Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16359 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16359 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Macerata il 08/06/1981
avverso la sentenza del 04/10/2024 della Corte d’appello di Perugia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le note e conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME, la quale ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20/01/2022, la Corte d’appello di Ancona confermava la sentenza del 28/05/2019 del G.u.p. del Tribunale di Macerata, emessa in esito a giudizio abbreviato, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni di reclusione ed € 5.000,00 di multa (così ridotta per la scelta del rito abbreviato) per il reato di cessione illecita di sostanza stupefacente del tipo hashish (art. 73, comma 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309).
Con la sentenza n. 46042 del 09/11/2022, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione annullava tale sentenza del 20/01/2022 della Corte d’appello di
Ancona limitatamente alla recidiva, con rinvio, per un nuovo giudizio su tale punto, alla Corte d’appello di Perugia, con assorbimento del motivo relativo alla mancata riduzione della pena irrogata in misura superiore al minimo edittale e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, e con declaratoria di irrevocabilità dell’accertamento della responsabilità.
Con sentenza del 04/10/2024, la Corte d’appello di Perugia, nel giudizio di rinvio dopo tale annullamento: 1) confermava la sentenza del 28/05/2019 del G.u.p. del Tribunale di Macerata; 2) revocava, ai sensi dell’art. 168 cod. pen., la sospensione condizionale della pena che era stata irrogata al COGNOME con la sentenza del 24/10/2012 del G.u.p. del Tribunale di Macerata, divenuta irrevocabile il 13/12/2012.
Avverso tale sentenza del 04/10/2024 della Corte d’appello di Perugia, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.: l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen.; l’omessa o apparente motivazione in ordine alle ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; il travisamento del fatto con riguardo all’affermazione che egli aveva ammesso le proprie responsabilità.
Il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Perugia sarebbe incorsa nei vizi di: a) inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., in quanto avrebbe erroneamente affermato la coincidenza dei criteri e dei presupposti di fatto costitutivi della ritenuta recidiva con i criteri e i presupposti di fatto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; b) inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen., in quanto avrebbe affermato «la “sola” rilevanza del precedente ai fini del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in assenza di valutazione e validazione (positiva o negativa) circa i criteri richiamati dalla medesima norma e le ragioni a sostegno dei motivi di appello e del ricorso in cassazione»; c) omessa o apparente motivazione, là dove, «affermata la suddetta coincidenza quale motivazione del tutto apparente, i giudici si sono sentiti “esonerati” dalla valutazione degli ulteriori elementi richiamati dall’art. 133 c.p. i quali, “positivamente” valutabili, sarebbero stati in grado contrastare gli elementi di segno contrario, eludendo così le doglianze della difesa e i motivi di ricorso»; d) travisamento del fatto, «come emergente dal testo delle sentenze e relativo alla circostanza (ritenuta ostativa) dell’avvenuta ammissione di responsabilità da parte dell’imputato».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’omessa pronuncia sul motivo di appello relativo al quantum della pena base e all’aumento per la continuazione.
Nel rammentare come il quarto motivo del suo primo ricorso per cassazione, concernente anche la mancata riduzione della pena irrogata in misura superiore al minimo edittale, fosse stato dichiarato assorbito dalla Sesta sezione penale della Corte di cassazione, il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Perugia avrebbe omesso di motivare in ordine alle censure, che egli aveva sollevato con il motivo n. 5 del proprio atto di appello, relative alla congruità: a) della pena base (due anni e tre mesi di reclusione ed C 5.500,00 di multa, con riferimento a 1.025,44 grammi lordi di sostanza stupefacente) che gli era stata irrogata, rispetto alla pena base che era stata inflitta ai due coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME (due anni e sei mesi di reclusione ed C 6.000,00 multa, con riferimento a 11,40 chilogrammi lordi di sostanza stupefacente); b) dell’aumento per la continuazione (tre mesi di reclusione ed C 1.000,00 di multa, con riferimento a 274,56 grammi di sostanza stupefacente) che gli era stato irrogato rispetto all’aumento per la continuazione che era stato inflitto alla coimputata COGNOME (due mesi di reclusione ed C 1.000,00 di multa, con riferimento a 1.600,00 grammi di sostanza stupefacente).
Tali censure avrebbero evidenziato «palese incongruità, sproporzione e dosimetria in punto di trattamento sanzionatorio riservato al COGNOME rispetto ai coimputati» ed erano state «avanzate anche al fine di riequilibrare il precitato trattamento secondo il principio di proporzionalità della pena e alla luce dei criteri di cui all’art 133 c.p.».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la motivazione apparente con riguardo al riconoscimento della recidiva.
Il COGNOME contesta che, nel ritenere la recidiva, la Corte d’appello di Perugia «non si confronta in alcun modo con le modalità di esecuzione della condotta caratterizzante il primo reato; confronto necessario ai fini dell’accertamento della contestata recidiva, non essendo sufficiente il mero dato ponderale dell’esistenza del precedente».
