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Recidiva: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro la valutazione della recidiva. Il motivo, non sollevato in appello, è stato giudicato inammissibile e manifestamente infondato, portando alla condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e Ricorso in Cassazione: i Limiti dell’Impugnazione

L’istituto della recidiva rappresenta uno degli aspetti più delicati nella commisurazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare i rigidi confini procedurali che regolano la sua contestazione, evidenziando come un errore nella strategia difensiva nei gradi di merito possa precludere la possibilità di far valere le proprie ragioni in sede di legittimità.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna. I giudici di secondo grado, pur dichiarando la prescrizione per un reato, avevano confermato la sua colpevolezza per un’altra fattispecie criminosa, così come stabilito in primo grado. Punto cruciale della controversia era il riconoscimento della recidiva reiterata ed infraquinquennale.

L’imputato ha deciso di portare la questione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione proprio in relazione alla sussistenza della recidiva. Tuttavia, come vedremo, la strategia processuale si è rivelata fatale.

La Decisione della Cassazione e la Valutazione della Recidiva

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due pilastri argomentativi distinti ma convergenti.

In primo luogo, ha rilevato un vizio procedurale insuperabile: la questione della sussistenza della recidiva non era stata sollevata con i motivi d’appello. In quella sede, la difesa si era limitata a contestare l’entità dell’aumento di pena derivante dalla recidiva e il giudizio di bilanciamento con le attenuanti, ma non l’esistenza stessa della circostanza aggravante. Questa omissione ha impedito alla Cassazione di esaminare il motivo, in applicazione del principio sancito dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.

In secondo luogo, la Corte ha comunque ritenuto il motivo manifestamente infondato nel merito.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione è un chiaro monito sull’importanza della corretta formulazione dei motivi di impugnazione. I giudici hanno sottolineato che non è possibile introdurre per la prima volta in sede di legittimità una censura che doveva essere proposta nel giudizio di appello. Questo principio garantisce la progressione logica e ordinata del processo, evitando che la Cassazione si trasformi in un terzo grado di merito.

Oltre all’aspetto procedurale, la Corte ha ribadito i corretti criteri per la valutazione della recidiva. I giudici di merito, con una decisione ‘doppia conforme’, avevano correttamente applicato i principi consolidati della giurisprudenza. La valutazione sulla recidiva, infatti, non può basarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti o sulla loro vicinanza temporale. È necessario un esame più approfondito, basato sui criteri dell’art. 133 del codice penale, che verifichi in concreto il legame tra il nuovo delitto e le condanne precedenti. Il giudice deve accertare se la condotta passata sia indicativa di una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che abbia agito come fattore criminogeno per il reato ‘sub iudice’. I giudici di merito avevano compiuto questa analisi in modo corretto, rendendo la doglianza dell’imputato palesemente infondata.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma due principi fondamentali. Il primo è di natura processuale: i motivi di ricorso in Cassazione devono essere stati specificamente dedotti nei gradi di merito, pena l’inammissibilità. Il secondo è di natura sostanziale: la valutazione della recidiva richiede un’indagine approfondita sulla personalità del reo e sulla sua inclinazione a delinquere, non potendo ridursi a un mero automatismo. La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3000 euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa ravvisata nella formulazione del ricorso.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione la sussistenza della recidiva?
No, la Corte ha stabilito che se il motivo non è stato specificamente dedotto nei motivi di appello, non può essere sollevato in sede di legittimità, risultando inammissibile.

Come valuta il giudice la recidiva?
La valutazione non si basa solo sulla gravità dei fatti o sul tempo trascorso, ma su un’analisi concreta del rapporto tra il nuovo reato e le condanne precedenti, per verificare se esista una perdurante inclinazione al delitto che ha influito sulla commissione del nuovo reato.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se non si può escludere una colpa nella formulazione dei motivi, il ricorrente viene condannato a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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