Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8350 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8350 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a BITONTO il 31/07/1969 COGNOME NOME nato a BITONTO il 07/09/1985
COGNOME NOME nato a BITONTO il 29/03/1978
avverso la sentenza del 07/05/2024 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che riportandosi alla memoria depositata, ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva quanto a NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiarandosi inammissibili i ricorsi nel resto, oltre che dichiararsi inammissibile il ricorso di NOME COGNOME uditi gli avvocati NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME che hanno illustrato i motivi dei rispetti ricorsi e ne hanno chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza emessa il 7 maggio 2024, in accoglimento dell’appello del Procuratore generale distrettuale, riformava quella del Tribunale di Castrovillari, che aveva prosciolto gli imputati dichiarando l’estinzione per prescrizione del delitto di furto in abitazione, commesso con violenza sulle cose consistita, secondo l’ipotesi d’accusa, nell’aver forzato la finestra dell’abitazione di NOME COGNOME impossessandosi di numerosi preziosi, consistenti in 4 anelli d’oro, un anello di argento, un bracciale d’oro, due paia di orecchini ed altro. Il fatto risultava commesso in data 18 agosto 2011 e a COGNOME veniva contestata la recidiva specifica reiterata e infraquinquennale, mentre a COGNOME quella specifica e reiterata.
I ricorsi per cassazione proposti nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME constano di plurimi motivi, enunciati a seguire nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati depositati due ricorsi, articolati in complessivi quattro motivi.
3.1 Il primo motivo del primo ricorso deduce violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione.
Lamenta il ricorrente che pur a fronte del ‘ribaltamento’ della sentenza di proscioglimento emessa in primo grado, la Corte di appello ebbe ad omettere in violazione di legge – di rinnovare l’istruttoria dibattimentale, attività necessitata in quanto l’appello del Pubblico ministero fondava sul non essere decorso il termine di prescrizione, cosicché la circostanza aggravante della violenza sulla cosa assumeva valore determinante: sarebbe spettato al Collegio di secondo grado rinnovare la prova dichiarativa sul punto, escutendo la persona offesa ed i testimoni, avendo il Tribunale di primo grado escluso implicitamente la sussistenza della circostanza aggravante medesima.
Inoltre, e comunque, sarebbe viziata quanto alla motivazione la sentenza impugnata proprio sul punto della sussistenza della aggravante, non risultando la stessa dai rilievi fotografici – allegati al ricorso – e dall’assenza del contributo dei testi COGNOME e COGNOME, difettando quindi il riscontro alle dichiarazioni della persona offesa COGNOME
3.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla misura della pena, al diniego delle circostanze attenuanti generiche, nonché alla omessa esclusione della recidiva, trascurando che i fatti contestati
risalgono al 2011 – senza che l’imputato abbia commesso medio tempore altri delitti- e il valore della condotta successiva al fatto, ritenendo illogicamente integrata la pericolosità sociale dell’imputato e non risultando motivato il rigetto in ordine alla richiesta di esclusione della recidiva, alla luce dei criteri fissati dall Corte costituzionale.
3.3 Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine alla circostanza attenuante dell’art. 62 n. 4 cod. pen. che nella valutazione di Sez. U, COGNOME, impone una delibazione che adegui la pena in concreto al fatto, in ossequio al principio di offensività: nel caso in esame, alcun accertamento risulta effettuato sul valore della refurtiva, se non un generico riferimento alle dichiarazioni della persona offesa, che in sede di denuncia aveva indicato una quantificazione del valore in tre euro.
3.4 L’unico motivo del secondo ricorso nell’interesse di NOME COGNOME lamenta violazione di legge processuale in relazione alla genericità dell’appello del Pubblico ministero, da ritenersi aspecifico in quanto non si confrontava né con il tema della responsabilità dell’imputato, né con quello della sussistenza dell’aggravante della violenza sulla cosa. Pertanto, i motivi di impugnazione dovevano ritenersi aspecifici, anche alla luce del dettato dell’art. 581, comma 1bis, cod. proc. pen.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME si articola in quattro motivi.
4.1 Il primo motivo lamenta violazione di legge processuale riproponendo censure sovrapponibili al motivo del secondo ricorso COGNOME in ordine alla inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero.
