Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22546 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22546 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore dell’imputato AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il reato di furto pluriaggravato. Per quanto di interesse ai fini della valutazione del ricorso, va evidenziato che la Corte ha rigettato la richiesta dell’imputato di ritenere le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti e non solo equivalenti alle contestate aggravanti ed alla recidiva reiterata,. rilevando come la revisione del giudizio di bilanciamento nel senso invocato sia normativamente precluso dal disposto dell’art. 69 comma 4 c.p.
Avverso la sentenza ricorre l’imputato articolando un unico motivo con il quale eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 comma 4 c.p. per la violazione degl artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost., nella parte in cui non consente che il giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto esiti nella prevalenza delle attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis c.p. sulla recidiva reiterata ex art. 99 comma 4 c.p. In tal senso il ricorrente evoca le numerose pronunzie con le quali negli ultimi anni il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizi impugnata in riferimento ai parametri evocati in relazione al divieto di ritenere la recidiva minusvalente rispetto a diverse attenuanti, tra le quali quella comune del danno di particolare tenuità di cui all’art. 62 n. 4 c.p., applicabile ai reati cont patrimonio, quale è quello per cui si procede.
CONSIDERATO IN IDIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Pregiudiziale è l’esame dell’eccezione proposta dal AVV_NOTAIO Generale nelle sue conclusioni scritte, che deve peraltro essere rigettata. Il più recente orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende aderire, è infatti nel senso per cui deve riteners ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca esclusivamente l’illegittimità costituzionale della disposizione applicata dal giudice di merito, in quanto comporta pur sempre una censura di violazione di legge riferita alla sentenza impugnata, a condizione che sussista la rilevanza della questione, nel senso che dall’accoglimento di
essa consegua un effetto favorevole per il ricorrente, in termini di annullamento, anche parziale, della sentenza (Sez. 6, n. 37796 del 08/04/2020, Romano, Rv. 280961). E non vi è dubbio che nel caso di specie la questione sollevata sia rilevante, atteso che la Corte territoriale ha respinto la richiesta di revisione del giudizio di equivalenza tra attenuanti generiche riconosciute all’imputato e la recidiva reiterata contestatagli proprio invocando il divieto in tal senso posto dall’art. 69 comma 4 c.p., ossia la norma impugnata con il ricorso.
Ciò premesso l’eccezione di legittimità costituzionale proposta dalla difesa deve ritenersi manifestamente infondata, come già ritenuto da questa Corte dinanzi alla quale era stata sollevata negli identici termini (Sez. 5, n. 4587 del 01/12/2023, dep. 2024, Rivera, Rv. 285939).
3.1 Si è invero già rilevato che, pur a fronte delle plurime recenti pronunce di incostituzionalità della norma di cui all’art. 69 comma 4 c.p. – per come rammentate dallo stesso ricorrente – occorre tener conto della circostanza per cui le argomentazioni in tal senso adottate dalla Consulta scaturiscono tutte da una incontestabile base comune, ossia che, salvo nelle ipotesi in cui ciò determini casi di manifesta irragionevolezza o arbitrio, rientra nella discrezionalità del legislatore la scelta introdurre deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato in via AVV_NOTAIO dall’art. 69 c.p. (così Corte Cost., nn. 68 del 2012 e 88 del 2019).
3.2 Nel dettaglio, per quanto attiene all’inasprimento sanzionatorio determinato dal meccanismo di cui all’art. 69 comma 4 c.p., questo trova il suo fondamento nella particolare attenzione che il legislatore rivolge alla circostanza della recidiva (nel cas di specie reiterata), partendo cioè dal presupposto – di per sé non irragionevole – che essa implichi una maggiore rimproverabilità del soggetto ove, come da costante giurisprudenza di legittimità sul punto, a fronte della sussistenza di condanne definitive per delitti precedentemente commessi, il reato poi posto in essere sia espressivo di una maggiore riprovevolezza della condotta e pericolosità sociale dell’agente secondo una valutazione da effettuare in concreto (ex multis Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878; Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247838). Ne consegue che l’automatismo sanzionatorio di cui si discute non potrà essere censurato fino a che esso non trasmodi nell’ «abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato» (così Corte Cost., n. 251 del 2012).
3.3 Sulla base di tali premesse, è evidente come le pronunce di incostituzionalità che, di volta in volta, hanno interessato l’art. 69 comma 4 c.p., hanno visto il giudice delle leggi interrogarsi circa la sussistenza, nel singolo caso, di un conveniente rapporto d i
equilibrio tra la gravità – oggettiva e soggettiva – del singolo fatto di reato e la sever della risposta sanzionatoria, il tutto tramite un giudizio nel quale il tertium comparationís è andato mano a mano ad eclissarsi a fronte della censura, sic et simpliciter, di meccanismi di commisurazione sanzionatoria implicanti aumenti della pena eccessivi.
