Recidiva: Quando il Giudice Può Aumentare la Pena?
La valutazione della recidiva è uno dei momenti più delicati del processo penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12564/2024) ci offre l’occasione per approfondire i confini della discrezionalità del giudice in questa materia. Il caso in esame riguarda un ricorso presentato contro la decisione di una Corte d’Appello che aveva confermato il riconoscimento della recidiva per un imputato, con conseguente aumento di pena.
I Fatti del Caso
Un soggetto, già condannato in passato, proponeva ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli. L’unico motivo di doglianza era il riconoscimento della recidiva, ritenuto ingiusto dall’imputato. Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente motivato le ragioni per cui le precedenti condanne dovessero influire sulla pena per il nuovo reato commesso.
La Valutazione della Recidiva da parte della Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile e manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: la valutazione sulla recidiva rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, tuttavia, non è arbitrario, ma deve essere esercitato fornendo una motivazione adeguata, logica e priva di contraddizioni.
L’Argomentazione dei Giudici di Merito
Nel caso specifico, la Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello aveva ampiamente e correttamente esplicitato le ragioni della sua decisione. I giudici avevano analizzato in concreto il rapporto tra il nuovo reato e le precedenti condanne, utilizzando i criteri guida forniti dall’art. 133 del codice penale. In particolare, era stata evidenziata l’accentuata pericolosità sociale del soggetto, desunta proprio dalla sua storia criminale. Tale motivazione, essendo completa e coerente, non poteva essere messa in discussione in sede di legittimità.
Le Motivazioni
La decisione della Cassazione si fonda sulla netta distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. I giudici di primo e secondo grado hanno il compito di analizzare i fatti e le prove, formando il proprio convincimento. La Corte di Cassazione, invece, ha il ruolo di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, senza poter entrare nel merito delle valutazioni fattuali.
Poiché la Corte d’Appello aveva esercitato la sua discrezionalità in modo corretto, argomentando in maniera esauriente sulle ragioni che giustificavano il riconoscimento della recidiva (in particolare, la pericolosità sociale del reo), la Suprema Corte non ha potuto fare altro che confermare l’operato dei giudici precedenti. Il ricorso è stato quindi giudicato inammissibile, in quanto mirava a ottenere un nuovo giudizio sui fatti, non consentito in sede di Cassazione.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato: non è sufficiente contestare genericamente il riconoscimento della recidiva. Per avere successo in Cassazione, è necessario dimostrare un vizio specifico nella motivazione del giudice di merito, come una palese illogicità, una contraddizione o una carenza argomentativa. Se il giudice ha spiegato in modo chiaro e coerente perché ha ritenuto di applicare l’aumento di pena per la recidiva, basandosi su elementi concreti come la pericolosità sociale, la sua decisione è insindacabile. L’imputato, oltre a vedersi respingere il ricorso, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione sulla recidiva fatta da un giudice?
Sì, ma solo se la motivazione del giudice è manifestamente illogica, contraddittoria o carente. Non è possibile chiedere alla Cassazione una nuova valutazione dei fatti, ma solo un controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla coerenza del ragionamento del giudice.
Quali elementi considera il giudice per riconoscere la recidiva?
Il giudice esamina il rapporto tra il reato per cui si procede e le condanne precedenti, basandosi sui criteri dell’art. 133 del codice penale. Un elemento fondamentale, come evidenziato in questo caso, è la valutazione della pericolosità sociale del soggetto.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei requisiti di legge. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12564 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12564 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si censura il riconoscimento della recidiva contestata, è manifestamente infondato in quanto i giudici del merito hanno correttamente esercitato la discrezionalità attribuita, ampiamente esplicitando, con argomentazione esente da criticità giustificative, le ragioni del loro convincimento, non sindacabili in questa sede;
che, invero, la Corte territoriale ha esaminato in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e precedenti condanne, congruamente argomentando sull’accentuata pericolosità sociale del prevenuto (si vedano, in particolare, pagg. 4 e 5);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 6 marzo 2024.