Recidiva: la Cassazione conferma che non è un automatismo
L’applicazione della recidiva è uno degli istituti più dibattuti del diritto penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Con l’ordinanza n. 18706 del 2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire un principio fondamentale: la recidiva non è una mera constatazione dell’esistenza di precedenti penali, ma un giudizio sulla maggiore pericolosità sociale dell’imputato, che deve essere concretamente motivato dal giudice. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti, specificamente trentatré ovuli di sostanza pesante. La Corte d’Appello di Torino, nel confermare la condanna, aveva riconosciuto e applicato l’aggravante della recidiva, basandosi su due precedenti condanne a carico dell’imputato, di cui una specifica per lo stesso tipo di reato.
L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, contestando proprio la motivazione con cui era stata applicata la recidiva, ritenendola illegittima e viziata.
La Decisione della Cassazione sulla Recidiva
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi consolidati in materia di recidiva. I giudici di merito non si sono limitati a prendere atto dei precedenti penali, ma hanno condotto una valutazione approfondita e concreta.
La Valutazione Concreta del Giudice
La decisione impugnata aveva evidenziato diversi elementi chiave per giustificare l’aumento di pena:
1. La natura dei precedenti: l’imputato aveva due condanne precedenti, una delle quali specifica per reati legati agli stupefacenti.
2. L’inefficacia delle condanne precedenti: le sentenze passate non avevano sortito alcun effetto dissuasivo, dimostrando un’inclinazione al delitto radicata.
3. La gravità e le modalità del nuovo reato: la detenzione di trentatré ovuli di droga pesante è stata considerata una condotta non marginale.
4. La vicinanza temporale: il nuovo reato era stato commesso a breve distanza temporale dal passaggio in giudicato della seconda condanna, un fattore che accentua la pericolosità sociale del soggetto.
La Cassazione ha inoltre sottolineato l’irrilevanza della ‘buona condotta processuale’ vantata dal ricorrente, poiché la sua ammissione dei fatti era avvenuta in una situazione di flagranza di reato, dove negare l’evidenza sarebbe stato impossibile.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano sul principio secondo cui la recidiva è sintomo di una ‘accentuata pericolosità sociale’. Per riconoscerla, il giudice deve esaminare, sulla base dei criteri dell’art. 133 del codice penale, il rapporto concreto tra il fatto per cui si procede e le condanne precedenti. L’obiettivo è verificare se e in quale misura la passata condotta criminosa indichi una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che ha influito come fattore criminogeno nella commissione del nuovo reato.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello ha eseguito correttamente questo esame, collegando i precedenti specifici, la gravità della nuova condotta e la sequenza temporale per dedurre una maggiore pericolosità del soggetto. Il ricorso in Cassazione non è riuscito a scalfire questo solido impianto motivazionale, risultando generico e, pertanto, inammissibile.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce che i precedenti penali non comportano un automatico aumento di pena. Il giudice ha il dovere di motivare in modo specifico e concreto le ragioni per cui ritiene che l’imputato manifesti una maggiore pericolosità sociale. La decisione sottolinea l’importanza di un’analisi complessiva che tenga conto della natura dei reati, della loro sequenza temporale e della personalità dell’imputato. La conseguenza pratica per chi affronta un processo penale con precedenti a carico è che la difesa deve concentrarsi non solo sul nuovo fatto, ma anche nel dimostrare l’assenza di un legame sintomatico di pericolosità tra il passato e il presente. Infine, la declaratoria di inammissibilità comporta, oltre al pagamento delle spese processuali, anche il versamento di una somma alla Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver adito la Corte con un ricorso infondato.
Quando può essere applicata la recidiva?
La recidiva può essere applicata quando una persona commette un nuovo reato dopo essere già stata condannata con sentenza definitiva. La sua applicazione non è automatica, ma richiede una valutazione da parte del giudice sulla concreta e accentuata pericolosità sociale dell’imputato, basata sul legame tra i reati precedenti e quello attuale.
La semplice esistenza di precedenti penali è sufficiente per aumentare la pena tramite la recidiva?
No. Secondo la Corte, la mera esistenza di precedenti penali non è sufficiente. Il giudice deve esaminare in concreto il rapporto tra il nuovo reato e le condanne passate per verificare se queste indichino una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che ha influito sulla commissione del nuovo fatto.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la legge (art. 616 cod. proc. pen.) prevede che il ricorrente sia condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, il cui importo è fissato equitativamente dalla Corte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18706 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18706 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
7
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che con unico motivo di ricorso COGNOME NOME, imputato per il reato di cui all’ar comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così come riqualificato dal Tribunale di Torino, e condannato nel merito alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 688,00 di multa, deduc la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla contestata recidiva;
Ritenuto al riguardo che ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale sint un’accentuata pericolosità sociale dell’imputato e non come mera descrizione dell’esistenza suo carico di precedenti penali per delitto, la valutazione del giudice non possa fond esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale della loro realizzazione, ma esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esist fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in qual misura la pregre condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia in quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Antignano, Rv. 284425);
Ritenuto in proposito che la sentenza impugnata abbia correttamente evidenziato che il ricorrente risulta gravato da due precedenti di cui uno specifico, i quali, in assenza contegno processuale positivamente valutabile, rappresentano un profondo radicamento nella scelta delinquenziale connessa al traffico di stupefacenti (su cui le due predette condanne n hanno sortito alcun effetto) e che, palesando una maggiore pericolosità del predett giustificano il riconoscimento della contestata recidiva (Cfr. pag. 3, sent. di appello), t in ragione della non marginalità della condotta illecita sanzionata, consistita nella detenzi trentatré ovuli di diversa sostanza cd. pesante (comportamento tra l’altro posto in esser poca distanza temporale dal passaggio in giudicato della seconda condanna), e dell’irrilevanz della pretesa buona condotta processuale, risoltasi nell’ammissione di quanto non potev essere negato stante la non contestata flagranza;
Rilevato che il ricorso non si confronta appieno con l’articolato iter motivazionale appena richiamato;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso – per le connotazioni di genericità appena richiama comunque per la sua manifesta infondatezza – debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. p l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro
•
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23/02/2024
Il Consiglie COGNOMECOGNOMENOME> ensore COGNOMECOGNOMENOME>
Il Presidente