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Recidiva reiterata: la valutazione del giudice

Un uomo condannato per spaccio di stupefacenti ricorre in Cassazione lamentando l’applicazione automatica della recidiva reiterata. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, confermando che la decisione dei giudici di merito era correttamente motivata. La motivazione si basava sulla lunga e progressiva carriera criminale dell’imputato, indice di una spiccata pericolosità sociale e di un profondo inserimento nel narcotraffico, giustificando così l’aggravamento della pena.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Reiterata: Quando la Storia Criminale Giustifica una Pena più Severa

L’applicazione della recidiva reiterata è uno degli aspetti più delicati del diritto penale, poiché incide direttamente sull’entità della pena. Non si tratta di un automatismo, ma di una valutazione che il giudice deve compiere caso per caso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce questo principio, chiarendo come la storia criminale di un imputato possa giustificare l’applicazione di tale aggravante, a patto che sia sorretta da una motivazione concreta e non meramente formale.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per una serie di reati legati al traffico di sostanze stupefacenti. La Corte d’Appello di Ancona aveva confermato la sentenza del Tribunale di Pesaro, che infliggeva una pena di sei anni di reclusione e 50.000 euro di multa. Oltre alla condanna per i reati specifici, i giudici di merito avevano riconosciuto la sussistenza della recidiva reiterata, bilanciando le attenuanti generiche come equivalenti a tale aggravante.

Il Ricorso in Cassazione e la questione della recidiva reiterata

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avrebbero applicato la recidiva reiterata in modo automatico, senza effettuare una reale valutazione sostanziale dei precedenti penali. In particolare, si contestava la mancata considerazione della distanza temporale tra i reati e il fatto che alcuni di essi risalissero a quando l’imputato era ancora giovane. Questa carenza motivazionale, secondo il ricorrente, avrebbe illegittimamente inasprito il trattamento sanzionatorio.

La Decisione della Suprema Corte e la Motivazione sulla recidiva reiterata

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per richiamare un consolidato principio espresso dalle Sezioni Unite (sentenza Calibè del 2010): il giudice ha il dovere di verificare in concreto se la ripetizione dei reati sia un sintomo effettivo di maggiore riprovevolezza e pericolosità sociale dell’autore.

Questa valutazione non può basarsi sul semplice riscontro formale di precedenti condanne, ma deve analizzare:

* La natura dei reati commessi.
* La distanza temporale tra i fatti.
* Il grado di omogeneità tra i diversi illeciti.
* L’offensività dei comportamenti.
* Qualsiasi altro elemento utile a delineare la personalità del reo.

Le Motivazioni

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse pienamente rispettato questi criteri. La motivazione della sentenza impugnata, seppur sintetica, è stata giudicata sufficiente e logica. I giudici di merito avevano infatti valorizzato elementi significativi della personalità del ricorrente, come la sua “lunga e ininterrotta carriera criminale” iniziata nel 1997. Questa carriera era caratterizzata da un’escalation di gravità, passando da reati contro il patrimonio a reati in materia di stupefacenti, fino a giungere alla partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico accertata nel 2012. La Corte territoriale aveva inoltre evidenziato il “profondo e prolungato inserimento nell’ambiente del narcotraffico”, un elemento che dimostra la gravità della condotta e rende del tutto razionale l’applicazione dell’aggravamento di pena legato alla recidiva reiterata.

Le Conclusioni

Questa pronuncia conferma che la recidiva non è una ‘etichetta’ da apporre automaticamente a chi ha precedenti penali. È, invece, il risultato di un giudizio ponderato che deve trovare fondamento in elementi fattuali concreti. Una carriera criminale lunga, ininterrotta e caratterizzata da una progressiva escalation di gravità, come nel caso di specie, costituisce una base solida per motivare l’applicazione della recidiva e il conseguente inasprimento della pena. La decisione sottolinea l’importanza per i giudici di merito di esplicitare le ragioni per cui ritengono che i precedenti reati siano indice di una maggiore pericolosità sociale attuale, andando oltre il mero dato formale della condanna passata.

L’applicazione della recidiva reiterata può essere automatica?
No, non può essere automatica. I giudici hanno l’obbligo di effettuare una valutazione sostanziale per verificare in concreto se la reiterazione del reato sia un sintomo effettivo di maggiore riprovevolezza e pericolosità sociale dell’autore.

Quali elementi deve considerare il giudice per applicare la recidiva reiterata?
Il giudice deve considerare una serie di elementi, tra cui la natura dei reati, la loro distanza temporale, il livello di omogeneità, l’offensività dei comportamenti, l’eventuale occasionalità della ricaduta e ogni altro parametro individualizzante che sia significativo della personalità del reo e del suo grado di colpevolezza.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso specifico?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata e congruente per l’applicazione della recidiva. Tale motivazione era basata su elementi fattuali come la lunga e ininterrotta carriera criminale dell’imputato, la progressiva gravità dei reati commessi e il suo profondo inserimento nel contesto del narcotraffico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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