Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8969 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8969 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA a CARPI avverso la sentenza in data 10/03/2023 della CORTE DI APPELLO DI BOLO- visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
lette le note con cui l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ha esposto un motivo nuovo e poi ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
NOME, per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 10/03/2023 della Corte di appello di Bologna, che ha confermato la sentenza in data 05/02/2020 del Tribunale di Modena, che lo aveva condannato per i reati di rapina aggravata (capi A e B) e lesioni aggravate (capo C).
Deduce:
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego della continuazione ex art. 81, comma secondo, cod. pen..
Il ricorrente premette che la Corte di appello ha negato la continuazione in ragione della distanza temporale con i fatti avvenuti tra il 15 e il 17 dicembre 2012 e giudicati con sentenza n. 776 dell’11/06/2016 del G.i.p. del Tribunale di Modena.
GNA;
Deduce, quindi, l’illogicità della motivazione, in quanto la Corte di appello non ha effettuato una valutazione globale di tutti gli elementi significativi limitandosi a valorizzare il solo dato temporale, peraltro limitato.
Aggiunge che l’imputato è tenuto soltanto ad allegare la sentenza per cui si chiede la continuazione, ma non anche gli indicatori della sussistenza della continuazione, la cui valutazione è rimessa al giudice.
Evidenzia, comunque, che le condotte venivano commesse in un limitato contesto temporale (tra il 2012 e il 2013) e territoriale (nel territorio del Comune di Carpi e in quello del limitrofo Comune di Moglia), con modalità sistematiche per reati omogenei.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva reiterata.
A tale riguardo il ricorrente sostiene che ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è necessario il previo presupposto formale della dichiarazione della recidiva (semplice o aggravata) e della irrevocabilità della precedente sentenza pronunciata prima di quella in cui è l’imputato è stato condannato per il reato commesso.
Precisa che NOME, alla data del fatto, era gravato di un solo precedente irrevocabile, così che non poteva essere dichiarata la recidiva reiterata.
Osserva che, in ogni caso, la Corte di appello si è limitata alla mera verifica della reiterazione dell’illecito, senza valutare se esso costituisse indice di maggiore pericolosità, trascurando di apprezzare che la sentenza è intervenuta a dieci anni dal fatto senza ulteriori violazione della legge penale, del fatto che l’imputato aveva beneficiato positivamente dell’affidamento in prova ai servizi sociali, oltre che le positive condotte post delictum.
Inosservanza di norma processuale e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, con riferimento all’identificazione del reo e all non necessità dell’espletamento di un nuovo riconoscimento fotografico da parte delle persone offese.
In questo caso il ricorrente si duole della mancata rinnovazione ex officio dell’istruttoria dibattimentale con l’espletamento del riconoscimento fotografico a opera delle persone offese, senza giustificare l’attendibilità del riconoscimento già effettuato.
Vizio di motivazione in relazione alla richiesta di sostituzione della pena ai sensi dell’art. 53, comma 1, L. 689/1981.
A tale riguardo fa presente che il 7/12/2022, il difensore, munito di procura speciale, avanzava istanza di sostituzione della pena detentiva con la prestazione di lavoro socialmente utile.
Aggiunge che l’udienza di trattazione si svolgeva il 10/03/2023, nel pieno
vigore della c.d. riforma Cartabia, ma la Corte di appello trascurava del tutto la richiesta di sostituzione della pena detentiva breve, che neanche veniva menzionata.
Motivo aggiunto. Vizio di motivazione.
Il ricorrente rileva che «la Corte d’Appello, nel confermare la sentenza impugnata in punto di commisurazione della pena inflitta, sembra non avvedersi dell’errore commesso dal Giudice di primo grado, che indicava il capo c) di imputazione quale reato più grave, ed anzi, si esprime in ordine alla congruità ed adeguatezza anche degli aumenti di pena inflitta per i reati satellite, erroneamente indicati ai capi a) e b). : “Nel caso in esame, per il capo c), da ritenersi più grav è stata irrogata una pena detentiva pari ad anni 3 di reclusione ed Euro 1.000,00 attestata oltre i limiti edittali in ragione della reiterazione della condotta lesiv danni di COGNOME NOME (di anni 80) (…). “La pena non può essere rivista con esito più favorevole, tenuto conto che è stato computato – su tale pena base – un modesto aumento di mesi 5 per il capo a) e di mesi 1 per il capo b), pena che si ritiene del tutto congrua ed adeguata ai fatti in esame”. (pag. 8 della sentenza impugnata). Laddove Codesta Ecc.ma Corte ritenga che l’anomalia verificatasi non possa essere ricondotta ad un mero errore materiale, deve rilevarsi la contraddizione – o la manifesta illogicità – del procedimento logico argomentativo della Corte circa l’individuazione della fattispecie di reato ritenuta più grave sub c) – desumibile, invece, in quella di rapina di cui al capo b) di imputazione -, con conseguente contraddittorietà della motivazione anche in termini di calcolo della pena finale».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei limiti di seguito specificati. Inammissibile nel rest
1.1. Il primo motivo da esaminare è quello relativo alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, riferendosi all’affermazione dell responsabilità, precede logicamente gli altri, che suppongono già accertata detta responsabilità.
