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Recidiva facoltativa: la motivazione del giudice

Un imprenditore, condannato per bancarotta documentale, ricorre in Cassazione contestando l’applicazione della recidiva facoltativa per carenza di motivazione. La Corte Suprema rigetta il ricorso, ritenendo valida la motivazione dei giudici di merito basata sulla gravità dei fatti, i numerosi precedenti specifici e la propensione dell’imputato a gestire società decotte. La sentenza sottolinea che per la recidiva facoltativa è sufficiente una motivazione, anche sintetica, che evidenzi la continuità nel percorso criminale del reo.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva facoltativa: Quando la Motivazione del Giudice è Sufficiente

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, torna a pronunciarsi sui criteri di applicazione della recidiva facoltativa, chiarendo i contorni dell’obbligo di motivazione a carico del giudice. La decisione sottolinea come, per giustificare un aumento di pena, sia fondamentale valutare la maggiore riprovevolezza del reo che, nonostante precedenti condanne, persevera nella condotta criminale. Approfondiamo la vicenda e i principi di diritto affermati.

La vicenda processuale: un ricorso contro l’aggravante

Il caso trae origine dalla condanna di un amministratore unico di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita dal Tribunale. Inizialmente accusato di bancarotta fraudolenta documentale, il reato veniva poi derubricato in appello. La Corte d’appello, pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado, confermava la responsabilità dell’imputato e applicava l’aumento di pena per la recidiva.

L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, affidando la sua difesa a un unico motivo: la presunta omessa o insufficiente motivazione riguardo alla sussistenza della recidiva. Secondo la difesa, i giudici d’appello avrebbero basato la loro decisione su elementi neutri, come il ruolo svolto nell’impresa, l’entità del passivo e la mancata collaborazione con la curatela fallimentare, senza spiegare perché questi elementi dimostrassero una maggiore pericolosità sociale.

L’analisi della Corte sulla recidiva facoltativa

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, ritenendo la doglianza dell’imputato generica e non in grado di cogliere il nucleo della motivazione della sentenza impugnata. I giudici di legittimità hanno evidenziato come la Corte d’appello avesse, in realtà, fornito un corredo giustificativo completo e ponderato.

La decisione non si era limitata agli aspetti criticati dal ricorrente, ma aveva messo in luce una serie di fattori cruciali. Tra questi, la “disinvolta propensione” dell’imputato ad assumere ruoli di amministratore, la “gravità del fatto”, l’esistenza di “numerose condanne anche per delitti specifici” e un “preoccupante profilo di professionalità” nell’accettare, dietro compenso, la gestione di “società decotte”.

Le motivazioni della decisione

La Cassazione ha ribadito i principi consolidati della sua giurisprudenza in materia di recidiva facoltativa. L’applicazione di tale aggravante non è automatica, ma richiede uno specifico dovere di motivazione da parte del giudice. Questa motivazione deve dare conto della maggiore riprovevolezza della condotta del reo, il quale non si è lasciato distogliere dalla risoluzione criminosa nemmeno a seguito delle precedenti condanne.

Il giudice deve quindi esplicitare il nesso di “continuità” tra i precedenti penali e l’ultimo reato commesso. Tuttavia, questo dovere motivazionale può essere adempiuto anche con un’argomentazione succinta, purché emerga chiaramente che la nuova condotta rappresenta una “significativa prosecuzione di un già avviato processo delinquenziale”.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione dei giudici di merito fosse pienamente adeguata. La valutazione complessiva della personalità dell’imputato, desunta dai suoi precedenti specifici e dalla sua abituale condotta nel mondo imprenditoriale, giustificava ampiamente la conclusione che il nuovo reato fosse espressione di una persistente e radicata tendenza a delinquere, rendendo così corretta l’applicazione della recidiva.

Conclusioni

La sentenza in esame offre un’importante lezione pratica: l’obbligo di motivazione per la recidiva facoltativa è adempiuto quando il giudice non si limita a un mero elenco dei precedenti, ma li inserisce in una valutazione complessiva della condotta e della personalità del reo. Non è necessaria una motivazione prolissa, ma è indispensabile che dal provvedimento emergano le ragioni fattuali che dimostrano una maggiore pericolosità sociale e una continuità nel percorso illecito. Un ricorso che critica genericamente tale valutazione, senza confrontarsi con gli specifici elementi valorizzati dal giudice, è destinato all’inammissibilità.

Quando è sufficiente la motivazione del giudice per applicare la recidiva facoltativa?
La motivazione è considerata sufficiente quando, anche se espressa in modo sintetico, spiega in modo chiaro che il nuovo reato costituisce la prosecuzione significativa di un percorso delinquenziale già avviato, evidenziando la maggiore riprovevolezza della condotta del reo.

Quali elementi ha considerato la Corte per giustificare la recidiva in questo caso?
La Corte ha valorizzato un insieme di elementi: la gravità del fatto, la presenza di numerose condanne precedenti per reati specifici, la propensione dell’imputato ad assumere ruoli di amministratore in società in difficoltà e un profilo di professionalità nel gestire ‘società decotte’, indicativi di una continuità criminale.

Perché il ricorso dell’imputato è stato ritenuto infondato?
Il ricorso è stato giudicato infondato perché considerato generico. La difesa non si è confrontata compiutamente con il tessuto argomentativo della sentenza d’appello, che aveva fornito una giustificazione complessiva e ponderata per l’applicazione della recidiva, basata non su elementi neutri, ma su specifici indicatori di pericolosità sociale e di continuità nel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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