Recidiva: non basta un precedente, serve una reale pericolosità sociale
L’applicazione dell’aggravante della recidiva è uno degli aspetti più delicati del processo penale, poiché incide direttamente sull’entità della pena. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione torna a ribadire un principio fondamentale: per applicare la recidiva, non è sufficiente la semplice esistenza di precedenti condanne, ma è necessaria una valutazione concreta della persistente pericolosità sociale del reo. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Torino. La difesa lamentava la violazione di legge per l’applicazione della recidiva infraquinquennale, sostenendo che i giudici di merito non avessero adeguatamente motivato la decisione in relazione all’effettiva pericolosità sociale del proprio assistito, limitandosi a considerare i precedenti penali.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione operata dalla Corte d’Appello. Secondo gli Ermellini, le censure mosse dal ricorrente erano infondate, in quanto la decisione impugnata si basava su argomenti giuridici corretti e su una motivazione logica e coerente.
Le Motivazioni: Valutazione della Recidiva e Propensione a Delinquere
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha ritenuto corretta l’applicazione della recidiva. La Corte ha evidenziato come i giudici d’appello avessero compiuto un’analisi approfondita e non meramente formale della situazione dell’imputato. Nello specifico, la motivazione della Corte d’Appello si fondava su plurimi elementi concreti:
* La successione cronologica dei fatti: i reati erano stati commessi in un arco di tempo ravvicinato.
* L’analogia delle condotte: i nuovi reati erano della stessa tipologia di quelli per cui era già intervenuta condanna.
* L’assenza di un cambiamento: l’imputato non aveva mostrato alcun tentativo di modificare il proprio stile di vita, nonostante avesse beneficiato in passato di misure alternative che gli avevano accordato fiducia.
Questi fattori, nel loro insieme, indicavano in modo univoco che l’imputato non aveva tratto alcun insegnamento dalle passate esperienze giudiziarie. Al contrario, la sua condotta dimostrava un atteggiamento di indifferenza o avversione verso le leggi, una mancanza di ripensamento critico e, di conseguenza, una “risoluzione criminosa più consapevole e determinata”.
La Corte ha quindi concluso che l’imputato aveva fornito ampia prova di possedere una spiccata “propensione delinquenziale”, rendendo pienamente giustificata l’applicazione dell’aggravante della recidiva.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza rafforza un orientamento giurisprudenziale consolidato: la recidiva non è un automatismo legato alla presenza di precedenti penali sul certificato di un individuo. Il giudice ha il dovere di effettuare una valutazione sostanziale, che vada oltre il dato formale, per accertare se la commissione di un nuovo reato sia effettivamente sintomo di una pericolosità sociale persistente e di una maggiore colpevolezza. La decisione dimostra che elementi come la reiterazione di condotte simili, la vicinanza temporale dei reati e l’indifferenza verso i benefici di legge concessi sono indicatori cruciali che possono e devono essere utilizzati dal giudice per motivare adeguatamente la necessità di un trattamento sanzionatorio più severo.
Come valuta il giudice l’applicazione della recidiva?
Il giudice non si limita a verificare l’esistenza di precedenti condanne. Valuta elementi concreti come la successione cronologica dei reati, la somiglianza delle condotte, la mancanza di un cambiamento nello stile di vita e l’indifferenza verso la legge per stabilire se esista una reale e attuale propensione a delinquere.
Avere precedenti penali comporta automaticamente l’applicazione della recidiva?
No. Secondo la sentenza, i precedenti sono un presupposto necessario ma non sufficiente. Il giudice deve motivare specificamente perché, nel caso concreto, la commissione di un nuovo reato è espressione di una maggiore pericolosità sociale e di una risoluzione criminosa più consapevole.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6693 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6693 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/06/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore lamenta violazione degli artt. 132, 133 e 99, comma 4, cod. pen., per avere la Corte di appello di Torino disatteso la richiesta di esclusione della recidiva, senza motivare sull’effettiva pericolosità sociale – non sono consentite in sede di legittimità in quanto in fatto e già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici.
Invero, in ordine all’applicazione della recidiva infraquinquennale nei confronti dell’imputato, la Corte d’appello di Torino – con motivazione scevra da vizi logici e giuridici – ha rapportato le violazioni precedenti a quella attuale, evidenziando che la successione cronologica dei fatti, l’analogia delle condotte, l’assenza di qualsiasi tentativo da parte di NOME di mutare stile di vita nonostante la fiducia accordatagli attraverso la concessione dei benefici di legge, indicano univocamente che il suddetto non ha tratto insegnamento dalle passate esperienze giudiziarie, non ha compreso la gravità delle condotte realizzate, non ha manifestato alcuna intenzione di modificare la sua condotta ed ha anzi continuato a commettere reati della stessa tipologia. Ha, quindi, rilevato che è innegabile che i reati per cui si procede siano espressione di un atteggiamento di indifferenza o avversione verso le leggi dell’o ,- dinamento penale, dell’assenza di ripensamento critico a seguito delle precedenti condanne e quindi di una risoluzione criminosa più consapevole e determinata, avendo il prevenuto dato ampia e convincente prova di possedere una propensione delinquenziale; e che non vi sono ragioni per escludere detta recidiva.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo un’ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.