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Recidiva reiterata: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante l’applicazione della recidiva reiterata. La decisione si fonda sulla progressione criminale dell’imputato, che ha commesso un nuovo reato pochi giorni dopo aver scontato una pena per un reato simile, dimostrando una marcata pericolosità sociale e rendendo le censure semplici doglianze di fatto.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Reiterata: Quando la Cassazione Dichiara il Ricorso Inammissibile

L’istituto della recidiva reiterata rappresenta uno degli strumenti più significativi del nostro ordinamento per calibrare la risposta sanzionatoria in base alla storia criminale di un individuo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 7586/2024) offre un chiarimento fondamentale sui limiti del ricorso contro la sua applicazione, specialmente quando le contestazioni si basano su mere valutazioni di fatto. Questo articolo analizza la decisione e ne esplora le implicazioni pratiche.

Il Contesto del Ricorso: una Storia di Reati Ravvicinati

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo contro una sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato l’applicazione dell’aggravante della recidiva reiterata infraquinquennale. Il ricorrente contestava tale applicazione, sostenendo una violazione di legge e un vizio di motivazione. L’oggetto del contendere era la valutazione della sua pericolosità sociale, elemento chiave per l’applicazione della recidiva.

La valutazione della recidiva reiterata

La difesa sosteneva che la Corte territoriale avesse errato nel giudicare la sua storia criminale. Tuttavia, i fatti erano eloquenti: l’imputato aveva due condanne definitive per furto, commessi rispettivamente nel 2014 e nel 2015. L’elemento più grave, e decisivo per la Cassazione, era che il nuovo reato per cui si procedeva era stato commesso a pochissimi giorni di distanza dalla fine della detenzione scontata per il furto precedente.

I Criteri per l’Inammissibilità del Ricorso

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha seguito un ragionamento lineare e rigoroso, ribadendo i confini del proprio giudizio di legittimità. I giudici hanno sottolineato che le critiche mosse dal ricorrente non erano censure di diritto, ma “mere doglianze in punto di fatto”. In altre parole, l’imputato non contestava un’errata interpretazione della legge, bensì la valutazione dei fatti operata dai giudici di merito, un’attività preclusa in sede di Cassazione se la motivazione del giudice precedente è logica e coerente.

La pericolosità sociale come elemento chiave

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione del comportamento dell’imputato. La commissione di un nuovo reato a così breve distanza dalla scarcerazione è stata vista come la prova inconfutabile di due fattori:
1. Mancata dissuasione: La recente detenzione non ha avuto alcun effetto deterrente.
2. Progressione criminosa: Il comportamento indica una tendenza a delinquere persistente e aggravata, indice di una “più marcata pericolosità sociale”.

Di fronte a una valutazione così logica da parte della Corte d’Appello, la Cassazione ha ritenuto di non poter intervenire, confermando che il giudizio di merito non era “manifestamente illogico” e, quindi, non censurabile in quella sede.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha motivato la propria decisione di inammissibilità evidenziando che il ricorso era meramente riproduttivo di censure già respinte dalla Corte territoriale con una valutazione di merito logica e non sindacabile in sede di legittimità. I giudici hanno posto l’accento sulla sequenza temporale dei fatti: due condanne definitive per furti e, soprattutto, la commissione del nuovo reato a pochi giorni dalla cessazione dell’esecuzione della pena precedente. Questo comportamento, secondo la Corte, dimostra in modo inequivocabile una progressione criminale e una pericolosità sociale che giustificano pienamente l’applicazione della recidiva reiterata. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, non essendo stata ravvisata alcuna assenza di colpa nella proposizione di un’impugnazione priva di fondamento.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio sui fatti. Quando la valutazione sulla pericolosità sociale, necessaria per applicare la recidiva, si basa su elementi concreti e inequivocabili come la cronologia dei reati e la vicinanza temporale alla precedente detenzione, le contestazioni dell’imputato si scontrano con il muro dell’inammissibilità. Per gli operatori del diritto, la lezione è chiara: un ricorso efficace deve concentrarsi su vizi di legittimità (violazioni di legge o motivazioni illogiche), non su un tentativo di rimettere in discussione l’apprezzamento dei fatti già compiuto dai giudici di merito.

Quando un ricorso contro l’applicazione della recidiva reiterata è inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando si limita a contestare la valutazione dei fatti (le cosiddette “doglianze in punto di fatto”) già compiuta dai giudici di merito, senza sollevare reali questioni di diritto o vizi di motivazione manifestamente illogici. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti del processo.

Quali elementi dimostrano una “marcata pericolosità sociale” secondo la Corte?
Nel caso specifico, la marcata pericolosità sociale è stata desunta da due elementi principali: la presenza di precedenti condanne definitive per reati simili e, soprattutto, la commissione di un nuovo reato a pochi giorni dalla fine della detenzione per un reato precedente. Questo dimostra una mancata dissuasione e una progressione criminale.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, poiché si presume la colpa nel proporre un’impugnazione infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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