Recidiva: Quando i Precedenti Contano Davvero
La recidiva è uno degli istituti più dibattuti del diritto penale, rappresentando la condizione di chi torna a delinquere dopo una condanna. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento su quando questa aggravante non possa essere esclusa dal giudice. Il caso analizzato riguarda un ricorso contro una condanna per tentato furto, in cui la difesa contestava proprio l’applicazione della recidiva. Vediamo come la Suprema Corte ha affrontato la questione.
I Fatti del Caso
Un uomo, già condannato in primo grado e in appello per un tentato furto aggravato, decideva di presentare ricorso per Cassazione. L’unico motivo di doglianza sollevato dal suo difensore riguardava l’applicazione dell’aggravante della recidiva specifica e reiterata. Secondo la difesa, mancavano i presupposti per applicare tale aggravante, chiedendone di fatto la disapplicazione.
La Corte d’Appello di Roma, nella sentenza impugnata, aveva invece confermato la condanna, ritenendo corretta la valutazione del primo giudice sull’applicazione della recidiva, basata sui numerosi precedenti penali dell’imputato.
La Valutazione della Recidiva da Parte del Giudice
Il ricorrente, nel suo motivo, sosteneva una violazione dell’art. 99 del codice penale e un vizio di motivazione da parte dei giudici di merito. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha stroncato questa tesi, definendo il motivo di ricorso ‘generico e manifestamente infondato’.
Il punto centrale della decisione è che il ricorso non si confrontava minimamente con le argomentazioni della sentenza d’appello. I giudici di secondo grado avevano chiaramente spiegato perché la recidiva fosse non solo applicabile, ma anche insuscettibile di essere ignorata. La ragione risiedeva nelle ‘numerose condanne riportate dall’imputato’, che i giudici hanno ritenuto ‘concretamente significative di un’accentuata sua colpevolezza e di una maggiore pericolosità’.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha ribadito un principio consolidato, richiamando due importanti sentenze delle Sezioni Unite. Il giudice, pur avendo un potere discrezionale nel valutare la recidiva, non può esercitarlo in modo arbitrario. Quando i precedenti penali di un imputato sono così numerosi e specifici da delineare un profilo di accentuata pericolosità sociale e una spiccata propensione a delinquere, la recidiva non può essere disapplicata.
In altre parole, i precedenti penali non sono un mero dato anagrafico, ma un elemento concreto che il giudice deve valutare per comprendere la personalità dell’imputato. Se da essi emerge una colpevolezza più grave e un rischio concreto di reiterazione del reato, l’aggravante della recidiva deve trovare applicazione come strumento per adeguare la pena alla reale gravità del fatto e alla pericolosità del suo autore.
Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che la valutazione sulla recidiva non è automatica, ma deve essere ancorata a elementi concreti che dimostrino una maggiore colpevolezza e pericolosità del reo. Quando questi elementi, come una lunga serie di condanne precedenti, sono presenti e significativi, il giudice di merito ha il dovere di applicare l’aggravante, e una motivazione che dia conto di tale valutazione è immune da censure in sede di legittimità. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando il giudice è obbligato ad applicare l’aggravante della recidiva?
Secondo la Corte, il giudice non può disapplicare la recidiva quando i numerosi precedenti penali dell’imputato sono concretamente significativi di un’accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità sociale.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché generico e manifestamente infondato, in quanto non si confrontava criticamente con le motivazioni della sentenza impugnata, la quale aveva già dato conto in modo logico e congruo delle ragioni per cui la recidiva era stata applicata.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro, in questo caso fissata in 3.000,00 Euro, in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30218 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30218 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
– che COGNOME ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, articolando un solo motivo, avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, pronunciata in data 27 novembre 2023, che ha confermato la condanna inflittagli per il delitto di cui agli artt. 56 e 624 cod. aggravato dalla recidiva specifica e reiterata (fatto commesso in Roma il 10 marzo 2022);
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il proposto motivo, che deduce, sotto l’egida della violazione dell’art. 99 cod. pen. e vizio di motivazione, l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della contestata e riten recidiva, è generico e manifestamente infondato, perché formulato senza alcun confronto, men che meno, critico con il tenore della sentenza impugnata (vedasi pag. 2 della sentenza impugnata), che ha dato conto con congrui riferimenti in fatto, non illogicamente valutati, come la recidiva non potesse essere disapplicata in ragione delle numerose condanne riportate dall’imputato, suscettibili di rivelarsi concretamente significative di un’accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità, tanto in conformità all’insegnamento impartito dal diritto vivente in materia (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, Rv. 284878; Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Rv. 247838);
– ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’8 luglio 2024