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Recidiva: quando l’appello è sempre ammissibile?

Una persona condannata per evasione ha fatto ricorso in Cassazione contestando la recidiva, la violazione del divieto di peggioramento della pena e il mancato riconoscimento della continuazione del reato. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ma ha colto l’occasione per chiarire un principio fondamentale: l’imputato ha sempre interesse a impugnare l’aggravante della recidiva, anche quando questa viene considerata meno grave delle attenuanti (giudizio di subvalenza), a causa degli effetti negativi che essa comporta su altri istituti giuridici come i benefici penitenziari.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e Appello: la Cassazione Chiarisce l’Interesse ad Agire

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 30706/2024) affronta temi cruciali del diritto penale, offrendo chiarimenti sull’interesse ad impugnare l’aggravante della recidiva anche quando neutralizzata, sul divieto di reformatio in peius e sulla configurabilità della continuazione del reato. La pronuncia nasce dal ricorso di una donna condannata per evasione dagli arresti domiciliari, la cui vicenda processuale ha permesso alla Suprema Corte di ribadire e consolidare importanti principi giuridici.

Il Contesto del Caso: Evasione e le Ragioni dell’Appello

L’imputata era stata condannata in primo e secondo grado per il reato di evasione. La difesa aveva proposto ricorso per cassazione basato su quattro motivi principali:
1. L’erronea qualificazione del fatto come doloso anziché colposo, sostenendo che l’allontanamento era finalizzato a visitare la figlia e che era stata presentata una richiesta di permesso, poi concessa.
2. La violazione del divieto di reformatio in peius, poiché la Corte d’Appello, pur riducendo la pena, avrebbe fissato una pena base superiore a quella del primo grado.
3. La mancanza di motivazione sulla sussistenza della recidiva contestata.
4. Il rigetto della richiesta di riconoscere la continuazione tra il reato in giudizio e un’altra evasione commessa pochi giorni dopo.

La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, rideterminando la pena in otto mesi di reclusione dopo aver giudicato le attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva reiterata.

L’Interesse a Impugnare la Recidiva: un Principio Affermato

Il punto più interessante della sentenza riguarda il terzo motivo di ricorso, relativo alla recidiva. Sebbene la doglianza sia stata rigettata nel merito, la Corte ha preliminarmente affrontato la questione dell’ammissibilità dell’impugnazione.

Secondo un primo orientamento, l’imputato non avrebbe interesse a chiedere l’esclusione di un’aggravante (come la recidiva) se questa è già stata giudicata ‘subvalente’, cioè meno importante delle attenuanti, e quindi non ha prodotto un aumento di pena.

La Cassazione, tuttavia, sposa un indirizzo più garantista e consolidato. Afferma che l’interesse dell’imputato a ottenere l’esclusione della recidiva sussiste sempre. Questo perché il riconoscimento di tale aggravante, anche se non incide sulla pena finale grazie al bilanciamento con le attenuanti, produce comunque effetti giuridici negativi per il condannato. Questi effetti si manifestano in relazione a:
* La concessione di benefici e permessi penitenziari.
* Le condizioni per ottenere la riabilitazione.
* I termini per l’estinzione della pena.

Di conseguenza, anche se la motivazione della Corte d’Appello sulla sussistenza della recidiva era sintetica (‘attesa la sussistenza di precedenti, anche recenti’), è stata ritenuta non illogica e sufficiente a confermare l’aggravante.

Divieto di Reformatio in Peius e Calcolo della Pena

Un altro motivo di ricorso era la presunta violazione del divieto di ‘riforma in peggio’. L’imputata lamentava che la Corte d’Appello avesse applicato una pena base più alta. La Cassazione smonta questa tesi con un’analisi matematica del calcolo della pena.

* Primo grado: Pena base di 15 mesi, ridotta a 10 mesi per il rito abbreviato (con attenuanti equivalenti alla recidiva).
* Appello: Pena base ferma a 15 mesi, ridotta a 12 mesi per la prevalenza delle attenuanti (riduzione di un quinto ex art. 69 c.p.), e ulteriormente ridotta a 8 mesi per il rito abbreviato.

Il risultato finale è una pena inferiore di due mesi rispetto al primo grado. La Corte chiarisce che ciò che conta per verificare la violazione del principio è la pena finale inflitta, non i passaggi intermedi del calcolo. Essendo la pena finale più bassa, non vi è stata alcuna violazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato infondati tutti i motivi di ricorso. Ha ritenuto manifestamente infondato il primo motivo, poiché l’imputata, già gravata da precedenti specifici, non poteva credere legittimamente di potersi allontanare senza autorizzazione preventiva, e il permesso ottenuto successivamente non poteva ‘sanare’ l’evasione già commessa. Anche il motivo sulla continuazione del reato è stato respinto, in quanto i due episodi di evasione erano scaturiti da motivazioni diverse (il primo per visitare la figlia, il secondo per ‘momentanea insofferenza’), escludendo così l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Per quanto riguarda la recidiva, pur riconoscendo l’interesse ad agire, la Corte ha ritenuto sufficiente la motivazione del giudice di merito. Infine, ha escluso la violazione del divieto di reformatio in peius attraverso una chiara ricostruzione del calcolo sanzionatorio.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia offre importanti spunti pratici. In primo luogo, consolida il diritto dell’imputato a contestare la recidiva in ogni sede, data la sua influenza negativa che va ben oltre il mero calcolo della pena. In secondo luogo, ribadisce che la valutazione sulla violazione del divieto di reformatio in peius deve essere effettuata sul risultato finale del trattamento sanzionatorio, non sui singoli elementi che lo compongono. Infine, ricorda che per la continuazione del reato non basta la vicinanza temporale o la somiglianza dei crimini, ma è necessaria una programmazione unitaria e una motivazione comune, la cui prova spetta a chi la invoca.

Si può impugnare l’aggravante della recidiva anche se il giudice l’ha già considerata meno importante delle attenuanti (subvalente)?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’imputato ha sempre un interesse concreto a impugnare per ottenere l’esclusione della recidiva, anche quando questa è stata giudicata subvalente, perché la sua sussistenza produce comunque effetti negativi in altri ambiti, come la concessione di benefici penitenziari e la riabilitazione.

Quando si viola il divieto di “reformatio in peius” (riforma in peggio) in appello?
Si viola il divieto quando la pena finale determinata dal giudice d’appello è più grave di quella inflitta in primo grado. Nella sentenza, la Corte ha chiarito che non c’è violazione se, nonostante i calcoli intermedi, la pena finale risulta inferiore, come nel caso di specie dove è stata ridotta da dieci a otto mesi di reclusione.

Due reati di evasione commessi a pochi giorni di distanza possono essere considerati un unico reato in “continuazione”?
No, non necessariamente. La sentenza ha specificato che per riconoscere la continuazione del reato è necessario un “medesimo disegno criminoso”. Nel caso esaminato, la Corte ha escluso la continuazione perché le motivazioni delle due evasioni erano diverse: la prima per visitare la figlia, la seconda per una momentanea insofferenza legata a uno stato depressivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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