4.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge, processuale e penale, oltre che vizio di motivazione, in ordine all’omessa rinnovazione istruttoria necessaria a fronte della sussistenza ritenuta dell’aggravante della violenza sulle cose, con argomentazioni sovrapponibili a quelle proposte con il primo motivo del ricorso COGNOME
4.3 Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e al diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, pur a fronte della incensuratezza del ricorrente.
4.4 II quarto motivo lamenta vizio di motivazione in ordine all’omesso riconoscimento dell’attenuante ex art. 62 n. 4 cod. pen. con argomenti sovrapponibili a quelli proposti dal terzo motivo del ricorso COGNOME
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME risulta articolato in sei motivi.
5.1 Il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’attenuante dell’art. 62 n. 4 cod. pen.: difetterebbe secondo il ricorrente una concreta verifica del valore della refurtiva, non risultando lo stesso dalla dichiarazione della persona offesa, non risultando sufficiente la motivazione della Corte di appello, che indica la stessa come di «non trascurabile valore».
5.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla aggravante della violenza sulle cose. Ripercorrendo argomenti spesi dai motivi degli altri ricorrenti sul punto, la presente censura si concentra sul vuoto probatorio che sostiene la motivazione impugnata, come anche sulla circostanza che non risulterebbe accertata la funzionalità della violenza ai fini della consumazione del reato, né comprovata la modifica significativa della res, che non si sostanzi solo in una semplice manipolazione.
5.3 Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla omessa esclusione della recidiva reiterata. La Corte di appello non avrebbe dato conto delle ragioni della maggiore pericolosità tratta dalla condotta di reato, in concreto, in difformità rispetto all’orientamento della giurisprudenza di legittimità.
5.4 Il quarto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, negate per la sola gravità dei fatti, omettendo la valutazione sulle ragioni positive che potevano giustificarne il riconoscimento.
5.5 Il quinto motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al termine di prescrizione, per determinare il quale la Corte di merito avrebbe operato un doppio aumento per la recidiva, non tenendo conto del criterio moderatore dell’art. 63, comma 4, cod. pen.
5.6 Il sesto motivo lamenta violazione di legge e e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, in violazione della finalità rieducativa della pena, da valutarsi alla luce dei principi fissati dalla Corte costituzionale, risultando la misura della pena discostarsi dal minimo edittale senza adeguata motivazione. Inoltre non sarebbe intellegibile se la Corte di appello abbia indicato la pena base partendo da quella prevista dall’art. 624-bis ovvero da quella aggravata dell’art. 625, comma 2, cod. pen. né si rinviene adeguata motivazione in ordine alla richiesta difensiva di conversione della pena detentiva in pena sostitutiva ex art. 20bis cod. pen.
6. I ricorsi sono stati trattati con l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovat art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni, a seguito della tempestiva istanza del difensore di NOME COGNOME
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME e COGNOME sono parzialmente fondati e inammissibili nel resto. Quello nell’interesse di COGNOME è del tutto inammissibile.
Procedendo in ordine logico, vanno esaminati congiuntamente, in quanto sovrapponibili, l’unico motivo del secondo ricorso COGNOME e il primo del ricorso COGNOME in ordine alla inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero.
La sentenza di primo grado dichiarava l’estinzione del reato per prescrizione, dando per presupposto che non potesse addivenirsi ad una sentenza di proscioglimento nel merito «tenuto conto dell’attività istruttoria svolta, dalla quale emerge la sussistenza del fatto e la riconducibilità della condotta agli odierni imputati».
Pertanto, l’appello del Procuratore generale distrettuale deduce correttamente la violazione di legge connessa alla circostanza che il Tribunale di Castrovillari aveva omesso di valutare, ai fini del termine di prescrizione, l’aggravante della violenza sulle cose. In modo dettagliato il Pubblico ministero parametra l’appello alla motivazione impugnata, richiamando le norme violate, nonché calcolando il termine della prescrizione per i singoli imputati.
Come correttamente osserva la Procura generale di questa Corte, non è richiesto al pubblico ministero impugnante, a fronte della sentenza di primo grado, che proscioglie per il solo decorso del termine di prescrizione, impugnare la sentenza anche con riferimento specifico alle ragioni della responsabilità degli imputati.
In tal senso, autorevolmente è stato affermato che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato. (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 22/02/2017, COGNOME, Rv. 26882201). D’altro canto, l’onere di specificità è stato anche richiesto dall’art. 581, comma 1-bis, cod. proc. pen. (introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 150 del 2022) che pure rapporta la valutazione di specificità dei motivi di impugnazione alle «ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento impugnato».
