibile, è poi la comune doglianza relativa al trattamento sanzionatorio, formulata in termini del tutto generici, compresi i richiami normativi e giurisprudenziali, e senza alcun confronto con la motivazione della sentenza sul punto: questa, per contro, ha indicato con ampiezza e congruità le ragioni della pena concretamente irrogata, reato per reato, alla luce della gravità delle condotte, della personalità dell’imputato e del comportamento processuale, dunque con argomento privo del vizio genericamente dedotto.
Alle stesse conclusioni, infine, la Corte giunge quanto al ricorso proposto da COGNOME, con oggetto esclusivo l’entità della pena. Anche sul punto, infatti, la censura si pone in termini del tutto vaghi, lamentando che la sanzione irrogata dalla Corte di appello non sarebbe “conforme e coerente alla previsione dell’art. 133 cod. pen.”
6.1. Neppure una considerazione, dunque, sulla motivazione resa sul punto nella sentenza impugnata, reato per reato, ancora con adeguato esame delle condotte e della personalità dell’imputato.
I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’11 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente