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Recidiva e tenuità del fatto: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per tentato furto aggravato. La decisione si concentra sul rapporto tra recidiva e tenuità del fatto, stabilendo che i precedenti penali, indicativi di un comportamento criminale abituale e di una perdurante inclinazione al delitto, impediscono il riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva e Tenuità del Fatto: Quando i Precedenti Contano

L’interazione tra i precedenti penali di un imputato e la possibilità di beneficiare di cause di non punibilità è un tema centrale nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul delicato equilibrio tra recidiva e tenuità del fatto, sottolineando come un passato criminale possa precludere l’applicazione dell’articolo 131-bis del codice penale. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dalla condanna di una persona per il reato di concorso in tentato furto, aggravato dall’aver commesso il fatto con violenza sulle cose. La Corte di Appello, pur escludendo un’altra aggravante e rideterminando la pena, aveva confermato la responsabilità penale dell’imputata. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione.

Il Motivo del Ricorso: il nesso tra Recidiva e Tenuità del Fatto

L’unico motivo di ricorso si concentrava su due punti strettamente connessi. In primo luogo, si contestava la mancata disapplicazione della circostanza aggravante della recidiva. In secondo luogo, e come diretta conseguenza, si lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p.

Secondo la tesi difensiva, un’errata valutazione della recidiva avrebbe ingiustamente impedito all’imputata di accedere a un beneficio che avrebbe potuto estinguere il reato. La questione posta alla Suprema Corte era, quindi, se i precedenti penali fossero stati correttamente valutati e se ostacolassero inevitabilmente l’applicazione del principio di tenuità del fatto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, rigettandolo e fornendo una motivazione chiara e lineare. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione impugnata, soffermandosi su entrambi gli aspetti sollevati dalla difesa.

Per quanto riguarda la recidiva, la Corte ha evidenziato come la motivazione dei giudici di merito fosse adeguata. Essi avevano correttamente individuato un legame significativo tra il reato in esame e le precedenti condanne, ritenendo che le pregresse condotte criminose fossero indicative di una “perdurante inclinazione al delitto”. In altre parole, il nuovo reato non era un episodio isolato, ma l’espressione di una “accresciuta pericolosità sociale” dell’imputata, che giustificava pienamente il mantenimento dell’aggravante.

L’ostacolo dei Precedenti alla Tenuità del Fatto

Passando all’applicazione dell’art. 131-bis c.p., la Cassazione ha spiegato perché tale beneficio non potesse essere concesso nel caso di specie. La norma richiede, come presupposto indispensabile, la “non abitualità del comportamento”. La presenza di precedenti penali a carico dell’imputata escludeva in radice questo requisito. Il comportamento, lungi dall’essere occasionale, si inseriva in un quadro di abitualità criminale, rendendo inapplicabile la causa di non punibilità. La decisione ha quindi ribadito un principio consolidato: l’art. 131-bis non è uno strumento per premiare chi delinque abitualmente, anche se il singolo episodio può apparire di modesta entità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio di diritto: la valutazione della recidiva e tenuità del fatto non può prescindere da un’analisi complessiva della storia criminale del soggetto. La recidiva non è un automatismo, ma deve essere valutata nel concreto per verificare se esprima una reale e attuale pericolosità sociale. Tuttavia, quando questa valutazione è positiva e dimostra un’inclinazione al crimine, essa diventa un ostacolo insormontabile per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. La decisione sottolinea che la non punibilità è un beneficio riservato a condotte veramente sporadiche e non a chi, con il proprio comportamento, dimostra una persistente attitudine a violare la legge penale. Di conseguenza, l’appello è stato dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.

Un casellario giudiziale con precedenti penali impedisce sempre di ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Sì, secondo questa ordinanza, quando i precedenti penali sono tali da configurare un comportamento criminale abituale, impediscono l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., che richiede come requisito indispensabile la non abitualità della condotta.

Come viene valutata la circostanza aggravante della recidiva?
La recidiva viene valutata analizzando il rapporto tra il nuovo reato e le condanne precedenti. Il giudice deve verificare se le condotte passate indicano una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che ha influenzato la commissione del nuovo reato, dimostrando un’aumentata pericolosità sociale dell’imputato.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che la Corte non esamina il merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e irrevocabile, e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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