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Recidiva stupefacenti: la Cassazione conferma la pena

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di tre imputati per spaccio di stupefacenti. La sentenza conferma che la recidiva stupefacenti, se ben motivata dal giudice collegando i precedenti specifici alla pericolosità attuale del reo, giustifica un aumento di pena, respingendo le doglianze generiche sul trattamento sanzionatorio.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Stupefacenti: Quando i Precedenti Contano Davvero

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 29747 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la valutazione della recidiva stupefacenti. Questa decisione chiarisce i criteri con cui i precedenti penali di un imputato possono legittimamente portare a un inasprimento della pena, sottolineando l’importanza di una motivazione solida e non automatica da parte del giudice.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla decisione di una Corte di Appello che, pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva confermato la responsabilità penale di tre individui per numerosi episodi di cessione di sostanze stupefacenti. La Corte territoriale aveva rideterminato l’entità della pena, ma aveva mantenuto fermo l’impianto accusatorio e le conclusioni sulla colpevolezza. Contro questa decisione, i tre condannati hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni relative alla loro condanna.

I Motivi del Ricorso: Focus sulla Recidiva Stupefacenti

I ricorsi presentati alla Suprema Corte si concentravano principalmente su due aspetti.

La contestazione della recidiva

Due degli imputati hanno lamentato una motivazione carente e illogica riguardo alla mancata esclusione della recidiva. Secondo le loro difese, la Corte d’Appello non aveva adeguatamente verificato l’esistenza di una “relazione qualificata” tra i precedenti penali, peraltro risalenti nel tempo, e i reati oggetto del processo. Mancava, a loro dire, la prova che i nuovi reati fossero espressione di una maggiore pericolosità sociale e capacità criminale, come richiesto dalla giurisprudenza costante per giustificare l’applicazione dell’aggravante.

La richiesta di una pena più mite

Parallelamente, gli stessi ricorrenti e un terzo imputato hanno criticato il trattamento sanzionatorio. Essi sostenevano che la pena inflitta fosse eccessivamente severa e non proporzionata alla reale offensività dei fatti. In particolare, uno degli imputati ha invocato l’erronea applicazione dell’art. 133 del codice penale, ritenendo che una corretta valutazione di tutti i parametri (gravità del danno, intensità del dolo, ecc.) avrebbe dovuto condurre a una pena più lieve, specialmente in assenza di prove sulla quantità esatta delle sostanze cedute.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi manifestamente infondati e, di conseguenza, inammissibili. Le argomentazioni della Corte sono state precise e articolate.

In primo luogo, riguardo alla recidiva stupefacenti, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: per applicare l’aggravante, la reiterazione del reato deve essere un sintomo effettivo di “riprovevolezza e pericolosità”. Il giudice deve quindi compiere una valutazione complessiva che tenga conto della natura dei reati, della distanza temporale, dell’omogeneità delle condotte e di ogni altro parametro utile a definire la personalità del reo.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse operato correttamente. Per uno degli imputati, è stato valorizzato un precedente specifico e aggravato per spaccio, commesso in un’epoca non troppo remota rispetto ai fatti attuali (2007 contro 2013-2014), evidenziando una “allarmante pericolosità”. Inoltre, si è tenuto conto dei contatti con organizzazioni criminali locali. Per un altro imputato, la Corte ha sottolineato la presenza di ripetute condanne per reati in materia di stupefacenti, oltre a precedenti per reati contro il patrimonio. Questi elementi, uniti al ruolo svolto nella vicenda, rendevano la motivazione sull’aggravante “solida e logica”.

In secondo luogo, la Corte ha respinto le critiche sul trattamento sanzionatorio, definendole generiche e vaghe. I ricorrenti, secondo la Cassazione, non si erano confrontati specificamente con le ampie e congrue motivazioni della sentenza d’appello, che aveva giustificato la pena reato per reato, alla luce della gravità delle condotte, della personalità degli imputati e del loro comportamento processuale.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione si conclude con la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La pronuncia rafforza un importante principio: la recidiva non è un automatismo, ma uno strumento che richiede al giudice un’attenta e puntuale motivazione. Quando i precedenti penali, specialmente in un settore delicato come quello degli stupefacenti, dimostrano una persistente inclinazione a delinquere e una concreta pericolosità sociale, l’applicazione dell’aggravante e l’irrogazione di una pena severa trovano piena legittimità.

Quando è legittimo applicare l’aggravante della recidiva in casi di spaccio di stupefacenti?
È legittimo quando la reiterazione del reato è un sintomo effettivo di riprovevolezza e pericolosità. Il giudice deve valutare la natura dei reati, la qualità dei comportamenti, l’offensività delle condotte, la distanza temporale e il livello di omogeneità tra i reati passati e quelli attuali, oltre ad ogni altro parametro che definisca la personalità del reo.

Perché i ricorsi contro la severità della pena sono stati respinti?
Sono stati respinti perché ritenuti manifestamente infondati e formulati in termini del tutto generici. I ricorrenti non si sono confrontati in modo specifico con la motivazione della sentenza impugnata, la quale aveva indicato con ampiezza e congruità le ragioni della pena irrogata, tenendo conto della gravità delle condotte, della personalità dell’imputato e del comportamento processuale.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Secondo la sentenza, alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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