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Recidiva stupefacenti: Cassazione e motivazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. La Corte ha confermato la valutazione sulla recidiva stupefacenti, basata sui plurimi precedenti specifici e sulla pericolosità sociale del soggetto, che aveva commesso il reato durante la detenzione domiciliare. La decisione sottolinea la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena, se adeguatamente motivata.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Stupefacenti: Quando la Condanna è Giustificata

L’applicazione della recidiva stupefacenti è un tema cruciale nel diritto penale, che bilancia la necessità di punire il singolo reato con la valutazione della pericolosità sociale di chi lo commette. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che guidano i giudici in questa delicata valutazione, confermando la condanna di un soggetto per detenzione di sostanze illecite. L’analisi del caso offre spunti importanti sulla motivazione della pena e sui limiti del sindacato di legittimità.

Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso in Cassazione

Il caso riguarda un individuo condannato in primo grado e in appello a otto mesi di reclusione e 2.000 euro di multa per il reato di detenzione di stupefacenti di lieve entità, commesso mentre si trovava già in regime di detenzione domiciliare. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando due vizi principali: l’errata applicazione della recidiva e una motivazione insufficiente riguardo alla quantificazione della pena.

L’Analisi della Corte sulla Recidiva Stupefacenti

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso, ritenendolo inammissibile. I giudici di legittimità hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente motivato la decisione di applicare l’aggravante della recidiva. La valutazione non è stata automatica, ma basata su elementi concreti:

1. Plurimi precedenti penali: L’imputato aveva già diverse condanne passate in giudicato.
2. Specificità dei reati: Due di queste condanne riguardavano proprio reati in materia di stupefacenti, evidenziando una tendenza a delinquere nello stesso settore.
3. Vicinanza temporale: La commissione del nuovo reato a breve distanza dai precedenti indicava una continuità nell’agire illecito.

Questi elementi, nel loro insieme, hanno portato la Corte a concludere che la reiterazione del reato fosse un sintomo di pervicacia criminale e di una concreta pericolosità sociale. Di fronte a una motivazione così argomentata, il ricorso della difesa è apparso generico e non in grado di confutare le conclusioni dei giudici di merito.

La Discrezionalità del Giudice nella Commisurazione della Pena

Anche il secondo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, è stato giudicato inammissibile. La difesa lamentava una carenza di motivazione nella determinazione della pena. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la scelta della pena, all’interno della cornice edittale fissata dalla legge, è espressione del potere discrezionale del giudice di merito.

Il Principio della Motivazione Adeguata

Il controllo della Corte di Cassazione su tale discrezionalità non è un riesame nel merito, ma un sindacato di legittimità. È ammissibile solo se la decisione del giudice appare frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva giustificato la pena inflitta non solo sulla base della diversità delle sostanze stupefacenti detenute, ma anche e soprattutto sulla gravità del fatto che il reato fosse stato commesso durante la detenzione domiciliare, una misura alternativa al carcere che presuppone un rapporto di fiducia con l’ordinamento.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la sua decisione su due pilastri argomentativi. In primo luogo, ha validato l’impianto motivazionale della Corte d’Appello riguardo alla recidiva. La valutazione dei precedenti specifici, omogenei e ravvicinati nel tempo è stata ritenuta un indicatore corretto di una maggiore capacità a delinquere e pericolosità sociale, giustificando così l’applicazione dell’aggravante. In secondo luogo, ha riaffermato l’ampio potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione della pena. La motivazione, sebbene sintetica, era logica e ancorata a criteri legali (art. 133 c.p.), come la gravità del reato accentuata dalla commissione durante una misura alternativa alla detenzione. Non ravvisando né arbitrio né illogicità, la Corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma che la recidiva non è un automatismo, ma richiede una valutazione concreta da parte del giudice sulla personalità del reo. Quando tale valutazione è supportata da elementi specifici, come la natura e la frequenza dei precedenti, essa è difficilmente censurabile in sede di legittimità. Analogamente, la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il cui operato è sindacabile solo in presenza di vizi logici evidenti. La decisione impone al condannato, oltre al pagamento delle spese processuali, il versamento di una somma alla Cassa delle Ammende, una conseguenza tipica della declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Quando il giudice può applicare l’aggravante della recidiva?
Il giudice può applicare la recidiva quando la reiterazione del reato, valutata in concreto, è sintomo di una riprovevolezza della condotta e di una pericolosità sociale dell’autore. Devono essere considerati elementi come la natura dei precedenti reati e la vicinanza temporale con il nuovo illecito.

In che modo il giudice decide l’ammontare della pena?
Il giudice determina la pena esercitando il proprio potere discrezionale, basandosi sui criteri indicati nell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole). La motivazione può essere anche sintetica, purché non sia arbitraria o illogica.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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