Ma l’appello del pubblico ministero risulta specifico e non inammissibile, in quanto propone critiche pertinenti e approfondite alle ragioni della decisione di primo grado, limitandosi a chiedere la condanna dell’imputato, senza esplicitare i motivi sulla responsabilità, che risultavano oggetto di un vaglio preliminare che il Giudice di primo grado aveva compiuto, non pervenendo alla decisione di proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Né, tantomeno, il primo Giudice aveva escluso l’aggravante della violenza sulle cose, che per altro risultava oggetto di uno specifico passaggio dell’atto di appello, in funzione della omessa valutazione dell’aggravante medesima ai fini della determinazione del termine di prescrizione.
I motivi sono pertanto manifestamente infondati.
Manifestamente infondati sono anche i sovrapponibili motivi in tema di omessa rinnovazione istruttoria in appello – il primo motivo del primo ricorso COGNOME e il secondo motivo del ricorso COGNOME.
A ben vedere, come correttamente ritenuto dalla Procura generale, va qui richiamato l’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., disciplina della quale occorre chiarire la portata.
La legge n. 103 del 23 giugno 2017 ha introdotto il citato comma 3-bis, che recita: «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale».
Tale comma è stato sostituito dall’art. 34, comma 1, lett. i), n. 1), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 99-bis, comma 1, del d.lgs. cit., aggiunto dall’art. 6, comma 1, D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199.
La nuova formulazione prevede: «Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice, ferme le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5».
Ai fini dei ricorsi in esame il nuovo dettato normativo non arreca alcuna innovazione e, dunque, ben può farsi riferimento alla autorevole interpretazione quella fornita dalle Sezioni Unite, ric. Troise, in ordine al testo della norma precedente fa modifica. Le Sezioni Unite hanno osservato come «il nuovo quadro normativo risultante dai numerosi innesti operati per effetto della legge n. 103 del
2017 non impone affatto di ritenere che il giudice di appello sia obbligato a disporre una rinnovazione generale ed incondizionata dell’attività istruttoria svolta in primo grado, ben potendo quest’ultima essere concentrata solo sulla fonte la cui dichiarazione sia oggetto di una specifica censura da parte del pubblico ministero attraverso la richiesta di una nuova valutazione da parte del giudice di appello, operando poi, nel caso in cui a seguito di tale rinnovazione dovesse apparire “assolutamente necessario” lo svolgimento di ulteriore attività istruttoria, la disciplina ordinaria prevista dall’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. L’espressione utilizzata dal legislatore nella nuova disposizione di cui al comma 3-bis, secondo cui il giudice deve procedere, nell’ipotesi Considerata, alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, non equivale infatti alla introduzione di un obbligo di rinnovazione integrale dell’attività istruttoria – che risulterebbe palesemente in contrasto con l’esigenza di evitare un’automatica ed irragionevole dilatazione dei tempi processuali -, ma semplicemente alla previsione di una nuova, mirata, assunzione di prove dichiarative ritenute dal giudice d’appello “decisive” ai fini dell’accertamento della responsabilità, secondo i presupposti già indicati da questa Corte nella sentenza Dasgupta. Coordinando la locuzione impiegata dal legislatore nel comma 3-bis («il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale») con quelle – del tutto identiche sul piano lessicale – già utilizzate nei primi tre commi della medesima disposizione normativa, deve pertanto ritenersi che il giudice d’appello sia obbligato ad assumere nuovamente non tutte le prove dichiarative, ma solo quelle che – secondo le ragioni puntualmente e specificamente prospettate nell’atto di impugnazione del pubblico ministero – siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e vengano considerate decisive ai fini dello scioglimento dell’alternativa “proscioglimentocondanna”» (nello stesso senso, Sez. 3, n. 16444 del 04/02/2020, C., Rv. 279425 – 02, che afferma che «n caso di impugnazione della sentenza di assoluzione da parte del pubblico ministero, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, previsto dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., anche con riferimento alle prove a discarico richieste dalla difesa, non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell’atto di impugnazione, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità; si richiama anche Sez. 1, n. 12928 del 07/11/2018, dep. 25/03/2019, P., Rv. 276318 – 01, per la quale «n caso di impugnazione della sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, previsto dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell’atto di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
impugnazione, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità»).
