Recidiva Furto Aggravato: Quando i Precedenti Contano
La recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 46158/2024 offre un’importante lezione sulla valutazione della recidiva furto aggravato e sui limiti dell’impugnazione di una sentenza di condanna. Il caso, relativo a un tentativo di furto con destrezza, evidenzia come i giudici di merito e di legittimità considerino i precedenti penali e le modalità della condotta nel determinare la giusta pena. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.
I Fatti del Caso: Il Tentativo di Furto con Destrezza
La vicenda giudiziaria ha origine da un tentativo di furto aggravato commesso ai danni di una passante in un luogo affollato. L’imputata, approfittando della situazione, aveva tentato di sottrarre il portafogli alla vittima con particolare abilità manuale, configurando così l’aggravante della destrezza prevista dall’art. 625 n. 4 del codice penale.
Nonostante il gesto fosse stato notato e il portafogli immediatamente recuperato dalla persona offesa, senza quindi un danno patrimoniale effettivo, l’imputata veniva condannata sia in primo grado che in appello. La Corte d’Appello, pur rideterminando parzialmente la pena, ne confermava la congruità, tenendo conto sia della condotta che dei precedenti dell’imputata.
Il Motivo del Ricorso e la Recidiva Furto Aggravato
L’imputata, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando due aspetti principali della decisione d’appello:
1. L’entità della pena base: Ritenuta eccessiva perché superiore al minimo edittale.
2. Il riconoscimento della recidiva qualificata: Contestata come ingiustificata.
La difesa sosteneva, in sostanza, che la condotta fosse stata rudimentale e l’assenza di un danno effettivo avrebbe dovuto portare a una pena più mite e a non considerare la recidiva. Tuttavia, i giudici d’appello avevano già fornito una risposta a queste censure, ritenuta dalla Cassazione del tutto adeguata.
La Decisione della Corte di Cassazione: Ricorso Inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. La decisione si fonda sulla constatazione che le motivazioni della Corte d’Appello erano complete, logiche e prive di contraddizioni.
Le Motivazioni della Suprema Corte
I giudici di legittimità hanno osservato che la Corte d’Appello aveva correttamente giustificato ogni suo passaggio decisionale. Per quanto riguarda la pena base, è stato ritenuto congruo il calcolo effettuato, poiché teneva conto delle modalità della condotta (la destrezza), un fattore che denota una maggiore capacità a delinquere, indipendentemente dal recupero della refurtiva.
Il punto cruciale, però, riguarda la recidiva furto aggravato. La Cassazione ha condiviso pienamente la valutazione dei giudici di merito, i quali avevano giustificato la recidiva non in modo automatico, ma sulla base dei numerosi precedenti specifici dell’imputata. Secondo la Corte, il fatto di aver commesso il reato in un luogo affollato e in presenza del titolare di una bancarella dimostrava una spiccata pericolosità sociale e una totale insensibilità ai precedenti moniti della giustizia. Questa è la classica situazione in cui la recidiva non è un mero dato anagrafico, ma un indicatore concreto di una persistente tendenza a delinquere.
La Corte ha inoltre sottolineato come la difesa non avesse mosso critiche specifiche e pertinenti alla logicità della motivazione d’appello, limitandosi a riproporre le stesse lamentele già respinte, rendendo così il ricorso privo dei requisiti necessari per essere esaminato nel merito.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: un ricorso per cassazione non può essere una semplice riproposizione delle argomentazioni già esaminate e respinte nei gradi di merito. Per avere successo, l’impugnazione deve individuare vizi logici o giuridici manifesti nella sentenza impugnata.
Inoltre, la decisione conferma che la valutazione sulla recidiva è un giudizio complesso, che deve tenere conto non solo del numero dei precedenti, ma anche della loro natura e del contesto del nuovo reato. Quando questi elementi indicano una persistenza nel crimine e una pericolosità sociale, il riconoscimento della recidiva e una pena adeguata sono pienamente giustificati, anche in casi di reato solo tentato e senza danno patrimoniale per la vittima.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa non hanno mosso critiche specifiche e logiche alla motivazione della sentenza d’appello, che è stata invece ritenuta congrua, non contraddittoria e non manifestamente illogica dalla Corte di Cassazione.
Come è stata giustificata la recidiva in questo caso?
La recidiva è stata giustificata sulla base dei numerosi precedenti penali specifici dell’imputata. Secondo i giudici, questi precedenti, uniti alle modalità del nuovo reato, dimostravano una maggiore pericolosità sociale e un’insensibilità al monito dissuasivo delle precedenti condanne.
Il fatto che la vittima abbia recuperato il portafogli ha inciso sulla valutazione della pena?
No, non in modo decisivo. Sebbene l’assenza di un danno sia stata considerata, i giudici hanno ritenuto la pena congrua in ragione delle modalità della condotta, in particolare l’uso della destrezza, che costituisce un’aggravante e rivela una specifica abilità nel commettere il reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46158 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46158 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a SAN GIOVANNI IN PERSICETO il 03/01/1970
avverso la sentenza del 16/02/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME
OSSERVA
Rilevato che il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, in epigrafe indicata, con la quale è stata rideterminata la pena di cui alla sentenza di condanna del Tribunale cittadino per un tentativo di furto aggravato ai sensi dell’art. 625 n. 4, cod. pen., commesso ai danni di NOME COGNOME (in Imola il 18/8/2018), con conferma nel resto;
rilevato che la ricorrente ha dedotto un motivo unico, con il quale ha censurato il discostamento della pena base dal minimo e il riconoscimento della recidiva qualificata, punti entrambi esaminati dai giudici d’appello che vi hanno dato congrua risposta, quanto al primo, avendo ridotto la pena individuata dal primo giudice mediante una maggiore diminuzione per il tentativo, ritenendo detta misura congrua in ragione delle modalità della condotta, connotata da destrezza, tuttavia rudimentale e dall’assenza di un danno per la persona offesa che aveva recuperato il portafogli, giustificando la ritenuta recidiva, invece, alla stregua dei numerosi precedenti specifici, in relazione ai quali hanno ritenuto che il fatto, commesso in luogo affollato, davanti al titolare della bancarella, aveva espresso quella maggiore pericolosità sociale e una insensibilità al monito dissuasivo delle condanne e delle espiazioni pena subite, motivazione congrua, non contraddittoria e neppure manifestamente illogica, con la quale la difesa ha omesso il necessario confronto (sui requisiti dell’atto di impugnazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione);
che alla inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero quanto alla inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 7 novembre 2024