Il ricorrente rappresenta che «lcun elemento in relazione alle modalità di esecuzione della condotta del primo reato è presente in atti ed inoltre il procedimento inerente detto primo reato si è risolto con patteggiamento, modalità di definizione che non consente di entrare nel merito».
La Corte d’appello di Perugia avrebbe anche trascurato di considerare «lo stato di assuntore del COGNOME della medesima sostanza stupefacente di quella oggetto di imputazione tralasciando ogni argomentazione in punto»,
nonostante tale elemento fosse stato invocato sia nell’atto di appello sia nel primo ricorso per cassazione.
In tale modo, il giudice del rinvio non avrebbe neppure fatto buon governo del principio di diritto al quale avrebbe dovuto uniformarsi.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il «mancato avviso della trattazione della revoca della sospensione condizionale della pena», ciò che integrerebbe una nullità assoluta e insanabile ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Il COGNOME contesta che la Corte d’appello di Perugia abbia provveduto alla suddetta revoca «senza alcun “avviso” ed in particolare vi ha provveduto a seguito di udienza ad altro deputata: udienza in sede di rinvio per ipotesi circoscritta niente affatto afferente alla revoca della sospensione condizionale della pena» e, «vieppiù, tenutasi in camera di consiglio», sulla base della disciplina che era stata adottata per fronteggiare la pandemia di Covid-19.
Il ricorrente rappresenta che: né il giudice di primo grado né la Corte d’appello di Ancona si erano pronunciati sul punto; né l’avviso di fissazione dell’udienza che era stato notificato dalla Corte d’appello di Perugia per la trattazione del giudizio di rinvio faceva in qualche modo riferimento alla questione della revoca della sospensione condizionale della pena, né il pubblico ministero, nella propria requisitoria scritta, aveva avanzato alcuna richiesta al riguardo.
Il COGNOME lamenta che, di conseguenza, egli e il proprio difensore non erano stati posti nelle condizioni di esercitare il diritto di difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01; nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione dell attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli alt disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o no il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare allo scopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-01; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163-01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Perugia ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo decisivo e prevalente, a tale fine, l’elemento, attinente alla capacità a delinquere del COGNOME, del suo precedente penale specifico, così legittimamente disattendendo il rilievo di altri elementi, tra i quali, evidentemente, anche quelli – che erano stati invocati dall’imputato nel proprio atto di appello (motivo n. 4) – relativi al rispetto delle «prescrizioni impost dalla misura», al «contegno collaborativo nelle perquisizioni», all’«inseri nel contesto sociale (ha ed aveva stabile lavoro)» e al fatto che, tra l’aprile del 2017 (periodo al quale al più tardi risaliva la commissione dei fatti) e l’applicazione della misura cautelare nel luglio del 2018, «non sono stati effettuati allo stesso ulteriori rilievi».
Tenuto conto dei principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono rammentati sopra, diversamente da quanto è sostenuto dal COGNOME, si deve ritenere che, così motivando, la Corte d’appello di Perugia abbia del tutto legittimamente ritenuto, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, la decisività dell’elemento costituito dal precedente penale specifico dell’imputato e la prevalenza dello stesso elemento rispetto a quelli, favorevoli alla concessione del beneficio, che erano stati invocati dal COGNOME
Quanto al lamentato travisamento del fatto, per avere la Corte d’appello di Perugia affermato che l’imputato aveva ammesso le proprie responsabilità, esso, pur essendo sussistente – atteso che, diversamente da quanto asserito dalla stessa Corte d’appello, dalla sentenza di primo grado non risulta affatto che il COGNOME avesse fatto ciò – è tuttavia irrilevante, atteso che, diversamente da quanto sostenuto dallo stesso COGNOME, la Corte d’appello di Perugia non ha affatto reputato tale sua presunta ammissione di responsabilità una «circostanza ostativa» al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ma ne ha affermato l’irrilevanza come elemento positivamente valutabile, con la conseguenza che l’affermazione dell’irrilevanza di un elemento insussistente non è evidentemente logicamente tale da inficiare concretamente un ragionamento.
Pertanto, alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza di legittimità sopra esposti, la motivazione della Corte d’appello di Perugia si deve ritenere
sufficiente e, in quanto espressiva di un giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede.
La censura, che è stata sollevata con il secondo motivo, relativa alla determinazione della misura della pena, ancorché effettivamente non esaminata dalla Corte d’appello di Perugia, è manifestamente infondata.
Si deve in proposito rilevare che: a) la pena base di due anni e tre mesi di reclusione ed C 5.500,00 di multa che è stata irrogata al COGNOME è in realtà vicinissima al minimo edittale che è previsto per il reato, a lui attribuito, di c all’art. 73, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990 (reato che è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da C 5.164,00 a C 77.468,00); b) l’aumento di pena di tre mesi di reclusione ed C 1.000,00 di multa per la continuazione con l’episodio meno grave di cessione di sostanza stupefacente risulta di esigua entità, tenuto conto del quantitativo che era stato illecitamente ceduto dal COGNOME.
