Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11916 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11916 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a FORLI’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/06/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Novara del 9 dicembre 2021, con cui NOME era stato condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed euro tremilacinquecento di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 11.6, comma 15, C.d.S. (con la recidiva nel biennio).
COGNOME‘COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’affermazione di responsabilità per insussistenza della recidiva nel biennio, mancando la prova della definitività dell’accertamento del precedente illecito.
2.2. Vizio di motivazione in relazione all’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche.
3. Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di ricorso’ va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di guida senza patente, per l’integrazione della recidiva nel biennio idonea, ai sensi dell’art. 5 d. Igs. 5 gennaio 2016, n. 8, ad escludere il reato dall’area della depenalizzazione, non è sufficiente che sia intervenuta la mera contestazione dell’illecito depenalizzato, ma è necessario che questo sia stato definitivamente accertato (Sez. 4, n. 44905 del 12/10/2023, COGNOME, Rv. 285318; Sez. 6, n. 27398 del 06/04/2018, Dedominici, Rv. 273405; Sez. 4, n. 6163 del 24/10/2017, dep. 2018, Okere, 272209).
Questa Corte, peraltro, ha costantemente affermato che non è indispensabile produrre un’attestazione documentale della definitività del pregresso analogo illecito, bensì che è sufficiente, in via alternativa (ed esemplificativa), l’allegazione del verbale di contestazione, la dimostrazione dell’invio per l’iscrizione a ruolo oppure la testimonianza del personale di P.G. (o una nota di servizio del personale di P.G., se utilizzabile in giudizio), cioè un minimo di prova, accompagnato dalla mancata allegazione da parte del ricorrente di elementi quali, ad es., la deduzione di aver presentato un ricorso avverso l’irrogazione della sanzione o una richiesta di oblazione che non sia stata respinta (Sez. 7, Ord. n. 8508 del 14/02/2024, COGNOME, non nnassimata; Sez. 7, Ord. n. 4537 del 17/01/2024, COGNOME, non massimata; Sez. 7, Ord. n. 49548 del 23/11/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 7, Ord. n. 44473 del 05/10/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 40851 del 13/09/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 40843 del 13/09/2023, Cerbone, non massimata; Sez. 7, Ord. n. 35339
del 07/06/2023, NOME, non massimata; Sez. 6, n. 11348 del 22/02/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 30836 del 13/07/2022, RAGIONE_SOCIALE, non nnassimata).
Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale si allineata a tale orientamento, avendo correttamente rilevato che, alla luce dell’epoca remota del precedente verbale di accertamento e della mancata allegazione di dati contrari da parte dell’interessato, la recidiva era stata ritualmente contestata. Tale carenza, peraltro, è chiaramente indicativa della genericità del ricorso, non avendo la difesa apportato elementi utili a smentire il dato della definitività dell’accertamento.
4. In ordine al secondo motivo di ricorso, va osservato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purc:hé non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, NOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello, con motivazione lineare e coerente, non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce dei molteplici precedenti penali per reati di elevata gravità (rapina, estorsione, furti), indicativi di un percorso di vita sistematicamente contrassegnato dalla commissione di illeciti.
Il ricorrente non si confronta con tale percorso argomentativo, limitandosi ad evidenziare l’epoca remota dei precedenti penali, senza però adeguatamente documentarli, in violazione del principio di autosufficienza; in ogni caso, nella sentenza
impugnata tale rilievo è stato ritenuto implicitamente inidoneo a smentire il giudizio negativo sulla personalità del reo.
Per tali ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende (art. 616 cod. proc. pen.).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 marzo 2024.