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Recidiva: quando non si applica? La Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30714/2024, ha annullato una condanna per il reato di evasione, escludendo l’aggravante della recidiva. La Corte ha stabilito che i precedenti penali la cui pena o il cui reato siano stati dichiarati estinti, ad esempio per esito positivo della messa alla prova o per decorso del tempo senza la commissione di nuovi reati, non possono essere considerati per configurare la recidiva. Di conseguenza, la pena dell’imputato è stata rideterminata in misura inferiore direttamente dalla Corte di Cassazione.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e reati estinti: la Cassazione fissa i paletti

La corretta applicazione della recidiva è un tema centrale nel diritto penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 30714/2024) offre un’importante lezione sui presupposti formali necessari per la sua configurabilità, chiarendo quando i precedenti penali non possono essere presi in considerazione. Questo intervento giurisprudenziale ribadisce un principio di garanzia fondamentale: non si può essere penalizzati due volte per un fatto i cui effetti penali sono stati cancellati dall’ordinamento.

Il caso: una contestazione di recidiva reiterata

Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte riguardava un uomo condannato in primo e secondo grado per il reato di evasione, con l’applicazione dell’aggravante della recidiva reiterata. La difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo l’erronea applicazione di tale aggravante. L’argomentazione difensiva si basava sull’analisi del certificato penale dell’imputato, dal quale emergeva che i precedenti utilizzati per fondare la recidiva non erano in realtà idonei a tale scopo.

In particolare, il ricorrente evidenziava come:
1. Una prima condanna era ormai priva di effetti penali per il decorso del quinquennio senza la commissione di altri reati (ex art. 445 c.p.p.).
2. Una seconda condanna si era estinta a seguito dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale.
3. Un decreto penale di condanna si era anch’esso estinto per il decorso dei termini previsti dalla legge (ex art. 460 c.p.p.).
4. Un’ultima iscrizione non era una sentenza di condanna, ma di proscioglimento per particolare tenuità del fatto.

L’analisi della Corte sulla non applicabilità della recidiva

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni della difesa, ritenendo il ricorso fondato. I giudici hanno esaminato meticolosamente ciascun precedente, confermando l’insussistenza dei presupposti formali per la configurabilità della recidiva reiterata.

Il Collegio ha ribadito che, ai sensi dell’art. 106, secondo comma, del codice penale, non si può tener conto, ai fini della recidiva, delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena. Questo principio è stato applicato a tutti i precedenti contestati:
* La prima sentenza, emessa con patteggiamento, si era estinta per il decorso del tempo, cancellando ogni effetto penale.
* La seconda sentenza, seguita da un affidamento in prova con esito positivo, aveva visto l’estinzione della pena e dei suoi effetti, rendendola irrilevante.
* Anche il decreto penale di condanna, per il quale era maturata l’estinzione, non poteva essere utilizzato.

Infine, la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, oltre a essere successiva al reato in giudizio, non costituisce una condanna e quindi non può in alcun modo rilevare per la recidiva.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa delle norme che regolano gli effetti delle cause estintive. L’estinzione del reato o della pena ha l’effetto di cancellare le conseguenze giuridiche negative della condanna, tra cui la possibilità di essere considerati recidivi. La Corte ha sottolineato che ignorare questi effetti estintivi significherebbe violare il principio secondo cui l’ordinamento stesso ha ‘perdonato’ il reo a seguito di un percorso riabilitativo o per il semplice decorso del tempo senza ulteriori illeciti. La decisione riafferma che la valutazione sulla recidiva non può essere un automatismo basato sulla mera presenza di iscrizioni nel casellario giudiziale, ma richiede un’attenta verifica della loro attuale rilevanza giuridica.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva. Esclusa l’aggravante, i giudici hanno proceduto direttamente, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., alla rideterminazione della pena, applicando le sole attenuanti generiche e riducendo la condanna da otto mesi a cinque mesi e dieci giorni di reclusione. Questa sentenza rappresenta un importante monito per i giudici di merito sulla necessità di verificare attentamente i presupposti formali per l’applicazione della recidiva, garantendo che istituti premiali come l’estinzione del reato producano pienamente i loro effetti a favore dell’imputato.

Un precedente penale estinto può essere usato per contestare la recidiva?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che, ai sensi dell’art. 106, comma 2, c.p., le condanne per reati o pene estinte non possono essere considerate ai fini della configurabilità della recidiva.

L’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale influisce sulla recidiva?
Sì, l’esito positivo dell’affidamento in prova estingue la pena e i suoi effetti penali. Di conseguenza, la relativa condanna non può essere utilizzata per contestare la recidiva in un successivo procedimento.

Cosa succede se la Corte di Cassazione esclude la recidiva?
Se la Corte esclude la recidiva e non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, può annullare la sentenza senza rinvio e procedere direttamente a rideterminare la pena, applicando una sanzione più mite, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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