Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2817 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2817 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/10/2024
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Regolo Calabria ha confermato la pronuncia del Tribunale di Palmi emessa in data 25/06/2015 che, all’esito di giudizi() dibattimentale, aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile di reati di usura aggravata ai sensi dell’art. 644 comma quinto n. 3 e 4 cori peri, in danno di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (capo a), di estorsione aggravata per avere commesso il fatto al fine di realizzare delitto di cui al capo a) in danno di COGNOME NOME; lo aveva quindi condannato– ritenuta ed applicata la recidiva reiterata- alla pena di anni otto mesi due di reclusione , ed euro 1.300,00 di multa.
I-la proposto ricorso per cassazione l’imputata, tramite i difensori di fiducia, articolando i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma l lett, b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta attendibilità delle persone offese i cui portati dichiarativi sono stati posti a fondamento dei giudizio di responsabilità nonostante la genericità, imprecisione e contraddittorietà degli stessi e l’assenza di elementi di riscontro.
Ancorchè oggetto di specifico motivo di appello, la Corte territoriale non avrebbe proceduto al preliminare vaglio di tali narrati.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 125 codice di rito e 644 cod. pen.
Deduce la difesa che gli elementi probatori valorizzati aeila sentenza impugnata non sono idonei a dimostrare “oltre ogni ragionevole dubbio” la responsabilità dell’imputata in relazione ai contestati delitti di usura ; in )articolare non è provato il carattere usurario del tasso di interesse praticato sulle somme di denaro oggetto di prestito che ia Corte di appello, senza accertare l’effettiva consegna del capitale, ha ricavato esclusivamente dalle dichiarazioni dibattimentali delle persone offese, da ritenersi tuttavia inattendibili.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 ; comma 1 lett, b), c) ed e) cod. proc. pen., con riferimento all’art. 629 cod. pen.
Secondo la difesa, manca la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’elemento costitutivo dell’estorsione rappresentato dalla violenza e/o n naccia, e comunque della riconducibilità all’imputata della condotta di coartazione che la Corte territoriale ha affermato basandosi, ancora una volta, esclusivamente sui portato dichiarativo della persona offesa NOME NOME, poco chiaro e generico. Del resto – si afferma testualmente nel ricorso – che dalla escussione delio stesso COGNOME emerge, quanto al profilo del provento estorsivo, ” al più l’esistenza di un accordo spartitorio ma non la effettiva attuazione di detto accordo, airtie. , .no per quanto concerne la figura della odierna ricorrente così da non potersi escludere che l’accordo in questione fosse stato solamente progettato ma mal stipulato”.
2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 606, con ima il. lette b), c) ed e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 157 cod. peri.
Deduce la difesa che in relazione ad entrambi i delitti contestati !a Corte di appello avrebbe dovuto pervenire a declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione. Nel caso di specie il termine di prescrizione decorre can anno 1902 (epoca nella quale si colloca la fase inziale della attività illecita, ovvero i primo accordo usurario) e quindi per calcolare il massimo della pena edittaie dee farsi riferimento, in quanto più favorevole, alla forbice “da uno a sei anni di reclusione” prevista per i fatti consumati in epoca antecedente alla legge 5 dìcen.L’e 2005 n. 251 la quale ha elevato il trattamento sanzionatorio determinandoio, quanto alla componente detentiva, nella misura “da due a dieci anni di reclusione”.
2.5. Con i quinto motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., con riferimento all’art. 99 cod. pen,. sotto profilo della mancata esclusione della ritenuta recidiva reiterata che avrebbe imposto !a declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione dei reati.
La Corte di appello ha applicato l’aggravante in questione, nonostante la risaienza nel tempo delle pregresse condanne penali che hanno ad ogd Li° reati non specifici e cioè privi di relazione qualificata con i fatti oggetto dei presente giudizio (lesioni personali, favoreggiamento e ricettazione) e dunque non espressivi di maggiore pericolosità sociale; non ha neppure considerato che l’imputata non era già stata dichiarata recidiva all’epoca di commissione dei delitti per cui qui si procede.
