Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12630 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12630 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a RIVOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/07/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, il quale ha concluso per l’annullamento con rinvio in ordine al trattamento sanzionatorio.
Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 D.L. n. 137/20 e s.m.i.
RITENUTO IN FATTO
NOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 4/07/2023, con la quale veniva confermata la sentenza di condanna alla pena di giustizia resa dal Tribunale di Torino, in ordine al reato di cui agli artt. 56-628, commi 1 e 3, n. 1 cod. pen., limitatamente alla somma di C 500,00, con le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e all’ulteriore aggravante di avere commesso il fatto con arma impropria.
Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione in punto di corretta qualificazione giuridica del fatto, da ricondursi nell’alveo dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Al riguardo lamenta che la vicenda era stata sussunta sotto la fattispecie di rapina sotto l’errato rilievo che l’imputato avesse affermato di essere debitore soltanto nei confronti del NOME COGNOME e, non invece, nei confronti del COGNOME, ossia di colui che era stato poi concretamente minacciato con la condotta descritta nell’imputazione. In realtà, un attento esame del complessivo dichiarato del ricorrente – che la sentenza impugnata aveva omesso – avrebbe consentito di ricavare la convinzione da parte di quest’ultimo di essere creditore di entrambi e non solo del Cornite.
Con il secondo motivo si lamenta l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in relazione al giudizio secondo cui la condotta dell’imputato “avrebbe travalicato la linea di demarcazione del reato di cui all’art. 393 cod. pen.”, avendo fatto uso di un coltello. Si era quindi ritenuta sintomatica della diversa direzione volitiva rispetto al mero soddisfacimento del credito la mera intensità della violenza esercitata, requisito di per sé non sufficiente a distinguere le due fattispecie in difetto dell’indicazione di un quid pluris che connoti l’effettivo intento predatorio.
Con il terzo motivo si denuncia l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta impossibilità di applicare circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza, sul rilevo che ricorreva l’aggravante ostativa ex art. 69, comma 4, cod. pen., della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. In realtà, per come allegato con l’atto di appello, ricorreva l’ipotesi della recidiva specifica ed infraquinquennale, ma non quella reiterata, posto che nelle precedenti condanne utili a tali fini (non potendosi tenere conto di quelle di cui ai numeri da 1 a 6 del certificato penale stante la cessazione degli effetti delle condanne per esito positivo dell’affidamento in prova) mancava il presupposto formale di una precedente dichiarazione di recidiva.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, con requisitoria-memoria del 21/01/2024, sul rilievo della
fondatezza del terzo motivo di ricorso, ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va rigettato essendo i motivi non fondati e/o manifestamente infondati.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile poiché volto a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa lettura delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità e avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito.
Il secondo motivo è inammissibile. Una volta che il giudice del merito abbia motivatamente escluso che la minaccia sia stata volta ad ottenere una pretesa che compete, il profitto avuto di mira assume i connotati dell’ingiustizia e, dunque, il fatto è stato correttamente ricondotto nell’alveo della rapina. Con la conseguenza che a nulla vale, a detti fini, scrutinare l’ulteriore profilo, pur citato dalla Cor merito ad ulteriore conferma dell’operata qualificazione – e censurato dalla difesa con argomenti non privi di rilievo – relativo all’intensità della minaccia.
In particolare, la circostanza che il debitore della somma pretesa dall’imputato fosse il COGNOME e non il COGNOME è stata correttamente ricavata dalla Corte di merito dalla lettura complessiva dell’esame reso dall’imputato (vedi pagg. 45 – 57 del verbale di udienza del 13/04/2021), il quale più volte ha fatto riferimento a specifici indici dimostrativi dell’esclusività del conferimento dell’incarico ricevuto d svolgere lavori in economia al quale era estraneo il COGNOME. Sul punto, peraltro, la difesa si è limitata a riportare nel ricorso uno stralcio dell’esame dell’imputato, omettendo sia di allegare l’intera copia dell’atto sia di confrontarsi con gli alt passaggi dichiarativi che depongono nel senso ritenuto dai giudici di merito. Si è, quindi, al cospetto di profili valutativi della prova, scevri quindi dall’ipotizz travisamento. Del resto, al fine di configurare l’ipotesi dell’esercizio arbitrari occorre che il ragionevole convincimento della legittimità della finalizzazione della condotta a realizzare il preteso diritto rinvenga elementi di conferma nelle circostanze di fatto relative alla vicenda sottostante, altrimenti finendosi per dare rilievo alle mere supposizioni o opinioni del reo sfornite di un substrato giustificativo dell’apparente diritto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il terzo motivo è infondato.
Il ricorrente, infatti, a fondamento della cloglianza richiama un orientamento della Corte di legittimità che risulta essere stato poi superato dal recente arresto delle Sezioni unite COGNOME, con cui è stato affermato che, ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata, non è necessaria una precedente dichiarazione di recidiva
contenuta in altra sentenza di condanna dell’imputato, né è necessario che, in relazione ad altri procedimenti definiti con sentenza irrevocabile, sussistessero astrattamente i presupposti per riconoscere la recidiva semplice, ma è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che, in relazione a quello oggetto di giudizio, manifestino una sua maggiore pericolosità sociale (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, dep. 25/07/2023, COGNOME, Rv. 284878 – 01; Sez. 2, n. 35159 del 1/07/2022, Lodi, Rv. 283848 – 01).
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagarrento delle spese processuali.
Così deciso, il 16/02/2024