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Recidiva reiterata: valutazione concreta del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d’Appello che applicava l’aumento di pena per recidiva reiterata basandosi unicamente sul casellario giudiziale. La Suprema Corte ha stabilito che il giudice deve effettuare una valutazione concreta e specifica della pericolosità del reo, considerando la natura dei reati, la distanza temporale e l’omogeneità dei comportamenti, non potendosi limitare a un mero automatismo. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame sul punto.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Reiterata: Non Basta il Casellario, Serve una Valutazione Concreta

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30914/2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: l’applicazione della recidiva reiterata. Questo istituto, che comporta un significativo aumento della pena, non può essere applicato in modo automatico. La Suprema Corte ribadisce che il giudice ha il dovere di andare oltre la semplice constatazione dei precedenti penali, effettuando una valutazione approfondita e concreta sulla personalità del reo e sulla sua effettiva pericolosità sociale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna per il reato di falso. Il Tribunale di primo grado aveva condannato l’imputato a dieci mesi di reclusione, partendo da una pena base di sei mesi e aumentandola proprio in virtù della recidiva. Successivamente, la Corte di Appello, pur riformando parzialmente la sentenza, aveva confermato l’esistenza di una recidiva reiterata, basando la sua decisione su quanto emergeva dal casellario giudiziale dell’imputato. La Corte territoriale aveva ritenuto che i precedenti penali fossero espressione di una maggiore pericolosità e di una inclinazione a delinquere, descrivendo la condotta come la “prosecuzione di un percorso delinquenziale intrapreso da tempo e non interrotto”.

Il Ricorso in Cassazione e la Valutazione della Recidiva Reiterata

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una “manifesta illogicità della motivazione” proprio in relazione al riconoscimento della recidiva reiterata. La difesa ha sostenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse solo apparente. I giudici di secondo grado, infatti, si erano limitati a prendere atto dell’esistenza di precedenti penali senza svolgere quell’analisi approfondita richiesta dalla legge e dalla giurisprudenza. In particolare, si evidenziava come i precedenti fossero risalenti nel tempo (un reato di stupefacenti del 2004 e rapine aggravate del 2007) e di natura eterogenea rispetto al reato di falso oggetto del presente giudizio.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno chiarito che il compito del giudice non è quello di applicare meccanicamente l’aumento di pena per la recidiva. Al contrario, è necessario verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia un sintomo effettivo di una maggiore riprovevolezza della condotta e di una concreta pericolosità dell’autore.

Per fare ciò, il giudice deve considerare una serie di parametri specifici:

1. La natura dei reati: Valutare la tipologia dei crimini commessi in passato e quello attuale.
2. La distanza temporale: Analizzare quanto tempo è trascorso tra i fatti.
3. L’omogeneità dei comportamenti: Verificare se i reati sono espressione della stessa inclinazione criminale.
4. L’offensività delle condotte: Considerare la gravità dei comportamenti tenuti.
5. Altri parametri individualizzanti: Tenere conto di ogni altro elemento utile a delineare la personalità del reo e il suo grado di colpevolezza.

Nel caso di specie, la Corte di Appello aveva omesso completamente questa valutazione, limitandosi a un richiamo generico al casellario giudiziale. Tale motivazione è stata giudicata “carente” e insufficiente a giustificare l’applicazione di un istituto così afflittivo come la recidiva reiterata.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al punto relativo all’applicazione della recidiva. Ha disposto il rinvio ad un’altra sezione della Corte di Appello di Firenze, che dovrà procedere a un nuovo giudizio, questa volta effettuando quella valutazione concreta e approfondita che era mancata in precedenza. La Corte ha invece dichiarato irrevocabile l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato. Questa decisione riafferma un principio fondamentale di civiltà giuridica: ogni valutazione che incide sulla libertà personale deve essere ancorata a elementi concreti e non a presunzioni o automatismi, garantendo che la pena sia sempre proporzionata alla reale colpevolezza del singolo individuo.

Quando il giudice può applicare l’aumento di pena per la recidiva reiterata?
Il giudice può applicarlo solo dopo aver compiuto una valutazione concreta e specifica che dimostri come la ripetizione del reato sia un sintomo effettivo di maggiore riprovevolezza della condotta e di pericolosità sociale dell’autore, non basandosi sul solo casellario giudiziale.

È sufficiente l’esistenza di precedenti penali per giustificare la recidiva reiterata?
No, secondo questa sentenza, la mera esistenza di precedenti penali non è sufficiente. Il giudice deve condurre una valutazione approfondita che consideri la natura dei reati, la distanza temporale tra di essi, il livello di omogeneità e altri parametri significativi della personalità del reo.

Cosa accade se la Corte d’appello non motiva adeguatamente sulla recidiva?
La sentenza può essere annullata dalla Corte di Cassazione limitatamente al punto sulla recidiva. Il caso viene quindi rinviato a un’altra sezione della Corte di Appello, la quale dovrà effettuare un nuovo esame del punto, fornendo una motivazione completa e adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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