La Corte territoriale ha poi applicato un “aumento fisso di 2/3 per fa retidiva in forma reiterata” che è in contrasto con i principi costituzionali di proporzionalità della pena (art. 27 Cost.), di ragionevolezza ed uguaglianza ( art. 3 Cost.), mentre avrebbe dovuto invece essere di entità minore alla luce del fatto che i ve…e-dei -1’U penali non sono specifici e l’imputata non è già stata dichiarata quale soggetto recidivo.
2.6. Con il sesto motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 644, comma quinto, n. 3 e 4 cod. pen. sotto il profilo della mancata esclusione delle aggravanti contestate.
Al riguardo la difesa deduce che non vi è prova in atti della consapevolezza in capo all’imputata dello stato di bisogno delle persone offese, né la stessa può ricavarsi dalla entità degli interessi praticati al momento della contrazione dei prestito da parte dei presunti usurati.
2.6. Con I settimo motivo si deduce la violazione dell’art. 606, comma I ett. b), c) ed e), cod. proc. pen. con riferimento agii artt. 133, 62 bis, 69, comma secondo, e 81 cod. pen.
La Corte di appello ha escluso il riconoscimento di attenuanti generiche (che avrebbe dovuto concedere con giudizio di prevalenza sulle aggra pur in presenza di elementi meritevoli di considerazione rappresentati dal comportamento processuale collaborativo (l’imputata si è sottoposta ad interrogatorio), dalla assenza di precedenti penali specifici, dall’età avanzata e dalle precarie condizioni di salute.
La sentenza impugnata è infine censurata anche in punto di commisurazione della pena con particolare riferimento all’entità degli aumenti operato a titolo di continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso va dichiarato inammissibile.
2.Manifestamente infondati sono i primi tre motivi di ricorso che possono essere trattati congiuntamente poiché tutti incentrati sul tema della inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persone offese del delitto di usura (quanto a NOME NOME, anche del reato di estorsione) sulle quali è stato fondato i giudizio di responsabilità, anche con riferimento al carattere usurario del tasso di inteesse praticato sulle somme oggetto di prestito, alla sussistenza deii’elemento costitutivo dell’estorsione (la minaccia) e, infine, alla riconducibilità all’imputat della contestata condotta di coartazione.
2.1. La Corte di appello (pagine da 12 a 18 della sentenza impugnata) ha affrontato e puntualmente vagliato il profilo della attendibilità della testimonianza resa da ciascuna delle persone offese dai reati (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME).
Più precisamente, ha dato conto dei contenuto intrinseco dei singoli portati dichiarativi raccolti in dibattimento in relazione alle caratteristiche di concessione dei prestiti da parte dell’imputata (ritenuti chiari e non contrai:1 , 1ton rispetto al
nucleo essenziale dei fatti) evidenziando, in risposta alle aporie prospettate nell’atto di appello, che le divergenze rispetto a ciascun narrato reso in fase di indagini attingevano aspetti marginali delle vicende e si giustificavano con il lungo tempo trascorso dai fatti; sottolineava inoltre che le persone offese non si erano neppure costituite parti civili, nè erano emersi a loro carico possibili i -itenti calunniatori.
I giudici di secondo grado hanno anche confutato le censure difensive in punto di mancato riscontro ai racconti delle vittime del reato, ponendo in luce come, invece, le singole testimonianze non solo trovavano precise conferme esterne nel carteggio documentale acquisito in dibattimento ma erano anche del tutto concordanti tra loro, così da riscontrarsi reciprocamente, e financo avallate da talune ammissioni rese dalla stessa imputata.
La sentenza impugnata, ben diversamente da quanto sostenuto dale difese ricorrenti, ha dunque condotto un autonomo accurato vaglio ri i intera testimonianza offerta dalla persona offesa, senza incorrere in alcuna manifesta contraddizione ed anzi applicando correttamente I principio ampiamente consolidato di questa Corte secondo cui, in tema di valutazione della prova testimoniale, le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste anche oa sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e della attendibilità intrinseca del suo racconto, non essendo richiesta la presenza di riscontri (nella specie, ritenuti comunque ampiamente esistenti) che Si reputano opportuni, ancorchè non necessari, solo ove la persona offesa si sia costituita parte civile e che, in ogni caso, non debbono assistere ogni segmento del a narrazione in quanto la loro funzione è quella di asseverare la credibilità soggettiva, cosi come non debbono riguardare ogni aspetto oggettivo e soggettivo della vicenda ma piuttosto apparire idonei a sorreggere la ragionevole convinzione che i dichiarante non abbia mentito (Sez. ti, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte Rv. 253214; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv.265104; Sez. 5, e. 21135 del 26/03/2019, Rv. 275312).
