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Recidiva: la Cassazione e la valutazione del giudice

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata contro l’aumento di pena per recidiva. La Corte ha stabilito che la valutazione del giudice di merito era corretta, in quanto non basata sulla mera esistenza di precedenti, ma su un’analisi concreta della pericolosità sociale e dell’inclinazione a delinquere, in linea con i principi dell’art. 133 c.p.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva: Quando il Giudice Può Aumentare la Pena? L’Analisi della Cassazione

L’applicazione della recidiva nel diritto penale rappresenta un tema delicato, che bilancia la necessità di punire più severamente chi reitera nel crimine e il divieto di automatismi sanzionatori. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’aumento di pena non può derivare dalla semplice constatazione di precedenti penali. È necessaria una valutazione concreta da parte del giudice, che deve accertare se la condotta passata indichi una reale e persistente inclinazione a delinquere. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Una persona veniva condannata in primo grado e in appello per reati contro il patrimonio. La Corte d’Appello di Bologna, confermando la sentenza del Tribunale, applicava un aumento di pena riconoscendo la sussistenza della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. In sintesi, l’imputata aveva già commesso reati simili in un arco di tempo ravvicinato.

Contro questa decisione, la difesa proponeva ricorso per Cassazione. Il motivo del ricorso era uno solo: l’erronea applicazione della legge e l’inadeguatezza della motivazione riguardo al riconoscimento della recidiva. Secondo la ricorrente, mancavano i presupposti concreti per giustificare tale aggravamento della pena.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Ruolo della Recidiva

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza dell’imputata, ma si concentra sulla correttezza giuridica della sentenza d’appello, in particolare per quanto riguarda la gestione della recidiva.

Il punto centrale della pronuncia è che il ricorso sollevava una questione di merito, mascherata da vizio di legittimità. La difesa, infatti, non contestava una violazione di legge, ma la valutazione fatta dal giudice d’appello. Tale valutazione, secondo la Cassazione, è di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado e non può essere riesaminata in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria, cosa che in questo caso non è stata riscontrata.

Le Motivazioni: Oltre l’Automatismo della Recidiva

La Corte di Cassazione ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello, seppur sintetica, fosse congrua e lineare. Il giudice di merito non si è limitato a prendere atto dell’esistenza di precedenti penali specifici, ma ha compiuto un passo ulteriore. Ha esaminato, sulla scorta dei criteri indicati dall’articolo 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo), il legame tra il nuovo reato e le condanne precedenti.

Questo esame ha portato il giudice a concludere che la pregressa condotta criminosa fosse indicativa di una “perdurante inclinazione al delitto”. In altre parole, i reati passati non erano episodi isolati, ma manifestazioni di una tendenza a delinquere che ha agito come “fattore criminogeno” per la commissione del nuovo reato. Questa valutazione, basata su un’analisi concreta e non su un automatismo, è stata ritenuta immune da censure dalla Suprema Corte, che ha richiamato consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza conferma un principio cruciale: la recidiva non è un’etichetta da apporre automaticamente a chi ha precedenti. È una circostanza che richiede un’attenta ponderazione da parte del giudice, il quale deve motivare in modo specifico le ragioni per cui ritiene che i precedenti penali abbiano effettivamente influenzato la commissione del nuovo reato, dimostrando una maggiore pericolosità sociale del condannato. Per la difesa, ciò significa che contestare l’applicazione della recidiva richiede non solo di evidenziare l’assenza di presupposti, ma di dimostrare l’illogicità manifesta del ragionamento del giudice di merito, un compito arduo in sede di Cassazione.

L’esistenza di precedenti penali comporta automaticamente un aumento di pena per recidiva?
No, la Corte chiarisce che il giudice non può limitarsi a constatare l’esistenza di precedenti specifici, ma deve esaminare in concreto se questi indichino una perdurante inclinazione al delitto che ha agito come fattore criminogeno per il nuovo reato.

Quali criteri deve usare il giudice per valutare se applicare l’aumento di pena per recidiva?
Il giudice deve basarsi sui criteri dell’art. 133 del codice penale, analizzando il rapporto tra il fatto per cui si procede e le condanne precedenti per verificare la pericolosità sociale del reo e la sua inclinazione a delinquere.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione del giudice sulla recidiva basandosi su una diversa interpretazione dei fatti?
No, il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché la valutazione sulla sussistenza dei presupposti applicativi della recidiva è una questione di merito, non sindacabile in sede di legittimità se la motivazione del giudice è logica e non contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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