Pertanto, alla luce dei principi di Sez. U. Troise, non essendo la ragione del proscioglimento in primo grado derivante da prova dichiarativa, può condividersi il principio per cui in tema di impugnazioni, la riforma della sentenza di non doversi procedere che, accertati i fatti in contestazione, abbia dichiarato il reato estinto per un errore nel calcolo dei termini di prescrizione non deve essere preceduta dalla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603, comma 3 -bis, cod. proc. pen., in quanto il ribaltamento della decisione non deriva da una valutazione delle prove dichiarative diversa da quella svolta nella sentenza di proscioglimento (Sez. 3, n. 8139 del 29/11/2023, dep. 26/02/2024, Venere, Rv. 285958 – 01).
È evidente che il proscioglimento deve derivare dalla valutazione della prova dichiarativa perché sia obbligatoria la rinnovazione dell’istruttoria, il che nel caso in esame non è, in quanto la ragione del proscioglimento riguarda il decorso del termine di prescrizione.
D’altro canto, declinando la stessa ratio, si è affermato in modo condivisibile che il giudice d’appello – che abbia riformato la sentenza di non doversi procedere emessa in primo grado per tardività della querela – non è tenuto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603, comma 3 -bis, cod. proc. pen., nel caso in cui il ribaltamento della decisione di primo grado non derivi da una diversa valutazione delle prove dichiarative, ma consegua a errore di diritto del primo giudice sulla sussistenza della condizione di procedibilità (Sez. 2, n. 49984 del 16/11/2023, COGNOME, Rv. 285618 – 01).
Ne consegue la manifesta infondatezza dei motivi esaminati.
Vanno poi valutati, congiuntamente, i motivi che propongono censure di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose. Si tratta del primo motivo del primo ricorso COGNOME, del secondo motivo del ricorso COGNOME, del secondo motivo del ricorso COGNOME
I motivi partono dall’errato presupposto che la sentenza di primo grado abbia escluso la circostanza aggravante della violenza sulla cosa.
Ebbene, tale affermazione non trova alcun riscontro nella sentenza di primo grado, che infatti viene ‘attaccata’ dall’appello della Procura generale territoriale proprio perché difettava di una esclusione formale – né in dispositivo né tantomeno in motivazione – cosicché il calcolo della prescrizione risultava in violazione degli artt. 157 e ss. cod. pen.
In assenza di una esclusione della contestata aggravante, la valutazione della pena ai fini della prescrizione deve confrontarsi con l’imputazione, nella quale vi era immutata la contestazione corretta dell’aggravante, sia in diritto che in fatto.
Tanto premesso, deve rilevarsi come le censure mosse alla ritenuta sussistenza della aggravante della violenza sulle cose sono tutte manifestamente infondate, oltre che non consentite perché versate in fatto.
La Corte di appello, infatti, ha rilevato come «al fine di introdursi nella abitazione della persona offesa e trafugare la merce oggetto di causa, è stata divelta la finestra».
Le doglianze rivolte alla assenza di prova a riguardo sono mal poste, in quanto, per un verso affermano che il dato probatorio sia tratto dalle dichiarazioni della persona offesa, salvo poi denunciare la circostanza che gli altri testi non ne abbiano riferito e che dal fascicolo fotografico, anche allegato a uno dei ricorsi, non emergerebbe la prova della violenza sulle cose.
A ben vedere, i ricorrenti per un verso non rammentano che le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 – dep. 24/10/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214: in motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi).
Nel caso di specie la persona offesa non si è costituita parte civile, né le doglianze attaccano in modo specifico l’attendibilità della stessa, tanto più che neanche viene dedotto il travisamento, con l’allegazione delle dichiarazioni della persona offesa.
Pertanto, non consentita è la censura alla sentenza della Corte territoriale sul punto della violenza sulla cosa.
Quanto poi alla violazione di legge, la Corte di Catanzaro ha correttamente richiamato il principio per cui non necessariamente sulla res trafugata deve intervenire la violenza: difatti, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della violenza sulle cose prevista dall’art. 625, n. 2, cod. pen., non è necessario che la violenza venga esercitata direttamente sulla “res” oggetto dell’impossessamento, ben potendosi l’aggravante configurare anche quando la violenza venga posta in essere nei confronti dello strumento materiale apposto sulla cosa per garantire una più efficace difesa della stessa (Sez. 5, n. 33898 del
12/06/2017, Temelie, Rv. 270478 – 01; conf.: N. 2433 del 1993 Rv. 193805 01, N. 7235 del 2004 Rv. 227348 – 01, N. 43357 del 2005 Rv. 233078 – 01, N. 14780 del 2006 Rv. 234030 – 01, N. 3372 del 2013 Rv. 254782 – 01).
