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Recidiva nel biennio: prova e onere della difesa

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per un reato stradale in forza della cosiddetta “recidiva nel biennio”. La Corte ha stabilito che la prova della definitività della precedente sanzione amministrativa può essere fornita anche tramite la testimonianza di un agente di polizia, ritenendo la sua risposta in aula sufficientemente chiara a escludere la pendenza di opposizioni.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva nel Biennio: Quando la Testimonianza di un Agente Basta a Provare il Reato

La recidiva nel biennio è un istituto giuridico che aggrava le conseguenze di una violazione se questa viene ripetuta entro due anni. In materia di Codice della Strada, può trasformare un semplice illecito amministrativo in un vero e proprio reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come può essere provata la definitività della prima sanzione, un presupposto essenziale per contestare la recidiva, anche basandosi sulla testimonianza di un agente.

I Fatti del Caso: Una Condanna Basata sulla Recidiva

Il caso riguarda un automobilista condannato sia in primo grado che in appello per il reato previsto dall’art. 116, comma 15, del Codice della Strada. La condanna si fondava sull’accertamento di una recidiva nel biennio, ovvero sulla commissione di una seconda violazione della stessa norma entro due anni dalla prima.

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nel considerare provato il presupposto della recidiva. Secondo la tesi difensiva, non vi era certezza che la prima sanzione amministrativa fosse diventata definitiva, in quanto non era stato verificato se fosse stata presentata opposizione. L’accertamento si basava unicamente sulla testimonianza di un agente della polizia giudiziaria, che aveva consultato la banca dati interforze. La difesa sosteneva che la testimonianza fosse ambigua e non conclusiva.

La Valutazione della Prova nella Recidiva nel Biennio

Il punto cruciale del ricorso verteva sull’interpretazione della risposta fornita in aula dal testimone, un agente di polizia. Alla domanda del giudice: «E non avete riscontrato che c’era stata opposizione a quel verbale?», l’agente aveva risposto: «No nessuna».

Secondo la difesa, questa risposta non era sufficiente a dimostrare con certezza l’assenza di un’opposizione pendente. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato questa interpretazione, giudicando il ricorso manifestamente infondato.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha chiarito due punti fondamentali.

In primo luogo, ha ribadito un principio consolidato: l’accertamento della definitività di un provvedimento amministrativo può legittimamente fondarsi anche solo sulla prova testimoniale. Non è quindi necessario acquisire materialmente il documento che attesta la mancata opposizione, essendo sufficiente la dichiarazione di un testimone qualificato che ha effettuato le opportune verifiche.

In secondo luogo, la Corte ha analizzato specificamente la risposta fornita dall’agente. I giudici hanno sottolineato che la risposta non si è limitata a un semplice e potenzialmente ambiguo «No» (definito ‘olofrastico’). L’aggiunta del pronome femminile «nessuna» ha reso la dichiarazione inequivocabile. Poiché la domanda faceva riferimento al sostantivo femminile «opposizione», il pronome «nessuna» si riferiva necessariamente a essa, escludendo in modo chiaro e completo la presenza di qualsiasi atto di opposizione. Di conseguenza, la testimonianza è stata ritenuta una prova piena e sufficiente.

Le Conclusioni della Suprema Corte

Sulla base di queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione conferma che, ai fini della recidiva nel biennio, la prova della definitività di una sanzione precedente può essere fornita con mezzi diversi dalla produzione documentale, inclusa una testimonianza chiara e precisa. La sentenza sottolinea l’importanza del linguaggio usato durante le deposizioni e come anche un singolo aggettivo o pronome possa essere decisivo per l’esito del processo.

Per l’imputato, l’inammissibilità del ricorso ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa dell’evidente infondatezza dei motivi presentati.

Come si prova che una precedente sanzione è definitiva per configurare la recidiva nel biennio?
La definitività della sanzione può essere provata anche attraverso la testimonianza di un agente di polizia che ha verificato l’assenza di opposizioni consultando le banche dati pertinenti, senza che sia necessaria la produzione di documentazione cartacea.

Una risposta monosillabica di un testimone è sufficiente come prova?
Una risposta monosillabica come ‘No’ potrebbe essere ambigua. Tuttavia, nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la risposta ‘No nessuna’ fosse inequivocabile, poiché l’aggiunta del pronome ‘nessuna’ si riferiva chiaramente al sostantivo femminile ‘opposizione’ contenuto nella domanda, fugando ogni dubbio.

Quali sono le conseguenze di un ricorso giudicato manifestamente infondato?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato, il ricorrente non solo vede confermata la condanna, ma viene anche condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con motivi pretestuosi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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