Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1993 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1993 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a CATANIA avverso la sentenza in data 17/11/2022 della CORTE DI APPELLO DI CATA- visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Catania limitatamente alla ritenuta recidiva reiterata ex art. 99, comma quarto, cod. pen. e al conseguente trattamento sanzionatorio;
letta la nota dell’AVV_NOTAIO, che ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, per il tramite del proprio difensore, impugna la sentenza in data 17/11/2022 della Corte di appello di Catania, che ha rideterminato la pena inflitta con sentenza in data 14/06/2021 dal Tribunale di Catania per i reati di cui all’art. 648 cod. pen. e all’attuale 493-ter cod. pen..
Deduce:
1. Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 15 cod. pen.. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente sostiene che il reato di
NOME;
indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti contestato al capo A) deve ritenersi assorbito in quello di ricettazione contestato al capo B), configurandosi un concorso apparente di norme.
Lamenta il vizio di omessa motivazione sul punto.
Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’ad 99 cod. pen. e all’art. 69 cod. pen. per erronea applicazione della recidiva reiterata e per la mancata declaratoria di prescrizione del reato oltre che per errore nella determinazione del trattamento sanzionatorio e all’aumento di pena a titolo di continuazione con il reato contestato al capo A).
Con il secondo motivo d’impugnazione il ricorrente sostiene che già il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto come sussistente la recidiva reiterata, pur in assenza dei presupposti a tal fine richiesti, «atteso che all’epoca della contestazione dei reati in esame, il COGNOME annoverava una sola condanna definitiva (irrevocabile) per delitto non colposo», così mancando il requisito della doppia condanna irrevocabile per delitto non colposo e con esso la prevista dichiarazione formale della recidiva semplice o pluriaggravata con sentenza irrevocabile antecedente a quella pronunciata per il fatto in giudizio.
Aggiunge, dunque, che i giudici avrebbero dovuto escludere la recidiva reiterata, con la conseguenza che il reato doveva considerarsi prescritto, attesa l’incidenza di tale circostanza aggravante a effetto speciale sul tempo necessario al perfezionamento della fattispecie estintiva del reato.
Aggiunge che la recidiva reiterata così come ritenuta ha inciso anche sull’aumento di pena per la continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini seguito specificati.
1.1. Il primo motivo d’impugnazione -con il quale il ricorrente sostiene la sussistenza di un rapporto di specialità tra indebito utilizzo di carte di credito e ricettazione- è manifestamente infondato.
A tal proposito basti ricordare quanto da ribadito da ultimo dalla sentenza n. n. 46652 del 18/09/2019 (Sez. 2, Orobosa, Rv. 277777 – 01): «in tema di possesso e successiva utilizzazione di carte di credito oggetto di precedente delitto, le Sezioni Unite di questa corte hanno affermato che integra il reato di cui all’art. 648 cod. pen. (ricettazione) la condotta di chi riceve, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, carte di credito o di pagamento (ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all’acquisto di beni o alla prestazione di servizi) provenienti da delitto, dovendosi viceversa ricondurre alla previsione incriminatrice di cui all’art. 12, seconda parte, D.L. 3 maggio 1991 n. 143, convertito nella legge 5 luglio 1991 n. 197 (che sanziona, con formula generica, la ricezione dei predetti documenti «di provenienza illecita»), le condotte acquisitive degli stessi,
nell’ipotesi in cui la loro provenienza non sia ricollegabile a un delitto, bensì a un illecito civile, amministrativo o anche penale, ma di natura contravvenzionale (Sez. U, n. 22902 del 28/03/2001, Rv. 218872). Il principio risulta successivamente ribadito da altra pronuncia di questa sezione (Sez. 2, n. 7658 del 27/01/2015, Rv. 262572) che ha appunto affermato la sussistenza della ricettazione nei casi di ricezione di carte di credito provento di precedente delitto. Va al proposito anche precisato che la stessa pronuncia delle Sezioni Unite in precedenza citata ha chiarito che la disposizione oggi prevista dall’art. 493 ter cod.pen. (in precedenza art. 55 cit.) incrimina autonomamente quale distinta ipotesi di reato, precisamente nella seconda parte del primo comma, la condotta di falsificazione o contraffazione di carte di credito sicché ne deriva affermare che, fuori dai casi di concorso nella realizzazione della falsificazione, chi riceva tali carte di credito risponde prima del delitto di ricettazione di oggetto illecito ed ove ne faccia uso anche di indebito utilizzo ex art. 493 ter cod.pen., comma primo, prima parte».
