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Recidiva Reiterata: Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 28/11/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando un principio cardine del diritto penale: le circostanze attenuanti generiche non possono prevalere sull’aggravante della recidiva reiterata. La Corte ha inoltre ribadito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere eccepita per la prima volta in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Reiterata: la Cassazione ribadisce il divieto di prevalenza delle attenuanti

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione relativa al bilanciamento tra circostanze attenuanti e l’aggravante della recidiva reiterata. La decisione conferma la solidità di un principio consolidato, respingendo le censure di incostituzionalità e chiarendo i limiti per la deduzione di nuove questioni in sede di legittimità. Analizziamo nel dettaglio questa pronuncia e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello di Bari. Il ricorrente sollevava due principali motivi di doglianza. In primo luogo, contestava la costituzionalità dell’articolo 69, comma 4, del codice penale. Questa norma vieta al giudice di considerare prevalenti le circostanze attenuanti generiche rispetto all’aggravante della recidiva reiterata, prevista dall’articolo 99, comma 4, del codice penale. Secondo il ricorrente, tale divieto violerebbe i principi di uguaglianza e di proporzionalità della pena.

In secondo luogo, l’imputato chiedeva per la prima volta in Cassazione l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’articolo 131-bis del codice penale, motivo che non era stato sollevato nei precedenti gradi di giudizio.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte. I giudici di legittimità hanno ritenuto entrambe le questioni sollevate manifestamente infondate e in palese contrasto con il dato normativo e la giurisprudenza consolidata. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisando elementi per ritenere che il ricorso fosse stato proposto senza colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Le Motivazioni: la gestione della recidiva reiterata

Le motivazioni della Corte si articolano su due fronti, corrispondenti ai motivi del ricorso.

La legittimità del divieto di prevalenza

La Cassazione ha ribadito che la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 69, comma 4, del codice penale è manifestamente infondata. La giurisprudenza ha già chiarito che tale norma, pur derogando all’ordinaria disciplina del bilanciamento tra circostanze, non crea una sproporzione irragionevole nel trattamento sanzionatorio.

Il divieto di far prevalere le attenuanti generiche sulla recidiva reiterata si fonda sulla necessità di valorizzare la componente soggettiva del reato. La plurima ricaduta dell’imputato in condotte penalmente rilevanti è un indicatore di una maggiore pericolosità sociale e di una spiccata tendenza a delinquere, che il legislatore ha inteso sanzionare con maggiore rigore. La deroga, pertanto, è limitata e giustificata dalla natura stessa dell’aggravante, senza violare i principi costituzionali.

L’inammissibilità del motivo sulla particolare tenuità del fatto

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto per ragioni procedurali. La Corte ha ricordato che, in base all’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale, non è possibile dedurre per la prima volta in Cassazione questioni che non sono state sollevate nei gradi di merito, a meno che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non rientra in questa categoria. Poiché tale norma era già in vigore al momento della decisione della Corte d’Appello, l’imputato avrebbe dovuto sollevare la questione in quella sede. Non avendolo fatto, il motivo è stato ritenuto inammissibile in Cassazione.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida due importanti principi del diritto penale e processuale. In primo luogo, rafforza la legittimità del trattamento sanzionatorio più severo previsto per la recidiva reiterata, confermando che la scelta del legislatore di limitare il potere discrezionale del giudice nel bilanciamento delle circostanze è conforme alla Costituzione. In secondo luogo, sottolinea la natura preclusiva del processo penale, ricordando ai difensori l’importanza di sollevare tutte le questioni rilevanti nei gradi di merito, pena l’impossibilità di farle valere successivamente dinanzi alla Corte di Cassazione. La pronuncia serve quindi come monito sulla corretta strategia processuale e sulla portata della recidiva nel sistema sanzionatorio.

Le circostanze attenuanti generiche possono essere considerate prevalenti sulla recidiva reiterata?
No. L’articolo 69, comma 4, del codice penale vieta espressamente al giudice di ritenere prevalenti le attenuanti generiche sull’aggravante della recidiva reiterata. Secondo la Corte di Cassazione, questa norma è costituzionalmente legittima.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
No. Se la norma sulla particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) era già in vigore al momento della sentenza d’appello, la questione deve essere sollevata in quella sede. In caso contrario, il motivo non può essere dedotto per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione, come previsto dall’art. 606, comma 3, c.p.p.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, se non vi è prova che il ricorso sia stato proposto senza colpa, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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