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Recidiva: la Cassazione sul potere del giudice

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto. La Corte chiarisce che l’applicazione della recidiva non è obbligatoria, ma una valutazione discrezionale del giudice basata sulla pericolosità sociale del reo, e che il bilanciamento con le attenuanti è insindacabile se motivato.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva: La Cassazione e il Potere Discrezionale del Giudice nel Bilanciamento delle Circostanze

La recente sentenza n. 4834/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante occasione per approfondire il tema della recidiva nel diritto penale. La pronuncia chiarisce la natura non automatica di tale aggravante e riafferma l’ampio potere discrezionale del giudice nel valutare la personalità del reo e nel bilanciare le circostanze del reato. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

Il Caso: Furto, Condanna e il Ricorso in Appello

Il caso trae origine dalla condanna in primo grado di un individuo per il reato di furto. In sede di appello, la Corte territoriale di Firenze, pur accogliendo parzialmente le richieste della difesa riconoscendo una circostanza attenuante, aveva confermato la responsabilità penale. In particolare, la Corte d’Appello aveva ritenuto la recidiva, contestata ai sensi dell’art. 99, quarto comma, del codice penale, equivalente alla circostanza attenuante riconosciuta, procedendo a un bilanciamento tra le due.

Il Ricorso in Cassazione e la questione della recidiva

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, sollevando due questioni principali:
1. Una presunta violazione di legge riguardo alla ritenuta obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva.
2. La mancata prevalenza della circostanza attenuante sulla recidiva, anche alla luce di una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 141/2023) che ha rimosso il divieto di prevalenza per specifiche attenuanti.

In sostanza, la difesa sosteneva che il giudice d’appello avesse erroneamente considerato l’applicazione della recidiva come un atto dovuto e non avesse adeguatamente valutato la possibilità di far prevalere l’attenuante, riducendo così la pena.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le doglianze della difesa manifestamente infondate. Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri argomentativi di fondamentale importanza.

La Natura Discrezionale della Recidiva

In primo luogo, la Suprema Corte ha smontato l’argomento secondo cui il giudice d’appello avrebbe considerato obbligatoria l’applicazione dell’aumento di pena. Al contrario, la Corte fiorentina aveva fornito una motivazione specifica e dettagliata, pienamente conforme ai principi stabiliti dalle Sezioni Unite. Il giudice di merito aveva infatti valutato in concreto la condotta dell’imputato, definendola «sintomatica di una perdurante noncuranza del rispetto della legge ed espressione di una maggiore pericolosità sociale». Questa valutazione era basata sulla storia criminale dell’imputato, caratterizzata da numerosi furti e una carriera delittuosa di lunga data. La decisione di applicare l’aggravante non è stata quindi un automatismo, ma il risultato di un giudizio ponderato sulla personalità del reo, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità. La Corte non si è sentita “obbligata” dalla legge, ma ha tratto le logiche conclusioni dalle premesse fattuali.

Il Bilanciamento tra Attenuanti e Aggravanti

In secondo luogo, riguardo al bilanciamento delle circostanze, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto è una valutazione di merito, tipicamente discrezionale, che sfugge al sindacato di legittimità se non è frutto di arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva esplicitamente motivato perché l’attenuante riconosciuta non apparisse «né prevalente né equivalente» rispetto alla gravità indicata dalla recidiva. Questa scelta, finalizzata a determinare una pena adeguata al caso concreto, è stata ritenuta sorretta da una motivazione sufficiente. La Cassazione ha inoltre sottolineato come la difesa avesse erroneamente contestato una presunta violazione di legge, mentre avrebbe dovuto, semmai, lamentare un vizio di motivazione, peraltro non sussistente.

Le Conclusioni: Principio di Diritto e Implicazioni Pratiche

La sentenza in esame riafferma con forza che la recidiva non è un meccanismo automatico di inasprimento della pena (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, come quello del comma quinto dell’art. 99 c.p.), ma uno strumento che il giudice deve applicare solo dopo aver verificato in concreto se la reiterazione dei reati sia un reale sintomo di maggiore riprovevolezza e pericolosità sociale. Il cuore della decisione risiede nel potere discrezionale del giudice, il cui giudizio sul bilanciamento tra attenuanti e aggravanti, se logicamente e sufficientemente motivato, è insindacabile in sede di legittimità. Questa pronuncia conferma che la valutazione della personalità del reo e l’adeguatezza della pena rimangono centrali nel sistema penale, anche di fronte a una storia criminale significativa.

L’applicazione della recidiva è sempre obbligatoria per il giudice?
No, non è sempre obbligatoria. Salvo casi specifici come la recidiva reiterata prevista dall’art. 99, comma quinto, cod. pen., il giudice ha il compito di verificare in concreto se la ripetizione dei reati sia effettivamente un sintomo di maggiore pericolosità sociale e riprovevolezza della condotta. È una valutazione discrezionale e motivata.

Come decide il giudice se una circostanza attenuante debba prevalere sulla recidiva?
Il giudice compie un “giudizio di bilanciamento”, una valutazione discrezionale in cui confronta il peso della circostanza aggravante (la recidiva) con quello della circostanza attenuante. La sua decisione (prevalenza, equivalenza o soccombenza dell’attenuante) è legittima se basata su una motivazione sufficiente e non illogica, finalizzata a irrogare una pena adeguata al caso specifico.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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