Si deve pertanto ritenere che si tratti di una pena base e di un aumento di pena per la continuazione che appaiono manifestamente tali da escludere in radice ogni abuso del potere discrezionale che è conferito al giudice dall’art. 132 cod. pen. e che il G.u.p. del Tribunale di Macerata ha esercitato «tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p.».
Quanto al diverso trattamento sanzionatorio che sarebbe stato riservato ai due coimputati, si deve rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839-01; Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, COGNOME, Rv. 264020-01; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252880-1).
Tale circostanza si deve ritenere insussistente nel caso in esame alla luce sia di quanto si è detto sopra sia del fatto che, secondo quanto è stato affermato dallo stesso ricorrente nel proprio atto di appello (pag. 15), ai due coimputati la pena era stata applicata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., cioè sulla base di un negozio giuridico processuale relativo a una specifica quantificazione della sanzione.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Quanto all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782-01). In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere
risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.
In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 26346401).
Più diffusamente, la stessa Corte di cassazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tr fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, COGNOME, Rv. 270419-01).
Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve anzitutto affermare come, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, dagli stessi non sia ritraibile la necessità che il giudice, al fine di affermare la sussistenza dell recidiva, consideri specificamente «le modalità di esecuzione della condotta caratterizzante il primo reato».
Ciò affermato, nel caso di specie, la Corte d’appello di Perugia ha rilevato che: 1) il 24/06/2011, il COGNOME aveva commesso un fatto di traffico illecito di sostanze stupefacenti che era stato qualificato come reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, e per il quale gli era stata applicata, su richiesta delle parti la pena nella misura, «tutt’altro che orientat verso i minimi edittali», di du anni di reclusione ed € 6.000,00 di multa; 2) nonostante tale sentenza di “patteggiamento” fosse divenuta irrevocabile nel dicembre del 2012 (il 13/12/2012), già nel febbraio del 2016 il COGNOME si era dedicato al commercio di hashish, in quantità non trascurabili; 3) nel fare ciò, l’imputato si era mostrato i grado di ricorrere a significativi accorgimenti per eludere eventuali controlli, come l’utilizzo di una scheda SIM intestata a un prestanome e il ricorso all’intermediazione di una ragazza (NOME COGNOME) per consegnare lo stupefacente all’acquirente NOME COGNOME, ragazza alla quale l’imputato aveva
chiesto di prestarsi a ciò per il fatto che era incensurata, mentre il COGNOME aveva già subito un arresto per droga.
Alla luce di tali elementi, la Corte d’appello di Perugia ha del tutto logicamente ritenuto che il COGNOME avesse fatto un «”salto di qualità”», passando a commerciare stupefacenti in quantità di estremo rilievo e avvalendosi anche di terzi che gli evitassero di riapparire sulla scena in prima persona, essendo egli già incappato nelle maglie della legge.
Da ciò la parimenti logica conclusione – la quale appare sorretta da una motivazione che, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, risulta tutt’altro che apparente -, che il nuovo episodio delittuoso sub iudice si doveva ritenere rivelatore della maggiore capacità a delinquere del COGNOME.
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Nel caso in esame, la revoca della sospensione condizionale della pena che era stata concessa al COGNOME con la sentenza del 24/10/2012 del G.u.p. del Tribunale di Macerata, divenuta irrevocabile il 13/12/2012, è stata disposta dalla Corte d’appello di Perugia a norma dell’art. 168, primo comma, n. 1), cod. pen., per avere il COGNOME commesso, durante il termine di sospensione di cui all’art. 163, primo comma, cod. pen. (che, nella specie, trattandosi di delitto, era di cinque anni), un delitto per cui era stata inflitta una pena detentiva.
Con riguardo a tale ipotesi di revoca della sospensione condizionale della pena, la Corte di cassazione ha da tempo chiarito come si tratti di una revoca di diritto, o obbligatoria, la cui pronuncia riveste carattere meramente dichiarativo, cioè ricognitivo di una caducazione del beneficio che è già avvenuta ope legis (al passaggio in giudicato della sentenza attinente al secondo reato), nel momento in cui si è verificata la condizione e, quindi, anche prima della pronuncia giudiziale e indipendentemente da essa (Sez. U, n. 7551 del 08/04/1998, COGNOME, Rv. 210798-01), tanto che la stessa revoca può essere disposta, come è avvenuto nel caso in esame, dalla corte d’appello anche in presenza di appello del solo imputato, senza che ciò costituisca violazione del divieto di reformatio in peius (Sez. 1, n. 20293 del 08/05/2008, COGNOME, Rv. 239996-01; Sez. 1, n. 13011 del 11/03/2005, Tarisciotti, Rv. 231256-01).
Da ciò discende che, essendo tale revoca obbligatoria ed essendo essa adottata sulla base di un’attività che ha natura meramente ricognitiva di un effetto che si è già verificato ope legis, e non di un’attività discrezionale, si deve ritenere che, rispetto alla stessa revoca, non sussista alcun obbligo di dare avviso all’imputato e al suo difensore dell’adozione di una siffatta, meramente dichiarativa, pronuncia.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.
pen., al pagamento delle spese processuali, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della
somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 07/03/2025.