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Recidiva facoltativa: la motivazione del giudice

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso, confermando che per la recidiva facoltativa è sufficiente una motivazione sintetica, purché dimostri il legame qualificato tra i reati passati e quello attuale, evidenziando una persistente e accresciuta pericolosità del soggetto.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva Facoltativa: Quando la Motivazione del Giudice è Valida?

La valutazione della recidiva facoltativa rappresenta un momento cruciale nel processo penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce sui criteri che il giudice deve seguire per motivare la sua decisione, confermando un orientamento ormai consolidato. Il caso analizzato offre spunti importanti per comprendere come la pericolosità di un individuo non sia un concetto astratto, ma debba essere ancorata a elementi concreti che collegano il nuovo reato ai precedenti.

Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso

Un imputato, già condannato in primo grado e in appello a quattro anni di reclusione e 18.000 euro di multa, ha presentato ricorso in Cassazione. L’unica doglianza riguardava la violazione di legge in relazione al riconoscimento della recidiva. La Corte d’Appello aveva confermato la decisione del Tribunale, valorizzando due gravi precedenti penali risalenti al 2010 e 2013. Secondo i giudici di merito, il nuovo reato non era un episodio isolato, ma una “significativa manifestazione della specifica attitudine criminosa dell’imputato”, sintomo di una pericolosità non scalfita dalle precedenti esperienze giudiziarie.

La Questione sulla Motivazione della Recidiva Facoltativa

Il fulcro della questione legale è: quale livello di dettaglio è richiesto al giudice quando motiva il riconoscimento della recidiva facoltativa? Deve fornire un’analisi approfondita e complessa o può bastare un’argomentazione più sintetica? Il ricorrente lamentava, appunto, un difetto di motivazione da parte della corte territoriale. La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti essenziali sui principi che governano la materia.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha stabilito che la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi della giurisprudenza di legittimità. Richiamando una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 20798/2011), i giudici hanno ribadito che il giudizio sulla recidiva non riguarda uno ‘status’ personale del reo o una sua ‘astratta pericolosità’.

Il Collegamento Qualificato tra Reati

Il giudizio deve basarsi sulla valutazione di una relazione qualificata tra i precedenti e il nuovo illecito. Questo significa che il nuovo reato deve essere “concretamente significativo” in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti. Il giudice deve valutare, sulla base dei parametri dell’art. 133 del codice penale, se il nuovo fatto manifesti una più accentuata colpevolezza e una maggiore pericolosità sociale, ovvero una maggiore capacità di commettere ulteriori reati.

Una Motivazione anche Succinta o Implicita

Un aspetto fondamentale sottolineato dalla Corte è che questo dovere di motivazione può ritenersi adempiuto anche con un’argomentazione succinta. Non è sempre necessario un elaborato analitico. È sufficiente che il giudice dia conto del fatto che la nuova condotta rappresenta una “significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato”. La motivazione può essere anche implicita, ad esempio quando la sentenza descrive la particolare riprovevolezza della condotta o la negativa personalità dell’imputato, desumendone una specifica pericolosità sociale.
Nel caso di specie, il richiamo ai due gravi precedenti specifici è stato ritenuto sufficiente a fondare il giudizio di maggiore pericolosità, rendendo la motivazione adeguata.

Le Conclusioni della Corte e le Implicazioni Pratiche

La Corte ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questa pronuncia consolida un principio di pragmatismo giuridico: ciò che conta non è la lunghezza della motivazione, ma la sua sostanza. Per i giudici di merito, è essenziale non limitarsi a un generico riferimento ai precedenti, ma evidenziare, seppur brevemente, gli elementi che dimostrano una progressione criminale e una maggiore attitudine a delinquere. Per la difesa, diventa cruciale argomentare non solo l’assenza di precedenti, ma anche l’eventuale mancanza di un nesso qualificato tra i vari episodi criminali, per scongiurare l’applicazione della recidiva facoltativa.

Per giustificare la recidiva facoltativa, è necessaria una motivazione complessa e dettagliata?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che la motivazione può essere anche succinta o implicita, a condizione che emerga chiaramente che la nuova condotta è la prosecuzione di un percorso delinquenziale e che si dia conto della pericolosità del reo.

Su cosa si basa il giudizio sulla recidiva?
Il giudizio si fonda sulla valutazione di una relazione qualificata e concretamente significativa tra i precedenti penali e il nuovo reato commesso. Si valuta se il nuovo fatto dimostri una maggiore colpevolezza e una più accentuata pericolosità sociale del soggetto, tenendo conto dei parametri dell’art. 133 del codice penale.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna della parte che ha proposto il ricorso al pagamento delle spese processuali e, come nel caso di specie, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, a meno che non si provi di aver agito senza colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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