Recidiva Reiterata: Quando le Attenuanti non Possono Prevalere
Nel diritto penale, la determinazione della pena è un processo complesso che richiede al giudice di bilanciare diversi fattori. Tra questi, le circostanze del reato, che possono essere aggravanti o attenuanti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 1016/2024) ha ribadito un principio fondamentale riguardo al limite del potere discrezionale del giudice in presenza di una recidiva reiterata. Questo caso offre uno spunto cruciale per comprendere come la precedente condotta di un imputato possa influenzare in modo decisivo l’esito del giudizio.
I Fatti del Caso: un Ricorso contro la Condanna per Furto
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di furto in abitazione. La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva concesso le circostanze attenuanti generiche, ritenendole però solo equivalenti alla contestata recidiva, e non prevalenti. L’imputato, ritenendo la pena eccessiva, ha proposto ricorso in Cassazione. Il suo unico motivo di doglianza si basava proprio su questo punto: a suo avviso, i giudici avrebbero dovuto far prevalere le attenuanti sulla recidiva, con una conseguente riduzione della sanzione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo “manifestamente infondato”. La decisione non è entrata nel merito delle circostanze specifiche del caso, ma si è basata su un principio normativo inderogabile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Il Divieto Imposto dalla Legge sulla Recidiva Reiterata
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 69, ultimo comma, del codice penale. Questa norma stabilisce un divieto esplicito: non è possibile concedere la prevalenza delle circostanze attenuanti (siano esse generiche o specifiche) sulla recidiva, qualora quest’ultima sia del tipo previsto dall’articolo 99, commi 2 e 4, del codice penale. Si tratta dei casi di recidiva reiterata (quando il nuovo reato è commesso da chi è già recidivo) e specifica (quando il nuovo reato è della stessa indole del precedente).
La Corte ha sottolineato come il ricorso dell’imputato si ponesse in “palese contrasto con il dato normativo”. La richiesta di far prevalere le attenuanti era, di fatto, una richiesta contra legem, ovvero contraria a una precisa disposizione di legge. In questi casi, il potere discrezionale del giudice è limitato: può concedere le attenuanti e dichiararle equivalenti all’aggravante della recidiva, ma non può in alcun modo farle prevalere. La decisione della Corte d’Appello era, pertanto, l’unica legalmente possibile.
Conclusioni: L’Impatto della Recidiva Reiterata sulla Pena
L’ordinanza in esame riafferma un caposaldo del sistema sanzionatorio penale. La presenza di una recidiva reiterata non è un semplice elemento da valutare, ma un ostacolo normativo insormontabile alla prevalenza delle circostanze attenuanti. Questa previsione legislativa riflette la volontà di trattare con maggior rigore chi dimostra una particolare inclinazione a delinquere, perseverando nella commissione di reati. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, la lezione è chiara: la storia criminale di un soggetto ha un peso specifico e predeterminato dalla legge nel bilanciamento delle circostanze, limitando drasticamente la possibilità di ottenere una riduzione di pena basata su elementi attenuanti.
È possibile ottenere la prevalenza delle attenuanti generiche in presenza di una recidiva reiterata e specifica?
No, l’articolo 69, ultimo comma, del codice penale lo vieta espressamente. In questi casi, il giudice può al massimo dichiarare le circostanze attenuanti equivalenti alla recidiva, ma non prevalenti.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione si basa su una richiesta che la legge vieta?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.
Qual era l’unico motivo del ricorso presentato dall’imputato nel caso di specie?
L’imputato si doleva della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con un giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva e, di conseguenza, riteneva eccessiva la pena che gli era stata inflitta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1016 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1016 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN PIETRO VERNOTICO il 25/12/1979
avverso la sentenza del 08/02/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del 29 giugno 2017 del Tribunale di Brindisi che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di furto in abitazione e, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 7, cod. pen. e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia;
che il primo ed unico motivo di ricorso dell’imputato, che si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva nonché in ordine alla misura eccessiva della pena inflitta, è manifestamente infondato in quanto prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità e con il dato normativo, ostandovi il divieto di cui all’art. 69, ultimo comma, cod. pen. il quale afferma che non è possibile pervenire ad un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche in presenza di un soggetto gravato da recidiva reiterata e specifica ai sensi dell’art. 99, comma 2 e 4 cod. pen.;
che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 13/12/2023.