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Recidiva: quando è sintomo di pericolosità sociale?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto aggravato, che chiedeva l’esclusione della recidiva. Secondo la Corte, i numerosi precedenti penali e la reiterazione del reato dimostrano una crescente capacità a delinquere, legittimando la valutazione del giudice di merito e l’aumento di pena connesso alla recidiva.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e Pericolosità Sociale: La Valutazione del Giudice

L’istituto della recidiva rappresenta uno dei temi più dibattuti nel diritto penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 13478/2024) offre un’importante occasione per approfondire i criteri che il giudice deve seguire per valutare se la commissione di un nuovo reato sia effettivamente indice di una maggiore pericolosità sociale del reo. Vediamo nel dettaglio la decisione e i suoi principi.

I Fatti di Causa: Dal Furto al Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine da una condanna per furto aggravato emessa dal Tribunale di Rimini. La Corte d’Appello di Bologna, in parziale riforma della prima sentenza, aveva concesso all’imputato le circostanze attenuanti generiche, operando un giudizio di equivalenza con le aggravanti contestate e rideterminando la pena.

Tuttavia, l’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, lamentando la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva. Secondo la difesa, la Corte di merito non avrebbe correttamente motivato le ragioni per cui la reiterazione del reato dovesse comportare un aumento di pena.

La Valutazione della Recidiva secondo la Cassazione

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una semplice riproposizione di una censura già adeguatamente esaminata e respinta dalla Corte d’Appello. La decisione si fonda su un principio consolidato in giurisprudenza.

Il Principio di Diritto

La Cassazione ribadisce che, di fronte a una recidiva formalmente contestata, il giudice ha il dovere di effettuare una valutazione concreta. Non basta la semplice esistenza di una precedente condanna per applicare automaticamente l’aumento di pena. Il giudice deve verificare se la reiterazione dell’illecito sia un sintomo effettivo di una maggiore riprovevolezza della condotta e di una concreta pericolosità dell’autore.

In altre parole, l’aumento di pena deve essere escluso, con adeguata motivazione, qualora il giudice ritenga che dal nuovo delitto non emerga una maggiore o più radicata capacità a delinquere.

L’Applicazione al Caso Concreto

Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello avesse correttamente applicato tale principio. I giudici di merito avevano infatti sottolineato che l’imputato era gravato da numerosi precedenti penali. Pertanto, l’ultimo episodio di furto non era un evento isolato, ma rappresentava un chiaro ‘indice di ingravescente capacità a delinquere’. Questa valutazione, basata su elementi concreti, è stata ritenuta logica, coerente e immune da vizi.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione centrale della Suprema Corte risiede nell’inammissibilità del ricorso. I giudici hanno stabilito che le argomentazioni della difesa non introducevano nuovi profili di illegittimità, ma si limitavano a contestare una valutazione di merito già compiuta in modo corretto e ben motivato dalla Corte d’Appello. Il percorso argomentativo del giudice di secondo grado è stato giudicato pienamente conforme ai principi giurisprudenziali in materia di recidiva, avendo ancorato la decisione a elementi fattuali specifici (i numerosi precedenti) per dedurre una persistente e crescente inclinazione al crimine.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un orientamento fondamentale: la recidiva non è un automatismo sanzionatorio, ma richiede un’attenta e personalizzata valutazione da parte del giudice. Questi deve indagare se il nuovo reato sia espressione di una personalità più incline al delitto o se, al contrario, sia un episodio slegato da un percorso criminale consolidato. La decisione sottolinea l’importanza di una motivazione solida, che leghi l’applicazione dell’aumento di pena a elementi concreti desumibili dalla storia criminale dell’imputato. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Quando il giudice può escludere l’aumento di pena per la recidiva?
Il giudice può escludere l’aumento di pena quando, con adeguata motivazione, ritiene che il nuovo reato commesso non sia sintomo di una maggiore capacità a delinquere o di una particolare pericolosità sociale dell’autore.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso specifico?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché riproponeva una censura già esaminata e respinta dalla Corte d’Appello con una motivazione logica e coerente, senza introdurre nuovi vizi di legittimità.

Cosa ha considerato la Corte d’Appello per confermare la recidiva?
La Corte d’Appello ha considerato i numerosi precedenti penali del ricorrente, interpretando l’ultimo reato commesso come un chiaro indice di una sua ‘ingravescente capacità a delinquere’, ovvero di una tendenza al crimine che si andava aggravando nel tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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