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Recidiva facoltativa: quando va motivata dal giudice?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1381/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro l’applicazione della recidiva facoltativa. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, ritenendo la motivazione adeguata e immune da vizi logici. La decisione si basava sulla lunga e ininterrotta serie di precedenti penali specifici dell’imputato, commessi fin dal 1993. L’ordinanza ribadisce il principio fondamentale secondo cui il giudice ha sempre uno specifico dovere di motivazione in tema di recidiva facoltativa, sia quando la applica sia quando la esclude.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Facoltativa: L’Obbligo di Motivazione del Giudice

L’applicazione della recidiva facoltativa rappresenta un punto cruciale nel diritto penale, poiché affida al giudice un potere discrezionale che incide direttamente sulla determinazione della pena. Con la recente ordinanza n. 1381/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su questo tema, ribadendo un principio fondamentale: l’obbligo per il giudice di fornire una motivazione specifica e puntuale, sia quando decide di applicare l’aumento di pena, sia quando sceglie di escluderlo. Analizziamo il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

Il Contesto del Ricorso: Una Lunga Serie di Precedenti Penali

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte d’Appello di Roma. Quest’ultima, decidendo su un rinvio della stessa Corte di Cassazione, aveva confermato la sussistenza di una recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale.

L’imputato, nel suo unico motivo di ricorso, contestava la correttezza della motivazione con cui i giudici di merito avevano affermato l’esistenza della recidiva. Sostanzialmente, lamentava che la decisione non fosse adeguatamente giustificata.

La Decisione della Cassazione sulla recidiva facoltativa

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile e manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, il ricorrente non si era confrontato adeguatamente né con il contenuto della sentenza impugnata né con la consolidata giurisprudenza in materia. La decisione della Corte d’Appello è stata giudicata immune da vizi logici e, pertanto, non censurabile in sede di legittimità.

La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione tipica per i ricorsi ritenuti inammissibili.

Le Motivazioni: Perché il Ricorso è Inammissibile

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’analisi della motivazione fornita dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano correttamente valorizzato la presenza di numerosissimi precedenti penali, anche specifici, commessi dall’imputato senza soluzione di continuità a partire dal 1993. Questo comportamento criminale persistente, proseguito anche dopo l’applicazione di misure di prevenzione e l’esecuzione di diversi periodi di detenzione, è stato considerato un elemento decisivo per giustificare l’applicazione della recidiva.

La Cassazione ha inoltre richiamato un suo precedente a Sezioni Unite (sentenza n. 5859 del 2011), che ha stabilito un principio cardine in tema di recidiva facoltativa: al giudice è richiesto uno specifico dovere di motivazione sia quando ritiene rilevante la recidiva, sia quando la esclude. La sentenza impugnata, secondo la Corte, aveva fatto buon governo di questo principio, fornendo una giustificazione chiara e logica della sua scelta.

In sostanza, la Corte ha affermato che una storia criminale lunga e ininterrotta è un fattore più che sufficiente a motivare l’applicazione dell’aumento di pena per recidiva, dimostrando una spiccata tendenza a delinquere che la pena precedente non è riuscita a scalfire.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza pratica. La discrezionalità del giudice nell’applicazione della recidiva facoltativa non è mai assoluta, ma deve essere sempre ancorata a una motivazione concreta e verificabile. Questo principio tutela sia l’imputato, che ha diritto a conoscere le ragioni di un aggravamento della pena, sia la coerenza del sistema giuridico.

Per gli operatori del diritto, questa pronuncia ribadisce che la contestazione della recidiva in Cassazione deve basarsi su vizi logici manifesti della motivazione e non su una mera rilettura dei fatti. Per l’imputato, essa sottolinea come una lunga e persistente carriera criminale costituisca la base più solida per l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più severo.

Quando un giudice deve motivare l’applicazione della recidiva facoltativa?
Secondo la Corte di Cassazione, il giudice ha sempre uno specifico dovere di motivazione in tema di recidiva facoltativa, sia nel caso in cui decida di applicarla, aggravando la pena, sia nel caso in cui decida di escluderne la rilevanza.

Una lunga serie di precedenti penali è sufficiente per giustificare la recidiva?
Sì, la sentenza conferma che una storia criminale caratterizzata da numerosissimi precedenti, specifici e commessi senza soluzione di continuità, anche dopo aver scontato pene detentive, costituisce una valida e solida motivazione per affermare l’esistenza e la rilevanza della recidiva.

Cosa succede se un ricorso contro l’applicazione della recidiva viene giudicato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, come nel caso di specie, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questa ordinanza è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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