Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30706 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30706 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte di appello di Catania del 15/05/2023;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria depositata dal difensore dell’imputata, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catania con sentenza del 15 maggio 2023 (motivazione depositata il successivo 30 maggio), in parziale riforma di quella di condanna in primo grado, resa in sede di giudizio abbreviato, ha valutato le circostanze attenuanti – già riconosciute in primo grado come equivalenti prevalenti rispetto alla contestata recidiva reiterata, specifica e infra quinquennale, rideterminando la pena a carico di COGNOME NOME in mesi otto di reclusione, in relazione al delitto di evasione dagli arresti domiciliari.
Avverso detta sentenza l’imputata, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso nel quale deduce quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, declinato come violazione di legge e vizio di motivazione, si duole che la Corte di appello non ha rilevato che la condotta dell’imputata – che si è allontanata dal domicilio per andare a trovare la figlia, affidata a una comunità – non fosse stata qualificata come “colposa”, atteso che era stata presentata richiesta di permesso per tale ragione, permesso poi accordato qualche giorno dopo.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione del divieto di reformatio in peius in quanto, nonostante la Corte territoriale abbia valutato le attenuanti generiche prevalenti rispetto alla recidiva, ha fissato la pena base in misura superiore rispetto a quanto determinato dal primo giudice.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione alla mancata indicazione delle ragioni per le quali è stata confermata la sussistenza della recidiva.
2.4. Con il quarto motivo, infine, eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al rigetto della invocata continuazione del reato per il quale è stata condannata (commesso il 27 novembre 2018) con altra analoga evasione posta in essere il 2 dicembre 2018, giudicata con sentenza irrevocabile il 29 aprile 2019.
Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020, e le parti hanno depositato le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato. La Corte territoriale ha, con motivazione congrua, ritenuto sussistenti gli estremi, materiali e soggettivo, del delitto di evasione, rilevando come “in primo luogo, non vi è alcuna prova agli atti del fascicolo che consenta di accertare che l’imputata si fosse allontanata per far visita alla figlia e non per altre finalità ignote; i secondo luogo anche nell’ipotesi in cui si accertasse che l’allontanamento dal domicilio venne effettuato per far visita alla figlia, tale comportamento non potrebbe essere scrinninato, atteso che l’imputata, peraltro già gravata da precedenti anche specifici, non poteva legittimamente credere di potersi allontanare senza GLYPH preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria”. Motivazione che si salda con quella del giudice di primo grado che aveva evidenziato come sia il periodo di degenza della NOME presso un Ospedale, dal 19 al 23 novembre 2018, sia il provvedimento con cui il Tribunale di Catania autorizzava la donna ad allontanarsi dal proprio domicilio per recarsi presso lo stesso nosocomio per visitare la figlia, ivi ricoverata, emesso in data 30 novembre 2018 (e dunque tre giorni dopo il fatto di reato) “non possono certamente essere invocati quali indici di una ipotetica causa di giustificazione dell’allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare”.
Sotto altro profilo, le deduzioni difensore risultano comunque generiche atteso che si vorrebbe far derivare, dal fatto che successivamente all’evasione, il permesso è stato concesso, una sorta di “sanatoria” con effetti retroattivi della condotta di evasione (peraltro, secondo quanto sostenuto dalla stessa ricorrente, la richiesta di permesso è stata presentata dal difensore il medesimo giorno nel quale era stata accertato l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari).
2.1. Anche il quarto motivo – relativo alla negata continuazione – è infondato, dal momento che la sentenza impugnata indica, con motivazione non illogica, le ragioni per le quali tra i due episodi non è ravvisabile un medesimo disegno criminoso. In particolare (pag. 3) il gravame sul punto viene respinto “atteso che non vi è identità dei motivi addotti dall’appellante per giustificare l’allontanamento dal domicilio nelle due diverse occasioni: invero, in riferimento
all’evasione del 3 dicembre, la NOME ha dichiarato di essersi allontanata dal domicilio per una momentanea insofferenza attribuito al suo stato depressivo scaturito dall’allontanamento dei figli da parte dei servizi sociali. Non può pertanto affermarsi che, quando si allontanò dal proprio domicilio il 27 novembre 2018 – evasione oggetto del presente procedimento – l’appellante avesse già delineato il proposito delittuoso di evadere nuovamente dopo due settimane per motivi affatto diversi”.
