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Recidiva infraquinquennale: quando è legittima

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per minaccia a pubblico ufficiale. Viene confermata l’applicazione della recidiva infraquinquennale, giustificata dalla maggiore pericolosità della sua condotta personale rispetto ai coimputati e dalla presenza di una precedente condanna irrevocabile avvenuta meno di cinque anni prima del nuovo reato.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Infraquinquennale: La Cassazione Chiarisce i Criteri di Applicazione

L’applicazione della recidiva infraquinquennale rappresenta un punto cruciale nel diritto penale, potendo incidere in modo significativo sull’entità della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui presupposti della sua applicazione, soprattutto quando il reato è commesso in concorso con altre persone. La Corte ha sottolineato come la valutazione debba essere personalizzata, basandosi sulla specifica condotta e pericolosità del singolo individuo.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato per il reato di minaccia a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 336 del codice penale. L’episodio, avvenuto nel dicembre 2017, vedeva l’imputato, insieme ad alcuni coimputati, proferire frasi minacciose e assumere un atteggiamento di sfida fisica nei confronti di uno degli agenti intervenuti, arrivando a mettersi ‘testa a testa’ con lui.

Contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, contestando due aspetti principali: la valutazione della prova a suo carico, a suo dire insufficiente, e l’applicazione dell’aggravante della recidiva infraquinquennale, che non era stata invece riconosciuta ai suoi complici.

La questione della Recidiva infraquinquennale e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le doglianze del ricorrente. I giudici hanno chiarito che i motivi del ricorso erano meramente riproduttivi di censure già esaminate e risolte correttamente nei precedenti gradi di giudizio. Tentare di ottenere una nuova valutazione dei fatti non è consentito in sede di legittimità, dove il compito della Corte è solo quello di verificare la corretta applicazione della legge.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha fornito una chiara motivazione a sostegno della sua decisione. In primo luogo, ha ritenuto che la prova della condotta minatoria fosse stata adeguatamente desunta dall’annotazione di polizia giudiziaria, che descriveva in modo chiaro l’atteggiamento aggressivo e provocatorio dell’imputato.

Sul punto più controverso, quello relativo alla recidiva infraquinquennale, i giudici hanno qualificato come ‘manifestamente infondate’ le obiezioni del ricorrente. La Corte ha spiegato che la differente valutazione rispetto ai coimputati era pienamente giustificata. La decisione di applicare l’aggravante si basava sulla ‘concreta modalità della condotta personalmente attribuita al ricorrente’. Questa condotta è stata apprezzata come ‘espressiva di maggiore pericolosità’. Inoltre, sussisteva il presupposto temporale: l’imputato aveva riportato una condanna con sentenza irrevocabile nel giugno 2013, meno di cinque anni prima del fatto commesso nel dicembre 2017.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce due principi fondamentali. Primo, il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Secondo, l’applicazione della recidiva non è un automatismo, ma il risultato di una valutazione discrezionale del giudice basata sulla specifica condotta del singolo imputato, anche in caso di reati commessi in concorso. La maggiore pericolosità dimostrata da un soggetto può legittimamente portare a un trattamento sanzionatorio più severo. La declaratoria di inammissibilità ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Perché i motivi presentati erano una semplice riproposizione di censure già valutate e risolte correttamente nei gradi di merito e miravano a una nuova valutazione dei fatti, attività non consentita in sede di legittimità.

Perché al ricorrente è stata applicata la recidiva infraquinquennale e ai suoi complici no?
Perché la sua condotta personale è stata ritenuta espressiva di una maggiore pericolosità rispetto a quella dei coimputati. Inoltre, a differenza loro, esisteva a suo carico il presupposto formale di una precedente condanna irrevocabile risalente a meno di cinque anni prima del nuovo reato.

Quali sono state le conseguenze economiche della declaratoria di inammissibilità per il ricorrente?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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