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Recidiva reiterata: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro una sentenza di condanna. La Corte ribadisce i principi sulla recidiva reiterata, affermando che è sufficiente la presenza di precedenti sentenze definitive che indicano una maggiore pericolosità sociale, senza necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice. Viene inoltre respinta la richiesta di applicare il vincolo di continuazione tra i reati, data la diversità delle condotte e il tempo trascorso tra gli episodi. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali.

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Pubblicato il 16 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Reiterata e Limiti del Ricorso in Cassazione: Analisi di un’Ordinanza

L’ordinanza in esame offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso per Cassazione e sui criteri di applicazione della recidiva reiterata, un istituto centrale nel diritto penale. La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, riafferma principi consolidati e fornisce una guida pratica su quali censure possano essere validamente sollevate nel giudizio di legittimità. Analizziamo nel dettaglio la decisione e le sue implicazioni.

Il Caso in Esame: un Ricorso Contro la Valutazione di Merito

Un imputato presentava ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello che ne aveva confermato la responsabilità penale. I motivi del ricorso erano principalmente due:

1. Errata applicazione della recidiva reiterata: Secondo la difesa, l’aggravante era stata applicata senza una precedente dichiarazione di recidiva semplice.
2. Mancato riconoscimento del vincolo di continuazione: Si contestava la decisione dei giudici di merito di non unificare i reati sotto un unico disegno criminoso, ai sensi dell’art. 81, comma 2, del codice penale.

La Corte di Cassazione ha ritenuto entrambi i motivi inammissibili, poiché miravano a una rivalutazione dei fatti già adeguatamente esaminati e decisi nei precedenti gradi di giudizio, un’operazione preclusa in sede di legittimità.

La Recidiva Reiterata Secondo le Sezioni Unite

Il primo motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato alla luce di un recente e autorevole intervento delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 32318/2023). La Suprema Corte ha chiarito che, per l’applicazione della recidiva reiterata, non è necessaria una previa e formale dichiarazione di recidiva semplice.

È sufficiente, invece, che al momento della commissione del nuovo reato, l’imputato risulti già gravato da più sentenze definitive per reati precedenti. Questi precedenti devono essere espressione di una “maggiore pericolosità sociale”, la quale deve essere oggetto di una specifica e adeguata motivazione da parte del giudice. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente operato in tal senso, motivando in modo logico l’accentuata pericolosità del soggetto.

Il Diniego del Vincolo di Continuazione

Anche il secondo motivo, relativo al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati, è stato respinto. La Corte territoriale aveva negato l’applicazione di tale istituto sulla base di elementi fattuali concreti. In particolare, i giudici di merito avevano evidenziato:

* La diversità nelle modalità di esecuzione delle condotte illecite.
* Il considerevole lasso di tempo intercorso tra i due episodi.

Questa valutazione, basata su dati processuali e adeguatamente motivata, costituisce un apprezzamento di merito che non può essere messo in discussione nel giudizio di Cassazione, il quale è limitato al controllo della corretta applicazione della legge e della logicità della motivazione, non a un riesame dei fatti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La decisione della Cassazione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure proposte non denunciavano vizi di legge o difetti logici della motivazione, ma si limitavano a contestare l’interpretazione dei fatti e delle prove già compiuta, in modo esauriente e non contraddittorio, dalla Corte d’Appello.

In sostanza, l’imputato chiedeva alla Cassazione di riesaminare elementi (come la pericolosità sociale o l’unicità del disegno criminoso) che erano già stati “adeguatamente vagliati e disattesi dal giudice di merito”. Questa operazione è estranea ai compiti della Suprema Corte. La motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta “immune da vizi logico-giuridici”, chiudendo così ogni possibilità di accoglimento del ricorso.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

L’ordinanza riafferma due concetti fondamentali. In primo luogo, conferma l’interpretazione delle Sezioni Unite sulla recidiva reiterata, semplificandone i presupposti applicativi e ancorandola a una valutazione sostanziale della pericolosità sociale del reo. In secondo luogo, ribadisce che il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un appello mascherato. Le contestazioni devono riguardare vizi di legittimità e non possono limitarsi a proporre una lettura alternativa dei fatti.

La conseguenza diretta dell’inammissibilità è stata la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000,00 euro a favore della Cassa delle ammende, non essendo emerse ragioni per un eventuale esonero.

Per applicare la recidiva reiterata è necessaria una precedente dichiarazione di recidiva semplice?
No, secondo l’ordinanza, che richiama una sentenza delle Sezioni Unite, è sufficiente che al momento del nuovo reato l’imputato sia già stato condannato con più sentenze definitive per reati precedenti che esprimono una maggiore pericolosità sociale, adeguatamente motivata dal giudice.

Perché è stata negata l’applicazione del vincolo di continuazione tra i reati?
La Corte ha negato il vincolo di continuazione a causa delle “riscontrate diversità attinenti alle modalità della condotta e al tempo trascorso tra i due episodi illeciti”, ritenendo che questa valutazione di merito, logicamente motivata, non fosse censurabile in sede di legittimità.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito dall’art. 616 c.p.p., il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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