Con tale ampio apparato argomentativo le difese ricorrenti non si confrontano e si limitano a genericamente riproporre a questa Corte il terna dei vaglio di attendibilità delle fonti dichiarative, così finendo per prospettare una diversa “lettura” degli elementi istruttori, operazione non consentita in sede di legittimità.
2.2. Non si ravvisa alcuna violazione di legge relativamente all’art. (344 cod. pen., né vizi di motivazione riconducibili all’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen.
Dalla ritenuta attendibilità della ricostruzione offerta da ciascuna persona offesa con riferimento al rapporto di debito- credito oggetto delle imputazioni, ia
Corte di appello ha fatto correttamente discendere il carattere onorario dell’interesse praticato sulle somme di denaro, indicato, appunto, dalle vittime nella misura del 1.0 0/0 mensile sui capitale con ulteriore capitalizzazione degli interessi mensilmente non pagati ed anche corroborato dalla documentazione in atti.
Tali GLYPH testimonianze, GLYPH proprio GLYPH perché GLYPH ritenute GLYPH pienamente GLYPH affidabili, costituiscono di per sé prova certa della integrazione dell’elemento oggettivo del reato di usura, tenuto conto della misura esorbitante degli interessi praticati sui prestiti concessi (in tal senso Sez. 2, n. 10191 del 15/12/2023, Cimmince Rv. 286053)
Del resto, le difese ricorrenti si sono limitate, ancora una v0;13, ad una generica censura senza documentare in alcun modo l’eventuale mancato superamento del tasso soglia stabilito dal Ministero dell’Economia, che è un dato pubblico e di facile reperimento.
2.3. Considerazioni analoghe valgono con riferimento alla dedotta violazione di legge relativamente all’art. 629 cod. pen. e ai vizi di motivazione riconducibili all’art. 606, comma 1 lett. e), codice di rito.
Anche con riferimento alla prova dell’esercizio di M flaCCe oa parte dell’imputata nei confronti di COGNOME NOME con conseguente integrazione dell’elemento costitutivo del delitto di estorsione, la stessa è stata fatta discendere dal portato dichiarativo reso dallo stesso COGNOME previo ampio ed approfondito vaglio di attendibilità – che in dibattimento ha descritto le cadenze del rapporto di prestito ed anche il contenuto preciso delle minacce proferite personalmente dalla COGNOME per ottenere i pagamenti non onorati che lo avevano indotto anche a firmare cambiali.
La violenza o minaccia posta in essere per ottenere il pagamento di un credito di natura usuraria ed in particolare degli interessi pattuiti integra I delitto d estorsione che concorre con la fattispecie di cui all’art. 644 cod. pen. (Sez. 2, n. 38551 del 26/04/2019, COGNOME, Rv. 277090-02)
E’ manifestamente infondato anche il quinto motivo di ricorso con i quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di sussistenza e comunque di mancata disapplicazione della contestata recidiva reiterate, nonché in relazione alla entità dell’aumento di pena per essa operato.
Con riferimento al rilievo per cui la Corte di appello avrebbe ritenuto integrata l’aggravante, senza verificare se l’imputata fosse stata già dichiarata recidiva all’epoca della commissione dei reati e se questi ultimi fossero espressivi di maggiore pericolosità sociale, va richiamato il principio di diritto affermato con la pronuncia a Sezioni Unite n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878
secondo cui, in tema di recidiva reiterata contestata nei giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione, è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice.