Nelle prime pronunce sul tema, quindi, la Corte si è dovuta occupare di quelle circostanze (tra cui si annoverano le attenuanti previste dagli artt. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990, 648 comma 2 c.p. e 609 bis comma 3 c.p.) la cui impossibilità di essere applicate in regime di prevalenza sulle aggravanti avrebbe determinato, stando all’effetto fortemente premiale alle stesse associato, un eccessivo divario tra le ipotesi di reato circostanziato e non circostanziato, al punto da neutralizzare la rilevanza dell’offensività della fattispecie base (così Corte Cost., nn. 251 del 2012, 104 del 2014, 106 del 2014). Solo in un secondo momento, invece, l’attenzione del giudice delle leggi si è rivolta ad una serie di attenuanti ad effetto comune; fenomeno questo che, se apparentemente potrebbe far pensare ad una riconsiderazione degli assunti suesposti da parte della Corte, in realtà non mette in alcun modo in discussione la tendenziale legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 69 comma 4 c:.p., rimanendo essa censurabile solo in alcune puntuali ipotesi di evidente squilibrio del trattamento sanzionatorio altrimenti determinato. In questo senso, dunque, la irragionevolezza sintomatica dell’illegittimità è stata ravvisata nel divieto di prevalenza sia di quel circostanze che, attenendo strettamente alla natura personale della pena, si legano inscindibilmente ai principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost. (dai quali si evince, secon Corte Cost., n. 73 del 2020 e 55 del 2021 – relative rispettivamente alle attenuanti di cui agli artt. 89 c.p. e 116 c.p. – il principio per cui, a parità di disvalore oggettiv fatto, un minor grado di rimproverabilità soggettiva esige, in via AVV_NOTAIO, l’inflizione d una pena meno grave), sia di quelle che, pur in sé determinando la riduzione non oltre un terzo della pena prevista per la singola fattispecie di reato, rispondono comunque alla necessaria funzione di riequilibrio di un trattamento sanzionatorio altrimenti sproporzionato in ragione della elevata cornice edittale e delle peculiarità del reato o della categoria di reati cui queste accedono, così evitando una risposta punitiva improntata ad eccezionale asprezza, che, proprio per questo, rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varietà delle situazioni concrete riconducibili al modello legale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.4 È invero in quest’ultimo filone argomentativo che si inserisce quanto affermato con la sentenza n. 141 del 2023 – invocata dal ricorrente – ove, specificamente riferendosi ai delitti contro il patrimonio, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 69 com
c.p. nella parte in cui non prevede la possibilità, per l’attenuante ex art. 62 n. 4 c.p., di prevalere sulla ritenuta recidiva reiterata.
Decisione questa che trova la propria spiegazione nella necessità di impedire la configurazione di una sorta di colpa d’autore a fronte di reati il cui disvalore indissolubilmente legato all’offesa al patrimonio, scema fortemente ove tale aggressione sia di particolare tenuità, risultando insomma irragionevole vincolare il giudice a non tenere conto della effettiva offensività della fattispecie concerta.
Così ricostruito il sottile equilibrio tra la discrezionalità del legislatore in sanzionatoria e l’illegittimità della strumentalizzazione della pena quale strumento di mero controllo della pericolosità sociale del reo, è evidente, ad avviso del Collegio, che nessuna censura può muoversi all’art. 69 comma 4 c.p. nella parte in cui impedisce alle attenuanti generiche di prevalere sull’aggravante di cui all’art. 99 comma 4 c.p., atteso che le stesse – per loro natura indefinite – non !:;ono immediatamente assimilabili alla circostanza tipizzata dall’art. 62 n. 4 c.p., specie ove le stesse vengano riconosciute in riferimento ad una fattispecie – quale, come nel caso di specie, quella di furto – che, prevedendo una forbice sanzionatoria sufficientemente ampia (e soprattutto un minimo edittale assai contenuto), consente al giudice di adeguare la sanzione al fatto, pur in presenza della recidiva qualificata, attraverso l’elisione della carica sanzionatoria di quest’ultima nel giudizio di equivalenza con le riconosciute attenuanti, il che garantisce il rispetto dei principi di offensività e di eguaglianza e della funzione rieducativa del pena.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/4/ 024