Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12724 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12724 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a BRINDISI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Udite le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata quanto alla circostanza aggravante;
Udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La pronunzia impugnata è stata deliberata 1’8 febbraio 2023 dalla Corte di appello di Lecce, che ha riformato la decisione del Tribunale di Brindisi che aveva condannato NOME e NOME per il reato di cui agli artt. 624, 625 n. 7) cod. pen., così riqualificata l’originaria imputazione di rapina impropria aggravata; la riforma è consistita nel proscioglimento per prescrizione di NOME COGNOME – oggi non ricorrente – e nel riconoscimento, quanto a NOME, della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4) cod. pen., giudicata
equivalente alla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale riconosciuta al predetto, con conseguente rimodulazione in mitius del trattamento sanzionatorio.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, formulando tre motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia vizio di motivazione quanto al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7) cod. pen., sub specie di esposizione del bene sottratto alla pubblica fede. La stessa Corte di appello – sostiene il ricorrente – ha precisato che le persone offese avevano ribadito di avere avuto un continuo controllo sulla zona; ciò nonostante – con una contraddizione motivazionale – la circostanza aggravante è stata riconosciuta sulla base del fatto che il fondo era privo di recinzione e le vittime avevano affermato che la vigilanza sulla zona non era stata continuativa e diretta.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge quanto al riconoscimento della recidiva, nonostante i precedenti a carico del ricorrente fossero solo tre e datati.
2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge quanto al mancato rilievo del decorso del termine prescrizionale, essendo decorsi anni sette e mesi sei dalla data del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
Il primo motivo di ricorso – che concerne il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n. 7) cod. pen. – è manifestamente infondato poiché la Corte distrettuale ha valorizzato, per ritenere la sussistenza dell’aggravante, il fatto che il fondo non fosse soggetto a una vigilanza continuativa e diretta e che, solo per un caso fortuito, NOME COGNOME si era accorto della sottrazione in corso.
Tale conclusione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede è esclusa in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci a impedire la sottrazione della “res”, ostacolandone la facilità di raggiungimento, e non da condizioni di mero controllo saltuario ed eventuale (Sez. 5, n. 6351 del 08/01/2021, COGNOME, Rv.
280493; Sez. 4, n. 26131 del 26/02/2020, Timoniere, Rv. 280387; Sez. 5, n. 9245 del 14/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263258).
Confortano ulteriormente la conclusione circa la correttezza di questa impostazione – per il principio generale che affermano – i plurimi arresti di questa Corte in tema di rapporti tra l’aggravante in parola e l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza, laddove, secondo l’esegesi maggioritaria, la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza, che non garantisce l’interruzione immediata dell’azione criminosa, mentre soltanto una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. (Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, dep. 2021, Saja, Rv. 280157; Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265808; Sez. 5, n. 35473 del 20/05/2010, Canonica, Rv. 248168; Sez. 5, n. 6682 del 08/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239095).
Se, dunque, affinché possa essere esclusa la circostanza aggravante di cui sopra, è necessario che sia attuata una sorveglianza costante e che consenta un intervento immediato, correttamente il Collegio di merito ha escluso che tali condizioni si siano verificate nel caso di specie.
Quanto alla pretesa contraddittorietà motivazionale, il ricorrente non si avvede che l’antinomia che egli colloca a pag. 3 della sentenza impugnata non è tra due affermazioni entrambe della Corte territoriale, ma tra il resoconto che quest’ultima ha svolto della tesi difensiva (secondo la quale le persone offese avevano riferito di avere avuto il controllo sulla zona, sì da cogliere i responsabile del furto sul fatto) e la sua confutazione, che ha condotto, appunto, i Giudici di appello a confermare il riconoscimento dell’aggravante.
Il ricorso è, invece, fondato per quanto concerne il riconoscimento della recidiva (reiterata, specifica e infraquinquennale), da ritenersi non adeguatamente giustificato.
Sul punto la Corte di appello si è limitata ad affermare che la sua operatività «non può essere esclusa a cagione degli specifici, numerosi e anche recenti precedenti penali a suo carico»
Ebbene, su questo aspetto, ineludibile è il confronto con il recente approdo delle Sezioni Unite di questa Corte in tema, la sentenza n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878 che, chiamata a stabilire se, per il riconoscimento della recidiva reiterata, occorresse una precedente dichiarazione giudiziale di recidiva, ha affermato il principio secondo cui «In tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è
sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice».
L’autorevole precedente, in motivazione, ha però chiarito che «Con riguardo alla recidiva reiterata, il principio si traduce nella necessità che i fatti ogget delle pregresse condanne ed il nuovo delitto siano esaminati nelle loro connotazioni sintomatiche di un progressivo rafforzamento della determinazione criminosa e dell’attitudine a delinquere del reo»; e che «La valutazione, fra gli altri, del reato oggetto della seconda condanna precedente, nel suo apporto al consolidamento dell’attitudine a delinquere, è infatti in grado di motivare l’esistenza di una base recidivante che sostiene l’aumento corrispondente alla recidiva reiterata, in presenza di un nuovo delitto stimato come fattore indicativo di ulteriore rafforzamento della predetta attitudine».
E’ evidente, dunque, che, in caso di recidiva reiterata, ancorché non occorra una precedente dichiarazione di recidiva, si impone un approfondito esame delle caratteristiche del nuovo fatto e di quelli pregressi, al fine di enucleare gli indicatori della meritevolezza dell’inasprimento sanzionatorio, anche severo, che si correla alla circostanza in parola.
D’altra parte, la sentenza COGNOME si pone sulla scia di precedenti arresti delle Sezioni Unite sul tema della recidiva, secondo i quali la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito, quale fattore criminogeno, sulla commissione dei reati sub iudice, escludendo che si tratti di ricaduta occasionale (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, COGNOME; Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, COGNOME; Sez. U, 35738 del 27/05/2010, COGNOME).
Alla luce di queste considerazioni, la sentenza impugnata va annullata in punto di riconoscimento della recidiva, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.
Il ricorso è inammissibile quando predica la maturazione del termine massimo di prescrizione, che, invece, tenuto conto della recidiva riconosciuta (e non esclusa da questa Corte, ma solo oggetto del rilievo di un deficit motivazionale) e delle sospensioni, non è pari – come sostenuto in ricorso – a sette anni e sei mesi, ma maturerà solo oltre il 2025. Naturalmente, il tema della
prescrizione sarà affrontato dalla Corte di rinvio, in conseguenza della scelta che adotterà quanto al punto devoluto.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Lecce. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso 11/1/2024.