La Corte di appello (pag. 19 della sentenza impugnata) ha evidenziato come la COGNOME risultava attinta da plurime condanne precedenti ipe . favoreggiamento, ricettazione ed una proprio per il delitto di usura, commesso nel medesimo arco temporale nel quale erano stati realizzate le condoete illecite oggetto di giudizio. I delitti in contestazione – ponendosi in stretta continuità con vari pregressi reati, anche di natura specifica – erano signini ativ di una pericolosità sociale sempre più ingravescente. Ha inoltre sottolineato come tale giudizio di rafforzata colpevolezza, fondato sui precedenti penali, trovava riscontro nella circostanza che l’imputata aveva riportato anche successivamente condanne per violenza privata, usura, estorsione ed associazione mafiosa.
I giudici di secondo grado hanno dunque motivato adeguatamente in punto di concreta applicazione della ritenuta recidiva.
Diversamente da quanto dedotto dalle difese ricorrenti, la Corte territoriale non ha affatto applicato un aumento di due terzi della sanzione base stabilita per il reato più grave, bensì ha confermato la pena inflitta dai primo giudice che, per tale aggravante (contestata nella sola forma reiterata), aveva effettuato l’aumento della metà, con corretta applicazione del disposto di cui all’art. 99, comma terzo, cod. pen.
La adombrata questione di legittimità costituzionale concei nenie io incompatibilità di un aumento fisso della recidiva rispetto ai principi di gradualità e finalità della pena è già stata affrontata proprio dalla Corte costituzionale e risolta nel senso della manifesta infondatezza affermando che la scelta legislativa di prevedere per talune forme di recidiva un aumento di pena fisso e per altre. (la sola recidiva aggravata) un aumento variabile, non comporta alcuna violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, non essendo dimostrato che la soluzione normativa adottata sia atta a produrre sperequazioni prive di qualsiasi ratio giustificativa, nel trattamento sanzionatorio di situazioni omogenee; né sussiste l’asserita violazione degli artt. 25 e 27 Cost., in quanto ;a tendenziale contrarietà delle pene fisse al “volto costituzionale” dell’illecito peiiale deve intendersi riferita alle pene fisse nel loro complesso e non anche ai trattamenti sanzionatori che coniughino articolazioni rigide ed articolazioni elastiche, in maniera tale da lasciare comunque adeguati spazi alla discrezionaiità del giudice, ai fini dell’adeguamento della risposta punitiva alle singole fattispecie concrete,
tanto più che il giudice è chiamato previamente a valutare se appiicare o meno l’aumento di pena per l’aggravante in questione (Corte cost., ord. n. 91 del 2008)
Non supera il vaglio di inammissibilità neppure il sesto motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione di legge e il vizio di motivazione in punto di mancata esclusione delle aggravanti di cui all’art. 644, comma quinto n. 3 e 4, cod. pen.
La doglianza è generica sia perché le difese ricorrenti alcunchè deducono con riferimento alla circostanza dell’esercizio di una attività imprenditoriale da parte di COGNOME NOME contestata in imputazione e richiamata in sentenza, sia perché, con riferimento allo stato di bisogno delle persone offese, lamentano l’assenza di prova in capo all’imputata della consapevolezza di tale condizione senza confrontarsi con le due pronunce di merito che e saldandosi tra loro- pongono in luce, valorizzando la attendibile ricostruzione offerta dalle persone offese, come anche alla COGNOME fosse noto l’impellente assillo di natura economica, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale, di coloro i quali si erano indotti a ricorrere ai credito a condizioni fortemente sfavorevoli.
E’ manifestamente infondato anche il quarto motivo di ricorso in terna di estinzione dei reati per prescrizione che, secondo i ricorrenti, sarebbe maturata in epoca antecedente alla pronuncia di secondo grado.
La questione non risulta essere stata proposta nell’atto di appello, rria dedotta in sede di conclusioni all’udienza del 7.12.2023.
Per quanto sin qui argomentato, devono ritenersi integrate n reazione al delitto di usura sia le aggravanti ad effetto speciale contemplate agli artt. 644, comma quinto n. 3 e 4, cod. pen., sia la recidiva reiterata.
