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Recidiva reiterata: quando è legittima? Analisi Cass.

Un individuo condannato per tentata estorsione ha impugnato la sentenza contestando l’applicazione della recidiva reiterata. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, specificando che per valutare la recidiva contano solo le condanne definitive al momento della commissione del nuovo reato. Pur correggendo un errore della Corte d’Appello che aveva citato una condanna successiva, la Suprema Corte ha confermato la decisione, ritenendo i precedenti penali sufficienti a dimostrare una maggiore pericolosità sociale e a giustificare l’aumento di pena per la recidiva reiterata.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Reiterata: la Cassazione Stabilisce i Limiti per l’Aumento di Pena

La corretta applicazione della recidiva reiterata è un tema cruciale nel diritto penale, poiché incide direttamente sull’entità della pena inflitta. Con la sentenza n. 10942/2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui presupposti necessari per il suo riconoscimento, chiarendo quali precedenti penali possono essere considerati e come il giudice deve motivare la sua decisione. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere quando la ripetizione di un reato si traduce in una maggiore colpevolezza e pericolosità sociale.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un imputato per il reato di tentata estorsione. La Corte di Appello di Napoli, in qualità di giudice di rinvio a seguito di un precedente annullamento da parte della Cassazione, aveva rideterminato la pena, applicando l’aggravante della recidiva reiterata e specifica.

Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un unico motivo: la violazione dell’art. 99 del codice penale e l’illogicità della motivazione. Secondo la difesa, la Corte d’Appello aveva erroneamente fondato il suo giudizio su condanne divenute definitive in un momento successivo alla commissione del reato di tentata estorsione. In particolare, si contestava la menzione di una condanna per evasione, palesemente successiva ai fatti in esame. La difesa sosteneva inoltre che l’unica condanna precedente per un reato contro il patrimonio risaliva a sei anni prima, una distanza temporale che avrebbe dovuto essere meglio valutata dal giudice.

La Questione sulla Recidiva Reiterata e il Ricorso in Cassazione

Il fulcro del ricorso era stabilire se la Corte d’Appello avesse legittimamente applicato la recidiva reiterata. La difesa ha evidenziato un errore di diritto fondamentale: per valutare la recidiva, il giudice deve considerare solo le condanne riportate dall’imputato al momento della commissione del nuovo fatto, non quelle intervenute successivamente.

L’argomento difensivo si basava su un principio di garanzia: l’imputato deve essere consapevole del proprio status di recidivo nel momento in cui delinque nuovamente. Pertanto, condanne successive, anche se relative a fatti precedenti, non possono essere utilizzate per giustificare l’aggravante. Il ricorso chiedeva quindi l’annullamento della sentenza per vizio di motivazione.

Le Motivazioni della Cassazione: la Corretta Valutazione della Recidiva

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato, ma ha colto l’occasione per precisare i contorni applicativi della recidiva reiterata. La Suprema Corte ha innanzitutto riconosciuto l’errore commesso dalla Corte di Appello nel citare la condanna per evasione, che era effettivamente successiva alla commissione della tentata estorsione. Tuttavia, anziché annullare la sentenza, ha deciso di “emendare” la motivazione ai sensi dell’art. 619 c.p.p., ovvero di correggerla mantenendo ferma la decisione.

Basandosi sul certificato aggiornato del casellario giudiziale, la Cassazione ha verificato che, prima di commettere la tentata estorsione, l’imputato aveva già riportato tre condanne definitive per reati significativi:

1. Violazione della legge doganale;
2. Rapina aggravata;
3. Riciclaggio.

Questi precedenti, secondo la Corte, erano più che sufficienti a fondare un giudizio di maggiore pericolosità sociale e riprovevolezza della condotta. La reiterazione di illeciti, in particolare quelli contro il patrimonio (come la rapina e il riciclaggio), dimostrava che la ricaduta nel reato non era occasionale, ma espressione di un più elevato grado di colpevolezza. La Corte ha quindi ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello, una volta depurata dall’errore, fosse congrua e legittima.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale: la valutazione della recidiva reiterata non è un automatismo basato sul mero riscontro di precedenti penali. Il giudice ha il dovere di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo di una personalità più incline a delinquere. Tale valutazione deve basarsi esclusivamente sulle sentenze definitive al momento del nuovo reato. La decisione della Cassazione chiarisce inoltre che un errore materiale nella motivazione del giudice di merito può essere corretto direttamente in sede di legittimità, se non incide sulla correttezza sostanziale della decisione. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questa pronuncia conferma che l’applicazione della recidiva richiede una motivazione specifica e adeguata, ancorata a fatti precisi che dimostrino una reale e accresciuta pericolosità sociale dell’autore del reato.

Per applicare la recidiva reiterata, quali precedenti penali contano?
Contano solo le condanne passate in giudicato (divenute definitive) prima della commissione del nuovo reato per cui si procede. Le condanne intervenute successivamente non possono essere utilizzate per fondare il giudizio sulla recidiva.

Cosa succede se un giudice di merito cita erroneamente una condanna successiva per giustificare la recidiva?
La Corte di Cassazione può correggere (emendare) l’errore nella motivazione senza annullare la sentenza, a condizione che, al netto dell’errore, sussistano altri precedenti penali validi e sufficienti a giustificare l’applicazione della recidiva e la motivazione sia, nel complesso, congrua.

Il tempo trascorso tra un reato e l’altro esclude automaticamente la recidiva?
No, la distanza temporale è solo uno degli elementi che il giudice deve valutare. Come chiarito dalla sentenza, anche a fronte di un intervallo di alcuni anni (nel caso di specie, sei anni tra una condanna per reato contro il patrimonio e il nuovo fatto), la recidiva può essere applicata se altri elementi, come la natura e la gravità dei reati precedenti, dimostrano una persistente e maggiore pericolosità sociale del reo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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