Recidiva nel Biennio: Quando la Testimonianza di un Agente Basta a Provare il Reato
La recidiva nel biennio è un istituto giuridico che aggrava le conseguenze di una violazione se questa viene ripetuta entro due anni. In materia di Codice della Strada, può trasformare un semplice illecito amministrativo in un vero e proprio reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come può essere provata la definitività della prima sanzione, un presupposto essenziale per contestare la recidiva, anche basandosi sulla testimonianza di un agente.
I Fatti del Caso: Una Condanna Basata sulla Recidiva
Il caso riguarda un automobilista condannato sia in primo grado che in appello per il reato previsto dall’art. 116, comma 15, del Codice della Strada. La condanna si fondava sull’accertamento di una recidiva nel biennio, ovvero sulla commissione di una seconda violazione della stessa norma entro due anni dalla prima.
La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nel considerare provato il presupposto della recidiva. Secondo la tesi difensiva, non vi era certezza che la prima sanzione amministrativa fosse diventata definitiva, in quanto non era stato verificato se fosse stata presentata opposizione. L’accertamento si basava unicamente sulla testimonianza di un agente della polizia giudiziaria, che aveva consultato la banca dati interforze. La difesa sosteneva che la testimonianza fosse ambigua e non conclusiva.
La Valutazione della Prova nella Recidiva nel Biennio
Il punto cruciale del ricorso verteva sull’interpretazione della risposta fornita in aula dal testimone, un agente di polizia. Alla domanda del giudice: «E non avete riscontrato che c’era stata opposizione a quel verbale?», l’agente aveva risposto: «No nessuna».
Secondo la difesa, questa risposta non era sufficiente a dimostrare con certezza l’assenza di un’opposizione pendente. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato questa interpretazione, giudicando il ricorso manifestamente infondato.
Le Motivazioni della Corte
La Suprema Corte ha chiarito due punti fondamentali.
In primo luogo, ha ribadito un principio consolidato: l’accertamento della definitività di un provvedimento amministrativo può legittimamente fondarsi anche solo sulla prova testimoniale. Non è quindi necessario acquisire materialmente il documento che attesta la mancata opposizione, essendo sufficiente la dichiarazione di un testimone qualificato che ha effettuato le opportune verifiche.
In secondo luogo, la Corte ha analizzato specificamente la risposta fornita dall’agente. I giudici hanno sottolineato che la risposta non si è limitata a un semplice e potenzialmente ambiguo «No» (definito ‘olofrastico’). L’aggiunta del pronome femminile «nessuna» ha reso la dichiarazione inequivocabile. Poiché la domanda faceva riferimento al sostantivo femminile «opposizione», il pronome «nessuna» si riferiva necessariamente a essa, escludendo in modo chiaro e completo la presenza di qualsiasi atto di opposizione. Di conseguenza, la testimonianza è stata ritenuta una prova piena e sufficiente.
Le Conclusioni della Suprema Corte
Sulla base di queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione conferma che, ai fini della recidiva nel biennio, la prova della definitività di una sanzione precedente può essere fornita con mezzi diversi dalla produzione documentale, inclusa una testimonianza chiara e precisa. La sentenza sottolinea l’importanza del linguaggio usato durante le deposizioni e come anche un singolo aggettivo o pronome possa essere decisivo per l’esito del processo.
Per l’imputato, l’inammissibilità del ricorso ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa dell’evidente infondatezza dei motivi presentati.
Come si prova che una precedente sanzione è definitiva per configurare la recidiva nel biennio?
La definitività della sanzione può essere provata anche attraverso la testimonianza di un agente di polizia che ha verificato l’assenza di opposizioni consultando le banche dati pertinenti, senza che sia necessaria la produzione di documentazione cartacea.
Una risposta monosillabica di un testimone è sufficiente come prova?
Una risposta monosillabica come ‘No’ potrebbe essere ambigua. Tuttavia, nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la risposta ‘No nessuna’ fosse inequivocabile, poiché l’aggiunta del pronome ‘nessuna’ si riferiva chiaramente al sostantivo femminile ‘opposizione’ contenuto nella domanda, fugando ogni dubbio.
Quali sono le conseguenze di un ricorso giudicato manifestamente infondato?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato, il ricorrente non solo vede confermata la condanna, ma viene anche condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con motivi pretestuosi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35550 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35550 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/10/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Con la pronuncia di cui in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 116, comma 15, d.lgs. n. 30 aprile 1992, n. 285 (cod. strada), in forza dell’accertata c.d. «recidiva nel biennio».
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso fondato deducente violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione (censure di seguito enunciate nei limiti necessari per la motivazione ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.). In tesi difensiva avrebbero errato i giudici di merito, in ipotesi di c.d. «doppia conforme», nel ritenere sussistente il presupposto della recidiva nel biennio avendo fondato l’accertamento della definitività della (prima) sanzione amministrativa, con riferimento alla quale valutare la recidiva, in ragione di quanto emergente dalla banca dati interforze e senza confrontarsi con le emergenze processuali. Per quanto emergerebbe da quanto riportato dalla sentenza di primo grado, confermata dal giudice d’appello, oltre che dal verbale di assunzione del relativo mezzo di prova orale, l’escusso appartenente alla polizia giudiziaria avrebbe riferito di non aver controllato al fine di verificare l’eventuale proposizione di un’opposizione alla sanzione amministrativa e non il contrario. Il riferimento è alla domanda del giudice e alla relativa risposta resa dal testimone che lo stesso ricorrente riporta in ricorso nei seguenti termini: «E non avete riscontrato che c’era stata opposizione a quel verbale?» – domanda «No nessuna» – risposta -.
Il ricorso è manifestamente infondato sia per la possibilità che l’accertamento della definitività del provvedimento amministrativo in oggetto si fondi sulla prova testimoniale ovvero anche su essa (ex plurimis, Sez. 7, n. 11916 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286200 – 01, e i diversi riferimenti giurisprudenziali ivi citati) sia in ragione della risposta data dal testimone (appartenente alla polizia giudiziaria) alla specifica domanda rivoltagli dal giudice, nei termini sintetizzati dallo stesso ricorrente come innanzi riportati.
La risposta, difatti, non si è esaurita nel semplice avverbio negativo olofrastico («No»), il cui utilizzo avrebbe in ipotesi potuto destare dubbi circa la portata della risposta stessa, ma si è sostanziata nell’avverbio «No» seguito dall’indicato pronome femminile («nessuna»), quindi riferito, quest’ultimo, necessariamente al sostantivo femminile contenuto nella domanda («opposizione»).
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen. (equa in ragione dell’evidenziata causa d’inammissibilità).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 settembre 2025
Il Cos4Iiere 1ensore
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Il Presidente