Nelle due sentenze di merito si è ricostruito che le condotte di usai a, niziate nel 1992, si sono protratte sino al dicembre 2007 (così corno indicato in imputazione) e le difese ricorrenti non hanno confutate tale ricostruzione indicando elementi incontrovertibili dai quali ricavare che la protrazione si sia arrestata in epoca antecedente al dicembre 2005.
Il termine di prescrizione, quanto alla fattispecie di cui all’art. 644 cod. pen., va fatto dunque calcolato a partire dal 1 dicembre 2007 dovendosi ricordare il consolidato orientamento di legittimità, che qui si ribadisce, secondo cui il delitto di usura si configura come reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti ed i comportamenti compiuti in esecuzione del patto usurario segnano il momento consumativo sostanziale del reato e, dunque, non sono qualificabili come post-facturn non punibile (cfr, da ultimo, Sez. 2, ri. 35878 del 23/09/2020, Bianchi, Rv. 280313).
Per calcolare il massimo della pena edittale per il delitto di usura deve farsi quindi riferimento al range edittale detentivo introdotto dall’art. 2, cornmet 1, della legge 5 dicembre 2005 n. 251 (reclusione da 2 a 10 anni, con aumento da un terzo alla metà per le ipotesi aggravate).
Ne consegue, nella specie, che per l’addebito di usura, considerate le aggravanti e la recidiva reiterata (la quale comporta l’aumento della metà, incidente sia sul calcolo prescrizionale minimo, sia – in presenza di atti Internativisu quello massimo), il termine di prescrizione, decorrente dai giorno 1/12/2007 va individuato in anni 33 e mesi 9 (anni 15 + 1 /2= anni 22 mesi 6, da aumentare ulteriormente della metà), non decorso al momento della pronuncia di secondo grado.
Quanto al delitto di estorsione la cui pena massima è pari ad anni dieci di reclusione, il termine di prescrizione, anche ove lo si voglia fa decorrete dall’agosto 2005 (giorno della denuncia sporta dalla persona offesa NOME NOME), va calcolato in anni 22 e mesi 6 (anni dieci –t-1/z anni 15 da aumentare ulteriormente della metà), sicchè anch’esso non si era perfezionato all’atto della definizione del giudizio di appello.
Sono infine inammissibili le doglianze dedotte nei settimo motivo di ricorso in punto di trattamento sanzionatorio.
6.1. La Corte territoriale, ;ungi dal ricorrere ad argomentazione meramente apodittica, con motivazione puntuale ha negato le attenuanti generiche dando rilievo al numero delle condotte usurarie realizzate in danno di più soggetti (dato ritenuto sintomatico di professionalità) e al ruolo non marginale ricoperto dall’imputata evidenziando, altresì, l’assenza di elementi positivamente valutabili ed in particolare del comportamento processuale collaborativo prospettato nell’atto di appello.
In GLYPH tema GLYPH di GLYPH circostanze, GLYPH ai GLYPH fini GLYPH del GLYPH diniego GLYPH della GLYPH concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisi comunque rilevanti (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, Bianchi, Rv. 232693).
6.2. La sentenza impugnata ha anche ritenuto congrua la pena in concreto irrogata dal primo giudice evidenziando come la sanzione inflitta per II più grave delitto di estorsione era attestata sul minimo edittale e gli aumenti operati a titolo di continuazione per i tre fatti di usura aggravata (per ciascuno pari a mesi due di reclusione ed euro 100,00 di multa) erano da considerarsi minimi.
Va ricordato che la graduazione del trattamento sanzionatotio, anche in relazione agli aumenti a titolo di continuazione, rientra nel potere discrezionale del
giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché nel giudizio di cassazione è inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv, 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142).
Va anche ribadito che, quando la pena si attesti in misura non troppo distante dal minimo, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni dei tipo: “pena congrua” o “pena equa” (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36103 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153), mentre «una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di queiia edittale» (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., non mass. sul punto).
7. Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna dell’imputata al pagamento delle spese processuali e, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorso (Corte CosL 13 giugno 2000 n. 186), al versamento della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che l’impugnazione è stata esperita per ragioni manifestamente infondate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremiia in favore della cassa delie ammende. Così deciso il giorno 01/10/2024.