Pertanto, corretta è la sentenza impugnata, che ritiene ‘divelta la finestra’ e integrata l’aggravante, in sintonia con il principio per cui la violenza, ex art. 625, n. 2), cod. pen., si realizza tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l’opera dell’uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio, in modo che, per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione, sia necessaria un’attività di ripristino, cosicché essa non è configurabile ove l’energia spiegata sulla cosa, mediante la sua forzatura, non determina una manomissione ma si risolve in una semplice manipolazione che non implichi alcuna róttura, guasto, danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione, per cui sia necessaria un’attività di ripristino (Sez. 5, n. 11720 del 29/11/2019, dep. 09/04/2020, Romeo, Rv. 279042 – 01, nel caso in cui la Corte ha annullato la sentenza di appello che aveva riconosciuto l’aggravante in un caso di effrazione di un nastro di nylon che impediva l’accesso ad un locale, senza però verificare se esso fosse stato strappato o semplicemente sollevato; conf.: N. 20476 del 2018 Rv. 272705 – 01, N. 7267 del 2015 Rv. 262547 – 01, N. 57710 del 2018 Rv. 274771 – 01, N. 40457 del 2002 Rv. 223199 – 01, N. 53984 del 2017 Rv. 271889 – 01).
Ne consegue la manifesta infondatezza e la natura non consentita dei motivi esaminati.
Quanto al terzo motivo del primo ricorso COGNOME al quarto del ricorso COGNOME e al primo del ricorso COGNOME gli stessi lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla circostanza attenuante dell’art. 62 n. 4 cod. pen.
Sul punto i motivi sono manifestamente infondati, oltre che aspecifici.
A ben vedere, non si confrontano con la motivazione della Corte di appello, che correla la non tenuità del danno anche al danno non patrimoniale per la persona offesa, aggiungendo che comunque il valore della refurtiva risultava «non trascurabile… trattandosi di monili d’oro», con motivazione non manifestamente illogica: pertanto la natura non trascurabile del danno, viene anche collegata alla qualità intrinseca della refurtiva, e di ciò i ricorrenti non fanno menzione.
La Corte di appello spende argomenti senza dubbio corretti, in sintonia con il principio per cui la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza del reato, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato
(Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280615 – 01; in applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso che invocava la predetta circostanza attenuante in una fattispecie di più danneggiamenti di specchietti di autovetture posti in essere in continuazione, sottolineando l’irrilevanza del fatto che uno dei danneggiati avesse provveduto in proprio alla riparazione; Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241 – 01, In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale l’imputato invocava la configurabilità della predetta circostanza attenuante in una fattispecie di furto di merce del valore commerciale di 82 euro, sul presupposto che tale somma fosse irrilevante rispetto alla capacità economica del supermercato vittima del reato).
D’altro canto, nessun rilievo ha la circostanza che il danno si sia ridimensionato a seguito del rinvenimento della refurtiva, in quanto – come osservano Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095 – 03 – ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4), cod. pen., il momento da prendere in considerazione per la determinazione dell’entità del danno è quello della consumazione del reato, posto che il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi.
I motivi sono pertanto aspecifici e manifestamente infondati.
Propongono doglianze in ordine al vizio di motivazione e alla violazione di legge relativamente alla recidiva ritenuta, il secondo motivo del ricorso COGNOME e il terzo di quello COGNOME
Come rileva anche la Procura generale i motivi sono fondati e determinano l’annullamento con rinvio della sentenza sul punto: la motivazione che si legge al fol. 5 della sentenza impugnata non consente di ritenere adempiuto l’onere argomentativo richiesto dalla Corte costituzionale e dalla giurisrudenza consolidata di questa Corte di cassazione.
