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Recidiva: la Cassazione annulla la condanna

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza di condanna per uso indebito di carta di pagamento. Sebbene la colpevolezza sia stata confermata, i giudici hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso relativo alla recidiva, poiché la corte d’appello l’aveva motivata basandosi unicamente sui precedenti penali dell’imputato, senza una valutazione concreta della sua effettiva e maggiore pericolosità sociale, come richiesto dalla giurisprudenza consolidata.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva: la Cassazione annulla la condanna per motivazione insufficiente

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del diritto penale: l’applicazione della recidiva non è automatica. Non è sufficiente la semplice esistenza di precedenti penali a carico dell’imputato per giustificare un aumento di pena; il giudice ha il dovere di motivare in concreto perché il nuovo reato sia sintomo di una maggiore pericolosità sociale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso: dall’uso illecito di una carta di pagamento al ricorso in Cassazione

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di indebito utilizzo di una carta di pagamento, ai sensi dell’art. 493 ter del codice penale. Dopo la condanna in primo grado, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza, riducendo l’entità della pena ma confermando la responsabilità dell’imputato e l’applicazione dell’aggravante della recidiva.

La difesa ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali:
1. Una violazione procedurale relativa al termine a comparire nel giudizio d’appello.
2. Un vizio di motivazione sulla ritenuta responsabilità penale.
3. Un vizio specifico sulla motivazione con cui era stata applicata la recidiva, ritenuta basata unicamente sulla “biografia penale” dell’imputato.

La Decisione della Corte: la recidiva al centro del giudizio

La Suprema Corte ha rigettato i primi due motivi di ricorso. Ha chiarito che il termine a comparire di 40 giorni, introdotto dalla Riforma Cartabia, si applica solo ai ricorsi proposti dopo il 1° luglio 2024, rendendo quindi legittimo il precedente termine di 20 giorni applicato nel caso di specie. Ha inoltre dichiarato inammissibile il secondo motivo, poiché in presenza di una “doppia conforme” (due sentenze di condanna nei gradi di merito), non è possibile contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti, ma solo vizi di legittimità.

Il cuore della decisione, tuttavia, risiede nell’accoglimento del terzo motivo, quello relativo alla motivazione sulla recidiva.

La corretta valutazione della recidiva

I giudici di legittimità hanno accolto la tesi difensiva, sottolineando come sia la corte di primo grado sia quella d’appello avessero giustificato l’aumento di pena facendo esclusivo riferimento ai precedenti dell’imputato. Questo approccio è stato censurato perché viola un principio consolidato, espresso dalle Sezioni Unite della stessa Corte: la reiterazione di un reato non è di per sé sufficiente. Il giudice deve compiere una valutazione approfondita e verificare se il nuovo illecito sia un sintomo effettivo di riprovevolezza e pericolosità dell’autore.

le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sull’orientamento giurisprudenziale secondo cui la recidiva non può essere un automatismo legato al casellario giudiziale. Il giudice di merito ha l’obbligo di analizzare una serie di parametri per stabilire se il nuovo delitto manifesti una maggiore pericolosità sociale. Tra questi elementi rientrano: la natura dei reati, la distanza temporale tra i fatti, il grado di offensività delle condotte e ogni altro parametro che possa individualizzare la personalità del reo e il suo grado di colpevolezza. Nel caso specifico, i giudici di merito si erano limitati a menzionare la “biografia penale” dell’imputato, omettendo qualsiasi riferimento a come il nuovo reato (l’uso indebito della carta) dimostrasse un’accresciuta tendenza a delinquere. Questa carenza motivazionale costituisce un vizio di legittimità che impone l’annullamento della sentenza sul punto.

le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al punto relativo all’applicazione della recidiva. Ha rinviato il caso ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà nuovamente giudicare se applicare o meno l’aggravante, ma questa volta fornendo una motivazione completa e concreta, in linea con i principi di diritto enunciati. Il resto del ricorso è stato rigettato, confermando quindi l’accertamento della responsabilità dell’imputato per il reato contestato. La decisione sottolinea l’importanza di una giustizia che non si limiti ad applicare formule, ma che valuti la persona e il fatto nella loro specificità.

Quando si applica il nuovo termine di 40 giorni per comparire in appello?
Secondo la sentenza, la disciplina che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, introdotta dal d.lgs. 150/2022, è applicabile solo agli atti di impugnazione proposti a far data dal 1° luglio 2024. Per le impugnazioni precedenti, resta valido il termine previgente.

Perché la Cassazione ha annullato la sentenza pur confermando la responsabilità dell’imputato?
La Corte ha annullato la sentenza solo parzialmente, cioè limitatamente all’applicazione della recidiva. Ha ritenuto che la motivazione su questo specifico punto fosse illegittima, mentre ha considerato corretta e definitiva la valutazione sulla colpevolezza dell’imputato per il reato contestato. Di conseguenza, un’altra corte dovrà solo decidere se applicare l’aumento di pena per la recidiva, motivando adeguatamente.

È sufficiente avere precedenti penali per vedersi applicata la recidiva?
No. La sentenza ribadisce che non è sufficiente il mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali. Il giudice ha il compito di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia un sintomo effettivo di maggiore pericolosità sociale dell’autore, considerando la natura dei reati, il tempo trascorso, l’offensività e altri parametri significativi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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