Da ciò discende che nelle ipotesi, come quello in esame, in cui la carta di pagamento utilizzata sia di provenienza furtiva, si ha il concorso tra il reato di ricettazione, che si perfeziona per il solo fatto della percezione, e di quello distinto di successiva utilizzazione dello stesso mezzo di pagamento o prelievo contante (art. 493-ter, comma primo, prima parte, cod. pen.), per come evidenziato anche dalla scansione temporale della ricezione seguita dall’utilizzazione.
Tanto più che l’art. 493-ter, comma primo, prima parte, cod. pen. per la sua configurazione non richiede che la ricezione sia correlata a un precedente delitto, a differenza della ricettazione che, invece, pretende un reato presupposto per il suo perfezionamento.
1.2. Appare fondato, invece, il motivo che censura la sentenza impugnata nella parte in cui è stata ritenuta sussistente la recidiva reiterata specifica e infraquinquennale, ai sensi dell’art. 99, comma quarto, cod. pen..
A tale riguardo va richiamato il principio fissato dalle Sezioni Unite, a mente del quale, in tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice. (Sez. U – , Sentenza n. 32318 del 30/03/2023, Sabbatini, Rv. 284878 01).
Ciò premesso, va rilevato come -nel caso in esame- sia la stessa Corte di appello ad evidenziare che «prima del presente reato (12.02.2013), il COGNOME annovera una condanna irrevocabile in data 08/02/2013 per un furto commesso il 23.12.2011 (…): colpisce la natura omogenea del pregiudizio e la brevissima
distanza temporale del nuovo reato rispetto alla precedente condanna, che, dunque, non aveva sortito alcun effetto dissuasivo».
Dalla stessa motivazione della sentenza impugnata, dunque, si evince che, al momento della commissione del fatto in esame, il ricorrente era gravato da un solo precedente penale accertato con sentenza irrevocabile, così mancando la possibilità di contestare la recidiva reiterata che, invece, suppone la previa commissione di almeno due reati.
In presenza degli elementi evidenziati, in realtà, sussistono tutti i presupposti della recidiva specifica e infraquinquennale (e in tal senso va riqualificata la fattispecie), ma non anche quelli della recidiva reiterata, per la cui configurazione è necessaria la previa commissione di almeno due reati accertati con sentenza irrevocabile.
1.3. Il reato non risulta tuttavia -allo stato- prescritto in quanto può ricorre l’ipotesi di recidiva ex art. 99, commi secondo e terzo, cod. pen., che costituisce circostanza ad effetto speciale, comportando un aumento di pena della metà.
Ai fini della prescrizione, quindi, opera la disciplina stabilità dagli artt. 157 e 161, comma secondo, cod. pen. tradizionalmente interpretata nel senso che la recidiva incide due volte sulla determinazione del termine di prescrizione, dapprima quanto al computo del termine-base in riferimento alla pena edittale massima, poi quanto all’entità della proroga del predetto termine in presenza di eventi interruttivi (tra le altre, Sez. 5, sentenza n. 35852 del 7 giugno 2010, Rv. 240502, e conformi ivi citate).
Da ciò discende che il reato di ricettazione, avendo riguardo al massimo edittale della pena (otto anni di reclusione), aumentata della metà per effetto dell’art. 99, comma terzo, cod. pen., è pari ad anni dodici. In presenza di atti interruttivi il reato si prescrive in diciotto anni, che vanno a scadere il 13/02/2031, al netto delle sospensioni.
Analoghe considerazioni valgono anche per il reato di cui all’art. 493-ter cod. pen., punito con la pena massima della reclusione pari a cinque anni, aumentata a sette anni e sei mesi per effetto dell’art. 99, comma terzo, cod. pen..
Con l’art. 161 cod. pen. il tempo necessario alla prescrizione diventa pari a dieci anni e nove mesi, che vanno a scadere il 13/11/2023, al netto dei 228 giorni di sospensione.
Alla luce di quanto esposto, la sentenza va, comunque, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania, che, alla luce della mutata qualificazione della recidiva, potrà rivalutare il trattamento sanzionatorio complessivamente considerato, ivi compreso il giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, sempre che non escluda le predette circostanze.
Annulla sentenza impugnata limitatamente alla recidiva, che qualifica come recidiva specifica infraquinquennale, e rinvia per nuovo giudizio in ordine alle statuizioni consequenziali ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 12 dicembre 2023
Il Consigliere estensore