Recidiva Reiterata: la Cassazione Chiarisce i Presupposti e i Limiti del Giudice d’Appello
Comprendere i meccanismi della recidiva nel diritto penale è fondamentale per capire come viene determinata la pena. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per fare chiarezza su due aspetti cruciali: i presupposti per l’applicazione della recidiva reiterata e i poteri del giudice d’appello nella valutazione del casellario giudiziario, senza violare il divieto di reformatio in peius.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo condannato in appello per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e violazione della legge sugli stupefacenti. L’imputato contestava la decisione della Corte d’Appello di confermare la sua condanna, sollevando in particolare una questione relativa al riconoscimento della recidiva. A suo avviso, i giudici di secondo grado avevano errato nella valutazione dei suoi precedenti penali, violando specifici principi di legge.
La Valutazione della Recidiva in Appello e il Divieto di Reformatio in Peius
Uno dei punti centrali dell’ordinanza riguarda il cosiddetto divieto di reformatio in peius. Questo principio, fondamentale nel nostro ordinamento, impedisce al giudice dell’impugnazione di peggiorare la situazione dell’imputato quando è stato solo quest’ultimo a presentare appello.
La difesa sosteneva che la Corte d’Appello, fornendo una lettura del casellario giudiziario diversa e più sfavorevole rispetto a quella del giudice di primo grado, avesse violato tale divieto. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo un punto essenziale: il divieto di reformatio in peius si applica all’applicazione della pena, non ai criteri di valutazione delle prove o degli atti processuali. Pertanto, un giudice d’appello è libero di interpretare diversamente le risultanze del casellario, purché ciò non si traduca in un illegittimo inasprimento della sanzione.
I Requisiti per la Configurazione della Recidiva
La Corte ha poi ribadito il principio cardine per la configurabilità della recidiva reiterata. Affinché si possa contestare questa aggravante, è indispensabile che il nuovo reato sia stato commesso dopo che le precedenti condanne siano divenute irrevocabili.
La logica di questa regola è chiara: l’autore del nuovo crimine deve trovarsi nella condizione di conoscere pienamente le conseguenze penali delle sue azioni, incluse quelle derivanti dal suo ‘status’ di recidivo. Solo la definitività della condanna precedente crea questo presupposto di consapevolezza.
Nel caso specifico, la Cassazione ha verificato che la Corte d’Appello aveva correttamente fondato la recidiva su condanne divenute irrevocabili prima del fatto contestato (avvenuto nel febbraio 2021).
L’Utilizzo di Precedenti Successivi per la Valutazione della Pericolosità Sociale
Un altro aspetto interessante riguarda il riferimento, fatto dai giudici di merito, a ulteriori precedenti penali relativi a fatti successivi a quello in giudizio. La Corte ha ritenuto tale operazione legittima, ma per un fine diverso da quello di fondare la recidiva.
Questi precedenti successivi sono stati utilizzati per convalidare e attualizzare il giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato. In altre parole, hanno dimostrato che la condotta illecita non era un episodio isolato, ma parte di una tendenza a delinquere, rafforzando così la valutazione sulla sua personalità.
Le Motivazioni della Decisione
Sulla base di queste considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno stabilito che la sentenza d’appello non presentava alcuna violazione di legge. La Corte territoriale ha correttamente applicato i principi sulla recidiva, basandola su condanne irrevocabili e precedenti al reato in esame. Allo stesso tempo, ha legittimamente utilizzato i precedenti successivi per valutare la pericolosità sociale, senza confondere i piani di analisi.
Conclusioni
L’ordinanza offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida l’interpretazione secondo cui il divieto di reformatio in peius non ingessa la facoltà del giudice d’appello di valutare autonomamente gli atti, come il casellario giudiziario. In secondo luogo, ribadisce con forza il requisito temporale per la recidiva: il nuovo reato deve seguire la condanna irrevocabile, non precederla. Infine, legittima l’uso di condotte successive al fatto per delineare un profilo di pericolosità sociale attuale, un elemento cruciale nella commisurazione della pena.
Un giudice d’appello può interpretare il casellario giudiziario in modo diverso dal giudice di primo grado senza violare il divieto di ‘reformatio in peius’?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il divieto di ‘reformatio in peius’ riguarda l’applicazione della pena e non si estende ai criteri di valutazione delle prove o degli atti del processo, come il certificato del casellario giudiziario.
Qual è il requisito fondamentale perché si possa configurare la recidiva reiterata?
È necessario che il nuovo reato sia stato commesso dopo che le condanne precedenti sono diventate irrevocabili. Questo perché l’autore del crimine deve essere nella condizione di conoscere tutte le conseguenze penali derivanti dal suo status di recidivo.
È legittimo utilizzare precedenti penali per fatti successivi a quello per cui si sta procedendo?
Sì, ma non per fondare la recidiva. La Corte ha stabilito che è legittimo fare riferimento a tali precedenti per un fine diverso, come quello di convalidare e attualizzare il giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6171 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6171 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CANOSA DI PUGLIA il 24/08/1982
avverso la sentenza del 18/10/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di COGNOME Francesco;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso – con il quale si eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla conferma in appello della condanna dell’imputato per i delitti di cui agli artt. 337 cod. pen. e 73 TU Stup. – deve essere dichiarato inammissibile in quanto il motivo dedotto, relativo alla ritenuta recidiva, è manifestamente infondato. Invero, non è rinvenibile nella sentenza impugnata alcuna violazione del divieto di reformatio in peius; infatti, non incorre in tale vizio il giudice dell’impugnazione che dia una lettura delle risultanze del certificato del casellario giudiziario diversa da quella operata dal giudice di primo grado, riferendosi tale divieto all’applicazione della pena e non ai criteri di valutazione delle prove o, comunque, del materiale raccolto o degli atti del processo (Sez. 4, n. 22217 del 16/04/2019, Cela, Rv. 276267 – 01). Neppure risulta contraddetto il principio in base al quale ai fini della configurabilità della recidiva reiterata, necessario che il nuovo reato sia commesso dopo che le precedenti condanne siano divenute irrevocabili, in quanto l’autore del nuovo crimine deve essere in condizione di conoscere tutte le conseguenze penali che ne derivano e, quindi, anche quelle derivanti dal proprio “status” di recidivo reiterato (Sez. 3, n. 10219 del 15/01/2021, Rossi, Rv. 281381 – 01). Infatti, dalla sentenza di appello risulta che la recidiva si fonda su condanne irrevocabili precedenti al fatto contestato nel presente giudizio, commesso nel febbraio del 2021, mentre il riferimento agli ulteriori precedenti penali – relativi a fatti successivi a tale data – è st legittimamente operato al diverso fine di convalidare e attualizzare il giudizio di pericolosità sociale dell’imputato (“il richiamo a tali pronunce attesta che la condotta al vaglio non è stata espressione di una ricaduta occasionale”: pag. 4). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma giudicata congrua – di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/01/2025