A ben vedere, come già chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Rv. 251690, Marciano’), «sul giudice del merito incombe uno specifico dovere di motivazione sia quando ritiene sia quando esclude la rilevanza della recidiva, scaturendo ciò dai condivisibili principi affermati nelle sentenze della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite. Infatti, esclusi i casi di recidiva c.d. obbligatoria, di cui al comma quinto dell’art. 99 cod. pen., il giudice può attribuire effetti alla recidiva unicamente quando la ritenga effettivamente idonea ad influire, di per sé, sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si procede». Egli è, pertanto, tenuto a verificare se il nuovo episodio criminoso sia «concretamente significativo – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133
cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo» (Corte cost., sent. n. 192 del 2007). In altri termini, costituisce «precipuo compito del giudice del merito verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali» (Sez. U, sentenza n. 35738 del 27/05/2010, Rv. 247838, COGNOME‘).
Gli GLYPH elementi valorizzabili ai GLYPH fini GLYPH della predetta GLYPH valutazione sono tendenzialmente quelli indicati dall’art. 133 c.p.
Diversamente da quanto richiesto da tali principi, la Corte di merito si limita a prendere in considerazione i precedenti penali, senza indicarne la qualità, la distribuzione cronologica, con uno sguardo solo rivolto al passato, senza verificare, inoltre, quale rilevanza abbia la commissione del delitto di furto in abitazione per il quale si procede rispetto alla pericolosità del reo, tale da giustificare l’aumento della pena per la recidiva.
Per altro, non essendo ancora decorso il termine di prescrizione, anche al netto del doppio aumento per la recidiva – consolidato è il principio secondo il quale la recidiva qualificata, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, incide sia sul calcolo del tempo necessario a prescrivere ex art. 157, secondo comma, cod. pen. sia sulla entità della proroga di detto tempo, in presenza di atti interruttivi, ex art. 161, secondo comma, cod. pen. (cfr. da ultimo, in motivazione, Sez. U, n. 49935 del 28/09/2023, Domingo, Rv. 285517 – 01) – deve disporsi l’annullamento con rinvio.
Difatti, tanto per COGNOME e COGNOME al netto della recidiva, come anche per COGNOME, incensurato, il termine di prescrizione va a scadere il 7 marzo 2025 (il termine a seguito di interruzione è pari a anni dodici e mesi sei, dunque la scadenza è quella del 18 febbraio 2024, alla quale aggiungere 383 giorni di sospensioni).
Quanto ai residui motivi per COGNOME e COGNOME gli stessi sono assorbiti e restano impregiudicati.
Residua l’ultimo motivo – relativo al trattamento sanzionatorio – proposto con ricorso da Terlizzi, come anche sulla non dichiarata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti.
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Deve osservarsi, quanto alla dosimetria della pena, che la stessa è stata determinata in anni uno e mesi sei di reclusione, prossima al minimo edittale previsto dal comma 1 dell’art. 625-bis cod. pen., ratione temporis vigente.
Tale misura è decisamente al di sotto della media edittale, essendo la pena massima di anni sei di reclusione, cosicché non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01). Infatti, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189); tuttavia, nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283), ovvero se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949). Requisiti motivazionali sussistenti nella sentenza impugnata.
Anche la censura relativa alla omessa prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, non si confronta con la valorizzazione dello stato di incensuratezza, che giustifica il riconoscimento delle attenuanti ritenute equivalenti, né con la circostanza che per il Terlizzi, come emerge dalle conclusioni, in appello non veniva richiesto altro che la conferma della sentenza di primo grado, non anche in subordine le circostanze attenuanti generiche né la loro prevalenza. E pertanto, pur essendo possibile alla Corte di appello disporre d’ufficio l’attenuazione della pena, non di meno la ritenuta equivalenza non richiede una motivazione peculiare, non essendo mai richiesta la prevalenza. Pertanto la Corte territoriale offre una motivazione non manifestamente illogica, oltre che corretta: le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto, il che è quanto accade nel caso in esame (Sez. Un., n. 10713 del 25 febbraio 2010, COGNOME, Rv. 245931).
Ne consegue la manifesta infondatezza del motivo.
Pertanto va annullata la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME limitatamente alla circostanza aggravante della recidiva, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro, mentre nel resto i rispettivi ricorsi sono inammissibili.
Inammissibile è il ricorso di NOME COGNOME che va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME limitatamente alla circostanza aggravante della recidiva, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro; dichiara inammissibili nel resto i ricorsi dei predetti imputati.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e lo condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/1/2025.