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Recidiva spaccio: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di stupefacenti. La decisione si fonda sulla corretta applicazione dell’aggravante della recidiva spaccio da parte dei giudici di merito, la cui motivazione, basata sui numerosi precedenti specifici e sulla persistenza della condotta criminale, è stata ritenuta logica e non sindacabile in sede di legittimità.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Spaccio: Quando la Motivazione dei Giudici Rende il Ricorso Inammissibile

L’applicazione dell’aggravante della recidiva spaccio rappresenta un punto cruciale nella determinazione della pena per i reati legati agli stupefacenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione compiuta dai giudici di merito, confermando come una motivazione logica e coerente renda il ricorso dell’imputato manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino, che aveva confermato la sua responsabilità penale per il reato di spaccio di stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90. L’imputato contestava in particolare la determinazione del trattamento sanzionatorio, ritenendo ingiustificata l’applicazione dell’aggravante della recidiva.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. Secondo i giudici di legittimità, la decisione impugnata era sorretta da un apparato argomentativo solido e conferente, che adempiva pienamente all’obbligo di motivazione riguardo alla pena inflitta. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: il Ruolo dei Precedenti nella Recidiva Spaccio

Il cuore della decisione risiede nell’analisi delle motivazioni fornite dai giudici di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione ha evidenziato come sia la Corte d’Appello che il Tribunale avessero motivato in modo approfondito l’applicazione della contestata recidiva. Tale scelta non era stata arbitraria, ma fondata su elementi concreti e specifici:

1. Pluralità di precedenti specifici e reiterati: I giudici avevano tenuto conto della presenza di numerose condanne precedenti per reati della stessa indole (art. 73, comma 1, d.P.R. 309/90), dimostrando una chiara tendenza a delinquere nel settore degli stupefacenti.
2. Reiterazione delle condotte nel tempo: La persistenza nel commettere reati di spaccio nel corso del tempo era stata interpretata come un chiaro indicatore della spiccata capacità a delinquere dell’imputato e della sua propensione a perseverare nell’attività illecita.

Questi elementi, secondo la Corte, non solo giustificano, ma impongono una valutazione di maggiore pericolosità sociale, che è proprio il presupposto dell’aggravante della recidiva prevista dall’art. 99 del codice penale. Le argomentazioni dei giudici di merito sono state ritenute congrue, logiche e prive di vizi evidenti, sfuggendo così al sindacato della Cassazione, che non può riesaminare il merito delle valutazioni fattuali quando queste sono adeguatamente motivate.

Le Conclusioni: i Limiti del Giudizio di Legittimità

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la valutazione sulla determinazione della pena e sull’applicazione delle aggravanti, come la recidiva spaccio, è di competenza esclusiva dei giudici di merito. Il ruolo della Corte di Cassazione è quello di verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione, non di sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato le prove e conosciuto direttamente il caso.

Quando la motivazione è, come nel caso di specie, immune da vizi logici e giuridici, il ricorso che la contesta si rivela privo di fondamento. La declaratoria di inammissibilità diventa quindi l’esito inevitabile, con le conseguenti sanzioni economiche a carico del ricorrente, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché manifestamente infondato. La Corte di Cassazione ha stabilito che la motivazione della Corte d’Appello riguardo l’applicazione della recidiva era logica, coerente e sufficiente, e pertanto non soggetta a riesame nel merito in sede di legittimità.

Quali elementi hanno giustificato l’applicazione della recidiva nel caso di spaccio?
L’applicazione della recidiva è stata giustificata sulla base di due elementi principali: la pluralità di precedenti condanne specifiche e reiterate per reati di spaccio e la persistenza di tali condotte criminali nel tempo. Questi fattori hanno dimostrato una spiccata capacità a delinquere e una maggiore pericolosità sociale dell’imputato.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
A norma dell’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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