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Recidiva: non basta il certificato penale per l’aumento

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per tentato furto, limitatamente all’applicazione della recidiva. La Suprema Corte ha ribadito che l’aumento di pena per recidiva non è automatico ma richiede una motivazione specifica da parte del giudice, che deve valutare in concreto la maggiore pericolosità sociale dell’imputato, non potendosi basare unicamente sulla presenza di precedenti penali.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva: La Cassazione Sottolinea l’Obbligo di Motivazione Specifica

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del diritto penale: l’applicazione della recidiva non può essere un automatismo basato sul semplice certificato penale dell’imputato. Il giudice ha il dovere di spiegare in modo concreto perché i precedenti reati rendono il nuovo fatto più grave e l’autore più pericoloso. Questo caso, relativo a un tentato furto in abitazione, offre un’importante lezione sulla personalizzazione della pena e sui limiti del potere discrezionale del giudice.

I Fatti del Processo

Due individui venivano condannati in primo e secondo grado per tentato furto aggravato in un’abitazione. La Corte d’Appello, pur riducendo la pena, aveva confermato la responsabilità penale e l’applicazione della recidiva per entrambi, una reiterata e specifica per il primo, e una reiterata e infraquinquennale per il secondo. Gli imputati, non soddisfatti della decisione, presentavano ricorso per Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui la valutazione delle prove e, soprattutto, la mancata esclusione della recidiva.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I difensori degli imputati hanno articolato i loro ricorsi su due fronti principali:

1. Valutazione delle prove: Uno degli appellanti contestava l’attendibilità del riconoscimento effettuato dalle vittime, sostenendo che non vi fossero elementi sufficienti a superare ogni ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza.
2. Applicazione della recidiva e attenuanti: Entrambi lamentavano che i giudici di merito avessero negato le circostanze attenuanti generiche e applicato l’aumento di pena per la recidiva basandosi unicamente sull’esistenza di precedenti penali, senza una reale valutazione della loro personalità e della gravità dei fatti.

L’Analisi della Corte sulla Recidiva

La Suprema Corte ha respinto le censure relative alla valutazione delle prove e al diniego delle attenuanti generiche. Sul primo punto, ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello logica e coerente, e ha qualificato il ricorso come un tentativo inammissibile di riesaminare i fatti. Sul secondo, ha ricordato che il diniego delle attenuanti è giustificato in assenza di elementi positivi da valorizzare.

Il punto cruciale della sentenza, tuttavia, riguarda la recidiva. La Cassazione ha accolto i ricorsi su questo specifico aspetto, rilevando una grave carenza motivazionale nella sentenza impugnata.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ribadito con forza che il compito del giudice non è semplicemente prendere atto dell’esistenza di precedenti penali. È necessario un’analisi approfondita per verificare se la reiterazione del reato sia un sintomo effettivo di maggiore riprovevolezza e pericolosità sociale. Questo giudizio deve fondarsi su una serie di parametri concreti, come:

* La natura dei reati precedenti e di quello attuale.
* Il tipo di devianza manifestato.
* La qualità e il grado di offensività dei comportamenti.
* La distanza temporale tra i fatti.
* Il livello di omogeneità tra i crimini commessi.
* L’eventuale occasionalità della ricaduta.

In sintesi, il giudice deve esaminare il rapporto tra il fatto per cui si procede e le condanne passate, verificando se queste ultime indichino una “perdurante inclinazione al delitto” che abbia influito sulla commissione del nuovo reato. Un semplice rinvio al certificato penale è insufficiente e costituisce un vizio di motivazione.

Conclusioni

La sentenza impugnata è stata annullata limitatamente al punto sulla recidiva, con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Questa decisione rafforza il principio di individualizzazione della pena: ogni sanzione deve essere calibrata sulla specifica persona e sul fatto commesso. L’applicazione della recidiva non è una formalità, ma una valutazione sostanziale che richiede un’argomentazione rigorosa e dettagliata da parte del giudice. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia è un monito a non trascurare la necessità di una motivazione completa e concreta su ogni aspetto che incide sulla determinazione della pena.

È sufficiente avere precedenti penali per l’applicazione automatica della recidiva?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non è sufficiente. Il giudice deve valutare in concreto se la reiterazione del reato è sintomo di una maggiore pericolosità sociale del reo, non potendosi basare sul mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.

Quali elementi deve considerare il giudice per applicare la recidiva?
Il giudice deve esaminare, in base ai criteri dell’art. 133 del codice penale, il rapporto tra il fatto per cui si procede e le condanne precedenti. Deve valutare la natura dei reati, il tempo trascorso, il tipo di devianza, l’offensività dei comportamenti e ogni altro parametro che indichi se la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto.

Cosa succede se un giudice non motiva adeguatamente l’applicazione della recidiva?
La sentenza può essere annullata su questo specifico punto. Il caso viene rinviato a un altro giudice dello stesso grado (in questo caso, un’altra sezione della Corte d’Appello) che dovrà riesaminare la questione e fornire una motivazione completa e conforme ai principi di diritto enunciati dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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