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Recidiva infraquinquennale: il calcolo corretto

Un soggetto condannato per spaccio di stupefacenti ha presentato ricorso in Cassazione contestando il diniego della messa alla prova e l’applicazione della recidiva infraquinquennale. La Corte ha rigettato il ricorso, chiarendo un punto fondamentale: ai fini del calcolo della recidiva infraquinquennale, il termine di cinque anni decorre dalla data in cui la precedente condanna è divenuta definitiva (passaggio in giudicato) e non dalla data di commissione del precedente reato.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Infraquinquennale: la Cassazione Chiarisce il Calcolo del Termine

La corretta applicazione della recidiva infraquinquennale è un tema di cruciale importanza nel diritto penale, potendo incidere significativamente sull’entità della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un chiarimento decisivo sul momento esatto da cui far decorrere il termine di cinque anni previsto dalla legge. Analizziamo insieme questa pronuncia per comprenderne i dettagli e le implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per il reato di cessione di una modica quantità di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, quinto comma, del d.P.R. 309/1990. La Corte d’Appello di Roma aveva confermato la condanna a sei mesi di reclusione e 1.200 euro di multa, applicando l’aggravante della recidiva specifica infraquinquennale.

L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali: il rigetto della sua richiesta di ammissione alla messa alla prova e l’errata applicazione, a suo dire, dell’aggravante della recidiva infraquinquennale.

I Motivi del Ricorso e la questione della recidiva infraquinquennale

Il ricorrente ha sollevato due distinte censure.

Sul Rigetto della Messa alla Prova

L’imputato lamentava una presunta contraddizione nella valutazione dei giudici di merito. Essi, pur negando la messa alla prova sulla base di una prognosi sfavorevole circa la futura astensione dal commettere reati, avevano applicato una misura cautelare mite (l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria). Secondo la difesa, tale misura non sarebbe coerente con un giudizio di elevata pericolosità sociale.

Sull’Applicazione della Recidiva Infraquinquennale

Questo è stato il punto centrale del ricorso. La difesa sosteneva che i giudici avessero errato nel calcolare il periodo di cinque anni. Si affermava che il precedente reato, preso a riferimento per l’aggravante, fosse stato commesso più di cinque anni prima del nuovo fatto (commesso il 18 luglio 2022). Secondo la tesi difensiva, il termine avrebbe dovuto essere calcolato a partire dalla data di commissione del precedente delitto.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente e confermando la decisione della Corte d’Appello. La sentenza offre motivazioni chiare e puntuali su entrambi i punti sollevati dalla difesa.

Le Motivazioni

La Corte ha smontato le argomentazioni del ricorrente con un ragionamento giuridicamente ineccepibile.

In primo luogo, riguardo alla messa alla prova, i giudici hanno stabilito che la valutazione della Corte d’Appello era corretta. La prognosi sfavorevole non era arbitraria, ma fondata su elementi concreti: un precedente penale specifico e la natura non occasionale della condotta di spaccio, come confermato dalle dichiarazioni dell’acquirente, cliente abituale. L’applicazione di una misura cautelare, anche se mite, non contraddice tale valutazione, ma anzi ne è una conferma, poiché indica il riconoscimento di un pericolo di reiterazione.

Il punto cruciale della sentenza, tuttavia, riguarda la recidiva infraquinquennale. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza, basato sul chiaro dettato dell’art. 99, secondo comma, n. 2, del codice penale. Ai fini del calcolo dei cinque anni, il dies a quo (cioè il giorno da cui inizia a decorrere il termine) non è la data di commissione del reato precedente, bensì la data in cui la sentenza di condanna per quel reato è passata in giudicato, diventando quindi definitiva e non più impugnabile.

Nel caso di specie, la sentenza per il reato precedente era divenuta definitiva il 7 marzo 2018. Il nuovo reato era stato commesso il 18 luglio 2022. Pertanto, essendo trascorso un periodo inferiore a cinque anni tra i due eventi, l’applicazione dell’aggravante era pienamente legittima.

Le Conclusioni

Questa pronuncia della Corte di Cassazione consolida un principio interpretativo di fondamentale importanza pratica. Si chiarisce senza ombra di dubbio che per valutare l’applicazione della recidiva infraquinquennale, l’attenzione deve essere rivolta non al momento in cui è stato commesso il fatto precedente, ma al momento in cui la relativa condanna è divenuta irrevocabile. Questa interpretazione garantisce certezza del diritto e fornisce un criterio oggettivo e non equivocabile per il calcolo di una delle circostanze aggravanti più rilevanti del nostro ordinamento penale.

Da quale momento si calcolano i cinque anni per la recidiva infraquinquennale?
Secondo la Corte di Cassazione, in linea con l’art. 99, comma 2, n. 2 del codice penale, il periodo di cinque anni si calcola a partire dalla data in cui la precedente condanna è divenuta definitiva (passaggio in giudicato), e non dalla data in cui è stato commesso il reato precedente.

Perché è stata respinta la richiesta di ammissione alla messa alla prova?
La richiesta è stata respinta perché l’imputato aveva un precedente penale specifico e la sua condotta di spaccio non era stata ritenuta occasionale. Questi elementi hanno portato i giudici a formulare una prognosi sfavorevole sulla sua futura astensione dal commettere reati, condizione necessaria per la concessione della messa alla prova.

L’applicazione di una misura cautelare mite è in contrasto con un giudizio di pericolosità sociale?
No. La Corte ha chiarito che l’applicazione di una misura cautelare, anche se non particolarmente afflittiva come l’obbligo di firma, è comunque indicativa del riconoscimento di un pericolo di reiterazione del reato e, pertanto, non è in contraddizione con una valutazione di pericolosità che esclude la messa alla prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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