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Recidiva: l’obbligo di motivazione del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per minaccia e percosse limitatamente all’applicazione dell’aggravante della recidiva. La Corte ha ribadito che il giudice non può applicare la recidiva basandosi solo sull’esistenza di precedenti penali, ma deve fornire una motivazione specifica e individualizzante che dimostri come il nuovo reato sia sintomo di una maggiore pericolosità sociale del reo. Il caso è stato rinviato al Giudice di Pace per una nuova valutazione sul punto.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva: La Cassazione Annulla la Sentenza per Mancata Motivazione

L’applicazione dell’aggravante della recidiva non è mai un automatismo. Anche in presenza di precedenti penali, il giudice ha il dovere di spiegare perché il nuovo reato è indice di una maggiore pericolosità sociale. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con una recente sentenza, annullando parzialmente una condanna per minaccia e percosse proprio per l’assenza di una motivazione specifica su questo punto cruciale.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da una condanna emessa dal Giudice di pace di Torino nei confronti di un uomo, ritenuto responsabile dei reati di minaccia continuata e percosse ai danni di una donna. L’imputato era stato condannato al pagamento di una multa, con il riconoscimento dell’aggravante della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, bilanciata in equivalenza con le attenuanti generiche.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto appello, successivamente convertito in ricorso per Cassazione. I motivi del ricorso erano tre:
1. Contestazione della responsabilità, sostenendo che non vi fosse stata una reale intimidazione e che la sua reazione fosse stata provocata dal fatto che la vittima lo stava filmando con lo smartphone.
2. Mancato riconoscimento dell’attenuante della provocazione, a suo dire scatenata dal comportamento insistente e molesto della persona offesa.
3. Eccessività della pena e, soprattutto, applicazione ingiustificata della recidiva senza alcuna motivazione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha analizzato i diversi motivi di ricorso, giungendo a conclusioni differenti per ciascuno di essi.

La Condanna per Minaccia e Percosse: Una Valutazione Insindacabile

I primi due motivi sono stati respinti. La Corte ha chiarito che la valutazione delle prove, come la testimonianza della persona offesa (ritenuta precisa e coerente) e la video-registrazione dei fatti, spetta al giudice di merito. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la logicità della motivazione, che in questo caso è stata giudicata completa e congrua.

Inoltre, è stato ribadito un principio fondamentale in materia di minaccia: il reato sussiste anche se la vittima non si sente effettivamente intimidita. È sufficiente che il comportamento dell’aggressore sia oggettivamente idoneo a ingenerare timore e a limitare la libertà psichica della vittima.

Anche la richiesta di applicare l’attenuante della provocazione è stata respinta. I giudici hanno ritenuto che la condotta della donna, che aveva ripreso l’imputato con il cellulare, non costituisse un ‘fatto ingiusto’, ma una legittima pretesa di documentare i gesti minacciosi (come quello di ‘tagliare la gola’) che l’uomo le stava rivolgendo, al fine di tutelare i propri diritti.

La Recidiva e l’Obbligo di Motivazione Specifica

Il terzo motivo di ricorso ha invece colto nel segno, portando all’annullamento parziale della sentenza. La Cassazione ha accolto la censura relativa alla recidiva, sottolineando come il Giudice di pace l’avesse applicata senza fornire alcuna motivazione a sostegno.

Questo contrasta con l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui il giudice di merito ha l’obbligo di fornire una motivazione specifica e individualizzante. Non basta il semplice riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali. Il giudice deve ‘verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore’.

Questa verifica deve tenere conto di vari elementi, tra cui:
– La natura dei reati precedenti e di quello attuale.
– La distanza temporale tra i fatti.
– Il grado di offensività dei comportamenti.
– L’omogeneità tra i reati.
– L’eventuale occasionalità della ricaduta.
– Ogni altro parametro utile a valutare la personalità del reo e il suo grado di colpevolezza.

In assenza di questa analisi approfondita, l’applicazione della recidiva è illegittima.

Le Conclusioni

Per tutto quanto esposto, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, ma solo limitatamente al punto relativo alla recidiva. Ha disposto il rinvio al Giudice di pace di Torino per un nuovo giudizio su questo specifico aspetto. Il resto del ricorso è stato rigettato, confermando quindi la responsabilità penale dell’imputato per i reati di minaccia e percosse. In pratica, la condanna è definitiva, ma la pena dovrà essere rideterminata dal primo giudice, che dovrà motivare adeguatamente l’eventuale applicazione dell’aggravante o decidere di escluderla.

Avere precedenti penali comporta automaticamente l’applicazione dell’aggravante della recidiva?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’esistenza di precedenti penali non è sufficiente. Il giudice deve fornire una motivazione specifica, spiegando perché la commissione di un nuovo reato dimostra una maggiore riprovevolezza e pericolosità dell’autore, basandosi su una valutazione concreta della sua personalità e della natura dei reati.

Filmare una persona che sta commettendo un reato costituisce una provocazione?
No. Secondo la sentenza, riprendere con un cellulare una persona mentre sta compiendo un atto illecito (in questo caso, minacce) non è un ‘fatto ingiusto’ che può giustificare l’attenuante della provocazione. Al contrario, è considerata una legittima pretesa di documentare il reato per tutelare i propri diritti.

Per essere condannati per minaccia è necessario che la vittima si sia sentita effettivamente spaventata?
No. Il reato di minaccia è integrato quando il comportamento dell’agente è oggettivamente idoneo a ingenerare timore e a turbare o diminuire la libertà psichica della vittima, a prescindere dal fatto che quest’ultima si sia sentita effettivamente intimidita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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