Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4587 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 4587  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MAGENTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/03/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, la quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Ancona ha confermato il giudizio di responsabilità reso, in esito di processo con rito abbreviato, dal Tribunale di Pesaro nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 497 bis, posto in continuazione col reato di cui agli artt. 477-482, cod. pen., per avere detenuto ed esibito una patente di guida risultata falsa, recante la sua fotografia, e una carta d’identità rilasciata dalle autorità rumene, a sua volta risultata falsa. All’imputato – condannato alla pena di anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione – sono state concesse le circostanze attenuanti generiche in regime d’equivalenza con la contestata recidiva reiterata. Nell’escludere che le circostanze generiche potessero essere concesse in regime di prevalenza, il Giudice dell’appello ha ritenuto l’aumento della quantità della pena disposto per la continuazione, ex art. 81, quarto comma, cod. pen., il minimo applicabile nella fattispecie in esame.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure ad un unico motivo, avente a oggetto vizio di motivazione, in relazione agli artt. 62 bis e 69, quarto comma, cod. pen. Si prospetta, inoltre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui tale disposizione prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., in relazione al reato di cui all’art. 497 bis cod. pen.
Nel rilevare la preclusione di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., la Corte territoriale non avrebbe avuto riguardo alle peculiarità del caso di specie e, segnatamente, alla lieve offensività del reato (“semplice uso di documenti falsi”, secondo le parole del ricorrente) per cui è intervenuta condanna. La non gravità del fatto renderebbe illegittima la previsione di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen., ove si considerino le numerose pronunce con cui la Corte costituzionale ha già riconosciuto l’illegittimità della citata disposizione con riferimento a reati non più gravi di quello oggetto del procedimento de quo. Il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva reiterata produrrebbe, secondo il ricorrente, «conseguenze sanzionatorie irragionevoli, finendo per equiparare casi oggettivamente lievi (come quello per cui si procede) a casi di particolare allarme sociale». Ponendosi in contrasto col principio di offensività e della proporzionalità della pena, la norma censurata violerebbe gli artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Si osserva, in via preliminare, che sussiste la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, in quanto il motivo di ricorso è incentrato sulla norma (art. 69, quarto comma, cod. pen.) che impone l’esclusione del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche in vista della contestata recidiva specifica. Non ravvisa però, il Collegio, la ricorrenza dell’altra condizione necessaria a sollevare la questione di legittimità costituzionale, vale a dire la non manifesta infondatezza della questione.
Prima di illustrare i motivi per cui questo Collegio non ravvisa dubbi di costituzionalità dell’art. 69, quarto comma, in relazione all’art. 497 bis, primo comma, cod. pen. con riguardo ai parametri costituzionali invocati dal ricorrente, è opportuno ricordare un dato che depriva di forza argomentativa l’eccezione di costituzionalità, così come prospettata dal ricorrente.
Il Giudice costituzionale, fin dalle prime pronunce di accoglimento di questioni di legittimità aventi a oggetto l’art. 69, ultimo comma, cod. pen., ha svincolato il sindacato sulla disciplina del bilanciamento tra circostanze dal riferimento ad altre discipline sanzionatorie: il cd. tertium comparationis si è, infatti, eclissato a mano a mano che il giudizio di costituzionalità andava incentrandosi, in maniera più o meno esclusiva, sulla censura, sic et simpliciter, di meccanismi di commisurazione sanzionatoria implicanti aumenti della pena eccessivi (e legati, in particolare, alla pregressa vicenda criminale del reo ovvero alle caratteristiche soggettive dello stesso).
Il ricorso in esame erroneamente insiste nel paragonare il regime sanzionatorio del reato di possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi, previsto dall’art. 497 bis, primo comma, cod. pen., con pene meno afflittive previste per altri reati (che la difesa giudica) “meno gravi”, citando precedenti della Consulta senza tuttavia considerare a fondo quanto notato poc’anzi a proposito della peculiare evoluzione della giurisprudenza costituzionale sul tema in parola.
È ben vero, come ricordato dal ricorrente, che deroghe al regime ordinario del bilanciamento tra circostanze, come disciplinato dall’art. 69 cod. pen., sono state ritenute costituzionalmente legittime, rientrando nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, a condizione (v., ad es., Corte cost., sent. n. 143 del
2021) di non trasmodare «nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (Corte cost., sent. n. 205 del 2017 e n. 68 del 2012; in senso conforme, sent. n. 88 del 2019), non potendo in alcun caso giungere «a determinare un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale» (sent. n. 73 del 2020 e n. 251 del 2012).
Vero è anche, come affermato dalla Consulta nella citata sentenza n. 143 del 2021, che l’art. 99, quarto comma, cod. pen., nel testo risultante dalla legge n. 251 del 2005, è stato oggetto di numerose dichiarazioni di illegittimità costituzionale, che hanno restituito al giudice la possibilità di ritenere, nell’ambito dell’obbligatorio giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee, la prevalenza, rispetto all’aggravante della recidiva reiterata, di singole circostanze attenuanti, che sono state distintamente, di volta in volta, oggetto di verifica di legittimità costituzionale.
