Recidiva reiterata: quando la storia criminale allunga i tempi della giustizia
La recidiva reiterata è un istituto del diritto penale che assume un’importanza cruciale nel calcolo della prescrizione di un reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza questo principio, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato che sperava di beneficiare dell’estinzione del reato per il decorso del tempo. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere come il passato criminale di un soggetto possa influenzare direttamente l’esito di un procedimento penale, in particolare impedendo l’applicazione della prescrizione.
I fatti del caso
Un imputato, condannato dalla Corte d’Appello, ha presentato ricorso in Cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava la presunta mancata dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, un’eccezione che era stata sollevata persino dal Procuratore Generale durante il processo d’appello. Secondo la difesa, il termine massimo per poter perseguire il reato era ormai spirato. La tesi del ricorrente si basava su un calcolo del tempo che, tuttavia, non teneva conto di un elemento fondamentale del suo passato giudiziario.
La decisione della Corte di Cassazione e la recidiva reiterata
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente motivato la sua decisione, facendo un richiamo pertinente a una diversa e più lunga data di maturazione del termine prescrizionale. Questo slittamento temporale non era un errore, ma la diretta conseguenza della recidiva reiterata contestata e ritenuta sussistente a carico dell’imputato. Il ricorso, pertanto, non aveva alcuna possibilità di essere accolto.
Le motivazioni: perché la recidiva reiterata ha bloccato la prescrizione
La motivazione della Corte di Cassazione è netta e si fonda su un principio consolidato. La legge prevede che la presenza di determinate circostanze aggravanti, come la recidiva reiterata, incida sui termini di prescrizione, aumentandoli. Nel caso specifico, la sentenza impugnata aveva sottolineato non solo i precedenti penali dell’imputato, ma anche la sua ‘accresciuta pericolosità’.
La Corte d’Appello, quindi, non aveva commesso alcuna illogicità nel rigettare la richiesta di prescrizione. Al contrario, aveva correttamente applicato la normativa che impone di considerare la storia criminale dell’imputato nel calcolo dei tempi necessari per estinguere il reato. Il ricorso in Cassazione è stato giudicato ‘manifestamente infondato’ proprio perché ignorava questa chiara disposizione di legge, basandosi su una premessa errata. Di fronte a una motivazione così precisa da parte dei giudici di merito, l’impugnazione non poteva che essere respinta.
Le conclusioni: implicazioni pratiche
L’ordinanza in esame ribadisce un concetto fondamentale: la recidiva non è una mera etichetta, ma una condizione giuridica con pesanti conseguenze pratiche. Per chi ha commesso ripetuti reati, la possibilità che un processo si estingua per prescrizione si riduce notevolmente. Questa pronuncia serve anche da monito sull’importanza di formulare ricorsi solidi e ben argomentati. Un ricorso basato su motivi manifestamente infondati non solo viene dichiarato inammissibile, ma comporta anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie con la condanna al versamento di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto manifestamente infondato. Il motivo di ricorso, basato sulla presunta prescrizione del reato, era palesemente errato poiché non teneva conto degli effetti della recidiva sul calcolo dei termini.
In che modo la recidiva reiterata ha influenzato la decisione sulla prescrizione?
La recidiva reiterata, contestata e ritenuta sussistente a carico del ricorrente, ha comportato un allungamento del termine di prescrizione. La Corte d’Appello aveva correttamente calcolato una data di maturazione della prescrizione più lontana nel tempo proprio a causa di questa aggravante, rendendo la richiesta del ricorrente infondata.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15246 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15246 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a CARRARA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/01/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso con il quale si deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla richiesta di non doversi procedere per prescrizione avanzata nelle conclusioni dal Procuratore generale in sede di appello, è manifestamente infondato avendo la Corte di merito fatto pertinentemente richiamo alla diversa data di maturazione del termine prescrizionale per effetto della contestata e ritenuta recidiva reiterata (si veda, in particolare, pag. 2 della sentenza impugnata in cui si parla non solo di precedenti penali ma di accresciuta pericolosità);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 06/03/2024
Il consigliere estensore
Il presidente