Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45364 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45364 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME natQa NOVARA il 28/05/1988
avverso la sentenza del 14/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dai Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo vizio motivazionale con un primo motivo in relazione alla mancata esclusione della contestata recidiva, con un secondo motivo quanto alla mancata ritenuta prevalenza delle pur concesse circostanze attenuanti generiche, con un terzo motivo in relazione alla dosimetria della pene e con un quarto motivo violazione di legge quanto alla negata concessione dei lavori di pubblica utilità.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata,
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricors e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione)
I motivi in questione afferiscono al trattamento punitivo benché sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive.
2.1. Quanto alla recidiva, la Corte territoriale ha dato atto con motivazione logica e del tutto congrua di avere valutato il curriculum criminale dell’odierna ricorrente, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il giudice ha il compito di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità dell ricaduta e a ogni altro parametro irdividualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838).
In linea con tale principio, questa Corte ha altresì affermato che in tema di recidiva facoltativa ritualmente contestata, il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, escludendo l’aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacità delinquenziale (Sez. F, n. 35526 del 19/08/2013, COGNOME, Rv. 256713); ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione dei giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 dei 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di merito, con motivazione·non manifestamente illogica, ha ritenuto che l’applicazione della contestata recidiva – reiterata, specifica e infraquinquennale – già operata dal giudice di primo grado risulti conseguenza di valutazioni logiche, lineari econgrue in ragione del fatto che dal certificato penale dell’imputata emerge la presenza di plurime e diverse condanne per reati contro il patrimonio.
A fronte di ciò, risulta la stabilità di una progettuaAtà criminale confermata dalle contestazioni articolate nel presente processo, che si traduce in una totale impermeabilità alle sanzioni finora ricevute, il che palesa una pericolosità confermata e ingravescente pienamente legittima l’applicazione della recidiva contestata.
2.2. Quanto al secondo motivo, il ricorso non si confronta con la motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune dal denunciato vizio di legittimità- del provvedimento impugnato ove si dà conto di avere valutato che come il disposto dell’art. 69 co. 4 cod. pen. contempli il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti, comprese quelle di cui all’art. 62bis cod. pen., sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99 co. 4 cod. pen.
2.3. Quanto al terzo motivo, la motivazione in punto di dosimetria della pena nel provvedimento impugnato è logica, coerente e corretta in punto di diritto (sull’onere motivazionale del giudice in ordine alla dete. -minazione della pena cfr. Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, COGNOME, Rv. 276288-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/4/2017, COGNOME, Rv. 271243).
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto che la pena base per il più grave reato di cui al capo a) risulta parametrata al minimo edittale di cui all’art. 624bis cod. pen., con conseguente impossibilità di ulteriore riduzione, mentre l’aumento operato a titolo di continuazione per il reato di cui al capo b) è determinato nella misura di mesi 4 di reclusione ed € 600,00 di mult per due distinti prelievi. E che tale aumento deve ritenersi congruo in conseguenza della reiterazione della condotta, dell’identico importo dei prelievi e della non trascurabile entità del danno subito dalla persona offesa e del contestuale profitto da parte dell’agente.
2.4. Infine, la Corte territoriale ha logicamente e congruamente motivato il diniego della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità ex art. 20-bis cod. proc. pen. sul rilievo che che, ai sensi della norma in esame, l’imputato che ne abbia fatto richiesta non è titolare di un diritto ad essere avviato ad un centro per la giustizia riparativa, ma il giudice di merito ha il compito di valutare se l svolgimento di un programma riparativo possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede e non comporti un pericolo concreto per gli interessati, e per l’accertamento dei fatti.
Nel caso di specie, per la Corte territoriale i profili personologici dell’imputata e la considerazione dei precedenti elencati nel certificato penale rendono palese che la spinta a delinquere non ha nulla a che vedere con la finalità di comporre la crepa che, per ragioni ovvie, si è venuta a creare tra l’imputata e la persona offesa. In particolare, si sottolinea in sentenza che l’imputata risulta essere soggetto che ha commesso con sorprendete frequenza delitti contro il patrimonio, tanto da palesare una vera e propria professionalità criminale evidentemente connessa con la perlomeno concorrente finalità di trarre il proprio sostentamento dalla medesima attività criminosa. In quest’ottica, la figura della vittima vene logicamente ritenuto non avere alcuna rilevanza ai fini del recupero e !I richiesto accesso ad un programma di giustizia riparativa ed eventuali vincoli comportamentali ad esso connessi non risultano elemento rilevante ai fini della risoluTione delle questioni derivanti dal fatto per cui procede.
La sentenza impugnata, pertanto, opera un buon governo dei principi secondo cui (cfr. la recente Sez. 5, n. 17959 del 26/01/2024, Avram, Rv. 286449 – 01 la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in considerazione, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato» (ex multis, Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558 – 01). E tale principio può essere applicato anche alle pene sostitutive come configurate dal legislatore della riforma, in quanto la disciplina normativa introdotta continua a subordinare la sostituzione
a una valutazione giudiziale ancorata ai parametri di cui al cit. art. 133 (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 33027 del 11/5/2023, Agostino, Rv. 285090, in motivazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2024