A tale riguardo va rilevato che il ricorrente, in primo grado, aveva richiesto il giudizio abbreviato condizionato all’espletamento del riconoscimento fotografico e che il giudice rigettava la richiesta. All’esito di tale rigetto, l’odierno ricor chiedeva di accedere al rito abbreviato c.d. secco.
In sostanza, il ricorrente si duole della mancata assunzione in appello della prova cui era stata condizionata la richiesta di giudizio abbreviato, rigettata dal Giudice dell’udienza preliminare.
A fronte di tale evenienza va rilevata l’inammissibilità della stessa richiesta avanzata in appello di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nel senso di ammettere la prova condizionante il giudizio abbreviato, disattesa dal giudice dell’udienza preliminare.
A fronte di tale evenienza, infatti, questa Corte ha più volte spiegato che «qualora l’imputato, a seguito del rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad una integrazione probatoria, non riproponga tale richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (come previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 169 del 2003, dichiarativa della parziale incostituzionalità dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen.), ma chieda, invece, di definire il processo con giudizio abbreviato non condizionato, la mancata ammissione della prova cui era subordinata l’iniziale richiesta non può essere dedotta come motivo di gravame, ferma restando la facoltà di sollecitare l’esercizio dei poteri di integrazione istruttoria “ex officio” ai sensi dell’art. comma 3, cod. proc. pen.», (Sez. 1 – , Sentenza n. 12818 del 14/02/2020, COGNOME, Rv. 279324 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7012 del 05/12/2017 Ud., dep. il 2018, B. Rv. 272579 – 01).
E’ stato spiegato, infatti, che «laddove sia stata respinta dal G.u.p. la richiesta di definizione del processo con giudizio abbreviato subordinato ad integrazione probatoria – con ordinanza non impugnabile in forza del principio di tassatività delle impugnazioni – l’imputato che voglia dolersi di tale decisione, e che comunque intenda esercitare il proprio diritto alla prova, ha l’onere di rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado giusta la previsione di cui all’art. 438, comma 6, cod. proc. pen. nella versione risultante dalla declaratoria di illegittimità costituzione di cui alla sent. Corte co n. 169/2003. Laddove presti invece acquiescenza a tale decisione e richieda – come accaduto nel caso di specie – di definire il processo con giudizio abbreviato non condizionato, accettando di essere giudicato allo stato degli atti, non potrà dedurre come motivo di gravame la mancata ammissione della prova richiesta nel diverso (e non ammesso) rito abbreviato condizionato, che ha regole processuali significativamente differenti (si allude alla possibilità per il pubblico ministero richiedere l’ammissione di prova contraria e procedere alla modifica dell’imputazione ai sensi dell’art. 423 cod. proc. pen.). Ritenere diversamente significherebbe dar vita ad un tertium genus di giudizio abbreviato, non previsto dalla legge, innestando su quello non condizionato (che preclude al pubblico ministero le facoltà processuali appena menzionate) un diritto all’assunzione in appello della prova magari non correttamente ammessa in occasione della valutazione dell’originaria istanza, poi non coltivata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In tali casi, dunque, in grado di appello all’imputato è consentito unicamente di sollecitare il giudice del gravame all’adozione dei poteri officiosi di integrazione probatoria riconosciuti dall’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. (“nel giudizio abbreviato d’appello, le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice ex officio nei limiti de
assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccol della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado»: Sez. 2, sent. n. 17103 del 24/03/2017, Rv. 270069).
E la valutazione del giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto se la motivazione sia affetta da lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione della prova (Sez. 6, n. 1400, del 22/10/2014, Rv. 261799)».
E’ stato quindi rimarcato che «in tema di giudizio abbreviato di appello, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri officiosi di integrazione probatoria, sollecitati a norma dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. dall’imputato che abbia optato per il giudizio abbreviato non condizionato, non può mai integrare il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., non essendo configurabile un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte alla prova contraria», (Sez. 6, Sentenza n. 4694 del 24/10/2017 Ud., dep. il 2018, Rv. 272197 – 01).
Ne discende l’inammissibilità della pretesa dell’odierno ricorrente di vedere ammesso in appello quel medesimo mezzo istruttorio cui aveva condizionato la primitiva richiesta di giudizio abbreviato rigettata dal giudice.