Quanto appena ricordato restringe già il campo della fondatezza del dubbio di costituzionalità prospettato dal ricorrente, atteso che, in passato, i casi oggetto di pronunce di incostituzionalità (Corte cost., sent., n. 251 del 2012, n. 105 del 2014, n. 106 del 2014 e n. 2017 del 2017) hanno avuto a oggetto circostanze attenuanti a effetto speciale (tali essendo quelle che comportano una diminuzione maggiormente significativa della pena, perché superiore ad un terzo: art. 63, terzo comma, cod. pen.), non già circostanze attenuanti generiche, come nel caso in esame.
Sebbene, in tempi più recenti, il Giudice delle leggi si sia spinto oltre, dichiarando l’illegittimità costituzionale della stessa disposizione attualmente censurata (art. 69, quarto comma, cod. pen.) anche in riferimento a circostanze attenuanti comuni, ciò è avvenuto in ragione di altri / concorrenti profili di specialità. A tal proposito, la Corte costituzionale ha ricordato (nella cit. sentenza n. 143 del 2021), ad esempio, la diminuente del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen., che è stata ritenuta espressiva di «una ridotta rinnproverabilità, derivante dal minor grado di discernimento dell’autore della condotta (sentenza n. 73 del 2020). Sicché l’inderogabile divieto di prevalenza di tale diminuente sulla recidiva reiterata non è stato ritenuto compatibile con l’esigenza, di rango costituzionale, di determinazione di una pena proporzionata e calibrata sull’effettiva personalità del reo».
Analoga dichiarazione di illegittimità costituzionale -ha ricordato ancora la Consulta nella cit. sentenza n. 143 del 2021- ha avuto a oggetto «il divieto di prevalenza della diminuente di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., che, pur essendo anch’essa un’attenuante comune e non già ad effetto speciale, assolve però, per la peculiarità della fattispecie, a una «funzione di necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio» nel caso in cui, nel concorso di più
persone nel reato ai sensi dell’art. 116, primo comma, cod. pen., il reato commesso risulti essere più grave di quello voluto da taluno dei concorrenti (sentenza n. 55 del 2021)».
Ebbene, nota il Collegio come, nel caso di specie, non ricorrano quelle particolari esigenze di riequilibrio del trattamento sanzionatorio. Infatti, l’art. 497 bis, primo comma, cod. pen., per il quale l’imputato è stato condannato, prevede la sanzione della pena detentiva, con una “forbice” da due a cinque anni, che assicura al giudice – anche tenuto conto del limitato spettro di variabilità offensiva delle condotte di uso del documento falso – ampio margine di discrezionalità per rendere la pena quanto più possibile proporzionata al fatto, pur in presenza di una reiterata recidiva, la cui sussistenza, lungi dall’ancorarsi ad un mero stato soggettivo, presuppone comunque una correlazione con il fatto commesso, come, da ultimo ribadito, da Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878 01.
La «funzione di necessario riequilibrio del trattamento sanzionatorio» è stata ravvisata dalla Corte costituzione nell’attenuante del «fatto di lieve entità» nel reato di sequestro di persona a scopo di estorsione; «ciò essenzialmente in ragione dell’esigenza di mitigare la risposta sanzionatoria di eccezionale asprezza (sentenza n. 68 del 2012), prevista da una legislazione emergenziale che aveva elevato notevolmente il minimo e il massimo della pena della reclusione per contrastare gravissimi fatti di criminalità organizzata, ricorrenti in passato, lasciando tuttavia inalterata la definizione della fattispecie del reato con la conseguenza di ricomprendere anche condotte assai meno gravi». Con riferimento al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, il Giudice delle leggi ha spiegato che «la peculiarità del rigido regime sanzionatorio edittale previsto per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione – che vede una pena detentiva molto elevata, sia nel minimo (venticinque anni di reclusione), sia nel massimo (trenta anni), all’interno di una “forbice” ridotta a soli cinque anni – e la necessaria funzione di riequilibrio della diminuente» comportavano che la disciplina censurata, nel precludere al giudice, nel bilanciamento delle circostanze, la possibilità di prevalenza della diminuente del «fatto di lieve entità» sulla recidiva reiterata, finiva per disconoscere il principio della necessaria proporzione della pena rispetto all’offensività del fatto. Di talché «l’esigenza di assicurare anche per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, attenuato dalla lieve entità del fatto, una pena adeguata e proporzionata alla differente gravità del fatto-reato diventava, in quel caso, più stringente proprio in considerazione di tale particolare cornice ed itta le». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Non si riscontrano, dunque, dubbi di costituzionalità nella norma in parola, attesa l’assenza di un particolare inasprimento sanzionatorio, ciò che non rende
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attuale la necessità di restituire al giudice flessibilità applicativa della sanzione, flessibilità che gli è garantita, come si è visto, dalla struttura stessa dell’art. 497 bis, primo comma, cod. pen. In particolare, non si ravvisa alcun contrasto tra la norma della cui costituzionalità il ricorrente dubita e il principio della proporzionalità della pena, di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. Neppure è individuabile un contrasto col principio di offensività e con l’art. 25, secondo comma, Cost., posto che la gravità del reato in parola (possesso di documenti di identificazione falsi), dipende dal rango degli interessi tutelati dalla norma (pubblica fede, su cu già v. già Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990, Casarola, Rv. 185131 – 01), così come dall’intensità della lesione cagionata, per il tramite della condotta dell’imputato, a quegli interessi stessi.
Per i motivi fin qui esposti, ritiene il Collegio che il ricorso vada rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, in data 1/12/2023
Il Consigliere estensore
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Il Presidente