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Recidiva permessi premio: quando si applica l’art. 30q

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che negava un permesso premio a un detenuto. L’errore del tribunale è stato considerare applicata una recidiva qualificata che, in realtà, non era stata riconosciuta nella sentenza di condanna. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale in tema di recidiva permessi premio: le condizioni più restrittive dell’art. 30 quater ord. pen. scattano solo se la recidiva è stata effettivamente e formalmente applicata dal giudice della cognizione, e non semplicemente contestata.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e Permessi Premio: la Cassazione Chiarisce i Requisiti dell’Art. 30 Quater

L’accesso ai benefici penitenziari, come i permessi premio, è un elemento cruciale nel percorso di reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la legge prevede condizioni più severe per alcune categorie di detenuti, come i recidivi qualificati. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto fondamentale: per applicare tali restrizioni, la recidiva deve essere stata formalmente applicata in sede di condanna. Questo caso di recidiva permessi premio chiarisce i confini tra una recidiva semplicemente contestata e una effettivamente applicata, con importanti conseguenze pratiche.

I Fatti del Caso

Un detenuto si vedeva rigettare la richiesta di permesso premio dal Tribunale di Sorveglianza. La decisione si basava su diversi fattori, tra cui la gravità dei reati, la pena ancora lunga da scontare e il parere contrario dell’équipe trattamentale. Il punto decisivo, però, era un altro: il tribunale riteneva che il detenuto non avesse ancora maturato il requisito temporale minimo di pena espiata, come previsto dall’art. 30 quater dell’ordinamento penitenziario. Questa norma impone limiti più severi proprio per i soggetti a cui è stata applicata la recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, del codice penale.

Il condannato, tramite il suo difensore, presentava ricorso in Cassazione, sostenendo un errore di diritto. La tesi difensiva era semplice ma incisiva: la recidiva, pur essendo stata formalmente contestata nel capo d’imputazione, non era mai stata concretamente applicata dal giudice della condanna. Di conseguenza, le restrizioni dell’art. 30 quater non potevano essere invocate.

La Decisione della Corte sulla recidiva permessi premio

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza e rinviando gli atti per un nuovo esame. La Suprema Corte ha sposato in pieno la tesi difensiva, sottolineando che l’affermazione del tribunale, secondo cui al detenuto fosse stata riconosciuta la recidiva qualificata, era semplicemente errata.

La Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: la disciplina restrittiva dell’art. 30 quater, che innalza i periodi di pena da espiare per poter accedere ai permessi, si applica solo ed esclusivamente se la recidiva reiterata è stata contestata nel giudizio di cognizione e, soprattutto, riconosciuta e applicata nella sentenza di condanna. La dizione letterale della norma, che parla di recidiva “applicata”, non lascia spazio a interpretazioni estensive.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza si concentra sulla distinzione cruciale tra contestazione e applicazione della recidiva. I Giudici hanno esaminato la sentenza di condanna originale, constatando che non vi era alcun cenno, né esplicito né implicito, all’applicazione della circostanza aggravante della recidiva. Il giudice della cognizione l’aveva completamente ignorata (tecnicamente, “pretermessa”).

La Cassazione ricorda che, sebbene l’applicazione della recidiva facoltativa possa avvenire anche in modo implicito, è necessario che il giudice dia conto, in qualche modo, della maggiore riprovevolezza della condotta o della pericolosità sociale dell’autore. Nel caso di specie, non solo mancava qualsiasi valutazione in tal senso, ma anche il trattamento sanzionatorio non aveva subito alcun innalzamento di pena a causa della recidiva. L’aggravante era rimasta, di fatto, lettera morta.

Pertanto, l’errore del Tribunale di Sorveglianza è stato decisivo. Basando il diniego del permesso su un presupposto giuridico inesistente – l’applicazione della recidiva – ha viziato l’intera ordinanza. La Corte ha quindi annullato la decisione, imponendo al giudice del rinvio di riesaminare la richiesta del detenuto senza considerare le restrizioni legate alla recidiva.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un importante principio di garanzia nel diritto penitenziario. Le condizioni più severe per l’accesso ai benefici non possono derivare da automatismi o da interpretazioni errate delle sentenze di condanna. È necessario un accertamento rigoroso che verifichi se un’aggravante, come la recidiva, sia stata non solo contestata dall’accusa, ma effettivamente vagliata e applicata dal giudice che ha emesso la condanna. In assenza di una formale applicazione, il detenuto deve essere valutato secondo le regole ordinarie. La decisione del Tribunale di Sorveglianza non può sostituirsi a quella del giudice della cognizione, applicando di fatto una circostanza che quest’ultimo aveva deciso di non considerare.

Quando si applicano le condizioni più severe per i permessi premio previste per i recidivi?
Le condizioni più restrittive dell’art. 30 quater dell’ordinamento penitenziario si applicano solo nel caso in cui la recidiva reiterata (art. 99, quarto comma, c.p.) sia stata formalmente “applicata” nella sentenza di condanna, e non semplicemente contestata nell’atto di accusa.

La sola contestazione della recidiva nel processo è sufficiente a far scattare le norme più dure sui permessi?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che se il giudice della condanna non ha tenuto conto della recidiva, né esplicitamente né implicitamente, ai fini della determinazione della pena, questa si considera non applicata. Pertanto, le norme più severe sui permessi premio non possono essere invocate.

Cosa succede se un Tribunale di Sorveglianza nega un permesso basandosi su una recidiva non applicata in sentenza?
Il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza è viziato da un errore di diritto e deve essere annullato. La Corte di Cassazione, in tal caso, rinvia gli atti allo stesso tribunale affinché proceda a un nuovo esame della richiesta, basandosi sulla corretta interpretazione della sentenza di condanna e, quindi, senza applicare le restrizioni previste per la recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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