Infondati – anche se non in modo manifesto – sono gli altri due motivi. Per quanto riguarda la doglianza relativa alla mancata esclusione della recidiva (sebbene giudicata dalla sentenza impugnata subvalente rispetto alle attenuanti generiche) va rilevato che secondo un orientamento di legittimità «è inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’imputato preordinata ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante quando la stessa sia stata già ritenuta subvalente rispetto alle riconosciute attenuanti» (Sez. 2, n. 3888 del 24/11/2022 – dep. 2023, Damiano, Rv. 284309 – 01. Fattispecie in cui la Corte ha ravvisato il difetto di interesse all’impugnazione riguardo alla erronea qualificazione della recidiva, posto che essa, in quanto ritenuta subvalente rispetto all’attenuante di cui all’art. 648, comma secondo, cod. pen., non aveva avuto alcuna incidenza sul trattamento sanzionatorio).
3.1. Ritiene il Collegio di dover seguire un altro indirizzo, secondo cui, invece, sussiste l’interesse dell’imputato ad impugnare onde ottenere l’esclusione di un’aggravante anche nel caso in cui con il provvedimento gravato gli siano state concesse attenuanti valutate in termini di equivalenza o di prevalenza, in quanto l’erroneo riconoscimento della sussistenza dell’aggravante, qualificando il fatto in termini di maggiore gravità, incide sulla determinazione della pena ex art. 133 cod. pen.» (Sez. 1, n. 9019 del 23/11/2023 – dep. 2024, COGNOME NOME, Rv. 285921 – 01).
Peraltro, oltre che in termini di concreta gravità del fatto di reato, e di possibili riflessi sulla dosimetria sanzionatoria, la recidiva, ancorchè giudicata “subvalente” rispetto alle attenuanti, produce concreti effetti sia con riguardo alla concessione dei benefici e dei permessi penitenziari (v. art. 30, comma 4, e 58-quater, comma 7-bis, I. n. 354 del 1975), sia in relazione alle condizioni per la riabilitazione (art. 179, comma 2, cod. pen.), sia rispetto all’estinzione della pena per effetto del decorso del tempo che ove detentiva, ai sensi dell’art.
172, ultimo comma, non si verifica a favore di condannati recidivi nei casi previsti dai capoversi dell’art. 99 cod. pen., mentre se pecuniaria richiede, ex art. 173, comma 1, cod. pen., tempi maggiori se inflitta a tale tipologia di condannati (così, Sez. 2, n. 14653 del 07/03/2024, R., Rv. 286209 – 01). Dunque, non può negarsi che l’imputato nei cui confronti la recidiva sia ritenuta abbia un concreto interesse a presentare impugnazione sul punto, quand’anche gli effetti sanzionatori di questa siano stati completamente neutralizzati per effetto del riconoscimento di circostanze attenuanti prevalenti.
3.2. Nella specie la doglianza relativa alla sussistenza della recidiva era stata espressamente formulata nei motivi di appello.
La sentenza impugnata ha proceduto al più favorevole giudizio di prevalenza delle generiche rispetto all’aggravante soggettiva e ha indicato che questa è “da confermare attesa la sussistenza di precedenti, anche recenti” (e dal certificato penale emergano diverse condanne per furto e una per evasione, nella quale è stata ritenuta la recidiva). Tale motivazione risulta sintetica, ma non illogica, dal momento che «l’applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, che, tuttavia, può essere adempiuto anche implicitamente (Sez. 6, n. 14937 del 14/03/2018, De Bellis, Rv. 272803 – 01)».
Anche il motivo relativo alla dedotta violazione del divieto di reformatio in peius è infondato.
La situazione risultante dalle sentenze è la seguente: in primo grado, la pena base è stata fissata in quindici mesi (attenuanti generiche equivalenti alla recidiva), ridotta a dieci mesi per il rito abbreviato; in appello, non viene esplicitato quale sia la pena base, ma la pena finale è di quattro mesi inferiore rispetto a quella inflitta in primo grado e si può ritenere che, restando ferma la pena base di quindici mesi, essa sia stata ridotta di un quinto ex art. 69, pervenendosi quindi a dodici mesi poi ridotti ad otto ex art. 442 cod. proc. pen. Dunque, all’esito del giudizio di appello, si è determinata una riduzione significativa – della pena inflitta e non risulta che la pena base fosse stata determinata in misura superiore a quanto disposto in primo grado, il che è sufficiente per escludere la violazione del divieto di reformatio in peius.
Al rigetto del ricorso segue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 maggio 2024
onsigliere