A ciò si aggiunga che la Corte di appello ha comunque spiegato le ragioni per cui ha ritenuto che non fosse assolutamente necessario procedere al riconoscimento fotografico, con motivazione esposta alle pagine 5 e 6 della sentenza impugnata, che ha tenuto conto di tutte le emergenze istruttorie -del tutto pretermesse dal ricorrente- con motivazione priva di vizi e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.
Da qui l’inammissibilità dei motivi diffusamente esposti in tema di rinnovazione di istruttoria dibattimentale e di integrazione probatoria.
A eguale conclusione di inammissibilità deve pervenirsi in relazione al tema della continuazione.
La Corte di appello ha negato la continuazione osservando che il distacco temporale di un anno tra la commissione delle rapine di cui si chiede la continuazione con il fatto in esame erano di ostacolo alla possibilità di ritenere che quelle fossero il frutto di un’unica e contestuale ideazione criminosa, essendo piuttosto- sintomatiche della scelta personale di dedicarsi ai delitti contro i patrimonio.
La motivazione della Corte di appello è in linea con l’insegnamento di questa Corte, che ha precisato che «In tema di applicazione della continuazione, l’identità del disegno criminoso, che caratterizza l’istituto disciplinato dall’art. 81, comma
4R
secondo, cod. pen., postula che l’agente si sia previamente rappresentato e abbia unitariamente deliberato una serie di condotte criminose e non si identifica con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, l’opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinat rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali», (Sez. 1, Sentenza n. 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615 – 01; Sez. 2 – , Sentenza n. 10033 del 07/12/2022, dep. il 2023, NOME, Rv. 284420 – 01).
A fronte di ciò, le argomentazioni sviluppate dal ricorrente si presentano come una mera valutazione delle emergenze istruttorie antagonista a quella del giudice di merito, intesa a valorizzare elementi (quali l’omogeneità dei reati) che la Corte di appello ha invece ritenuto significativi di una scelta di vita.
Da qui l’inammissibilità del motivo.
Appare fondato, invece, il motivo che censura la sentenza impugnata nella parte in cui è stata ritenuta sussistente la recidiva reiterata, specifica infraquinquennale, ai sensi dell’art. 99, comma quarto, cod. pen..
A tale riguardo va richiamato il principio fissato dalle Sezioni Unite, a mente del quale, in tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice. (Sez. U – , Sentenza n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878 – 01).
Ciò premesso, va rilevato come -nel caso in esame- la stessa Corte di appello evidenzia che, alla data di commissione dei fatti in esame (datati 9 e 18 aprile 2013), NOME risultava condannato in via definitiva soltanto con una sentenza irrevocabile dal 27/05/2011 (sentenza del 9/04/2011, ex art. 444 cod. proc. pen.).
L’ulteriore sentenza di condanna, invece, era successive alla data di commissione dei fatti in esame, residuando la sentenza del tribunale di Mantova (irrevocabile il 29/06/2013).
Dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, dunque, si evince che, al momento della commissione del fatto in esame, il ricorrente era gravato da un solo precedente penale accertato con sentenza irrevocabile, così mancando la possibilità di contestare la recidiva reiterata che, invece, suppone che al momento della commissione del fatto l’imputato sia gravato da almeno due sentenze di condanna connotate dalla definitività.
Da qui l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di
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appello per la rivalutazione della recidiva.
Risulta altresì ammissibile e fondato il motivo nuovo, correlato ai motivi già proposti.
Entrambi i giudici di merito, invero, a fronte della contestazione di due rapine aggravate (contestate ai capi A e B) e di un fatto di lesioni aggravate (contestato al capo C), nel determinare la pena in continuazione hanno individuato quale violazione più grave quest’ultima, valorizzando «le conseguenze lesive prodotte».
I giudici di merito, in sostanza, hanno individuato la violazione più grave applicando un criterio di valutazione orientato nel senso di individuare la violazione in concreto maggiormente lesiva.
Tale scelta valutativa va nel senso contrario all’orientamento assolutamente consolidato di questa Corte, secondo cui «in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse», (Sez. U, Sentenza n. 25939 del 28/02/2013, Ciabotto, Rv. 255347 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 36107 del 16/05/2017, Ciccia, Rv. 271031 – 01; Sez. 4, Sentenza n. 30557 del 07/06/2016 Ud. (dep. 19/07/2016 ) Rv. 267689 – 01).
Anche sul punto, pertanto, la sentenza va annullata con rinvio alla Corte di appello per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Il motivo relativo alla richiesta di sostituzione della pena resta assorbito, restando nelle prerogative del giudice di rinvio la sua valutazione, all’esito del suo rinnovato giudizio circa la recidiva e la rideternninazione del trattamento sa nzionatorio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulla recidiva e al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Visto l’art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della responsabilità dell’imputato.
Così deciso il 01 febbraio 2024 Il Consigliere estensore
La Presidente