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Recidiva: quando i precedenti penali aggravano la pena

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro l’applicazione della recidiva. La Corte ha confermato che la valutazione della recidiva non è automatica ma deve basarsi su un’analisi concreta della pericolosità sociale del soggetto, considerando i precedenti specifici, la gravità del nuovo reato e la vicinanza temporale con le condanne precedenti, elementi che nel caso di specie dimostravano una radicata inclinazione al delitto.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva: la Cassazione conferma che non è un automatismo

L’applicazione della recidiva è uno degli istituti più dibattuti del diritto penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Con l’ordinanza n. 18706 del 2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire un principio fondamentale: la recidiva non è una mera constatazione dell’esistenza di precedenti penali, ma un giudizio sulla maggiore pericolosità sociale dell’imputato, che deve essere concretamente motivato dal giudice. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti, specificamente trentatré ovuli di sostanza pesante. La Corte d’Appello di Torino, nel confermare la condanna, aveva riconosciuto e applicato l’aggravante della recidiva, basandosi su due precedenti condanne a carico dell’imputato, di cui una specifica per lo stesso tipo di reato.
L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, contestando proprio la motivazione con cui era stata applicata la recidiva, ritenendola illegittima e viziata.

La Decisione della Cassazione sulla Recidiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi consolidati in materia di recidiva. I giudici di merito non si sono limitati a prendere atto dei precedenti penali, ma hanno condotto una valutazione approfondita e concreta.

La Valutazione Concreta del Giudice

La decisione impugnata aveva evidenziato diversi elementi chiave per giustificare l’aumento di pena:
1. La natura dei precedenti: l’imputato aveva due condanne precedenti, una delle quali specifica per reati legati agli stupefacenti.
2. L’inefficacia delle condanne precedenti: le sentenze passate non avevano sortito alcun effetto dissuasivo, dimostrando un’inclinazione al delitto radicata.
3. La gravità e le modalità del nuovo reato: la detenzione di trentatré ovuli di droga pesante è stata considerata una condotta non marginale.
4. La vicinanza temporale: il nuovo reato era stato commesso a breve distanza temporale dal passaggio in giudicato della seconda condanna, un fattore che accentua la pericolosità sociale del soggetto.

La Cassazione ha inoltre sottolineato l’irrilevanza della ‘buona condotta processuale’ vantata dal ricorrente, poiché la sua ammissione dei fatti era avvenuta in una situazione di flagranza di reato, dove negare l’evidenza sarebbe stato impossibile.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio secondo cui la recidiva è sintomo di una ‘accentuata pericolosità sociale’. Per riconoscerla, il giudice deve esaminare, sulla base dei criteri dell’art. 133 del codice penale, il rapporto concreto tra il fatto per cui si procede e le condanne precedenti. L’obiettivo è verificare se e in quale misura la passata condotta criminosa indichi una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che ha influito come fattore criminogeno nella commissione del nuovo reato.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello ha eseguito correttamente questo esame, collegando i precedenti specifici, la gravità della nuova condotta e la sequenza temporale per dedurre una maggiore pericolosità del soggetto. Il ricorso in Cassazione non è riuscito a scalfire questo solido impianto motivazionale, risultando generico e, pertanto, inammissibile.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce che i precedenti penali non comportano un automatico aumento di pena. Il giudice ha il dovere di motivare in modo specifico e concreto le ragioni per cui ritiene che l’imputato manifesti una maggiore pericolosità sociale. La decisione sottolinea l’importanza di un’analisi complessiva che tenga conto della natura dei reati, della loro sequenza temporale e della personalità dell’imputato. La conseguenza pratica per chi affronta un processo penale con precedenti a carico è che la difesa deve concentrarsi non solo sul nuovo fatto, ma anche nel dimostrare l’assenza di un legame sintomatico di pericolosità tra il passato e il presente. Infine, la declaratoria di inammissibilità comporta, oltre al pagamento delle spese processuali, anche il versamento di una somma alla Cassa delle ammende, a titolo sanzionatorio per aver adito la Corte con un ricorso infondato.

Quando può essere applicata la recidiva?
La recidiva può essere applicata quando una persona commette un nuovo reato dopo essere già stata condannata con sentenza definitiva. La sua applicazione non è automatica, ma richiede una valutazione da parte del giudice sulla concreta e accentuata pericolosità sociale dell’imputato, basata sul legame tra i reati precedenti e quello attuale.

La semplice esistenza di precedenti penali è sufficiente per aumentare la pena tramite la recidiva?
No. Secondo la Corte, la mera esistenza di precedenti penali non è sufficiente. Il giudice deve esaminare in concreto il rapporto tra il nuovo reato e le condanne passate per verificare se queste indichino una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che ha influito sulla commissione del nuovo fatto.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la legge (art. 616 cod. proc. pen.) prevede che il ricorrente sia condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, il cui importo è fissato equitativamente dalla Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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