Recidiva e Spaccio: Quando i Precedenti Giustificano una Pena Superiore al Minimo
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44071/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: la valutazione della recidiva e la sua incidenza sulla determinazione della pena. Il caso in esame riguarda un individuo condannato per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio, seppur in una fattispecie di lieve entità. La decisione offre importanti chiarimenti su come i precedenti penali specifici influenzino la valutazione della pericolosità sociale e, di conseguenza, il trattamento sanzionatorio.
I Fatti del Processo
Il ricorrente era stato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di spaccio di stupefacenti di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando un errore nella gestione del trattamento sanzionatorio. In particolare, le censure si concentravano su tre punti:
1. L’illegittimo riconoscimento della recidiva, basato unicamente sui precedenti penali senza una valutazione concreta della condotta.
2. Il diniego della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4, c.p.), nonostante l’esiguo profitto ricavabile.
3. La quantificazione della pena al di sopra del minimo edittale, ritenuta ingiustificata.
L’Analisi della Corte sulla Recidiva
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e ripetitivo di doglianze già adeguatamente respinte dalla Corte di Appello. Il punto centrale della motivazione riguarda proprio la recidiva. I giudici hanno sottolineato come la Corte di merito avesse correttamente giustificato la sussistenza della recidiva qualificata.
La decisione non si è basata su un mero automatismo legato alla presenza di precedenti, ma su un’analisi concreta della situazione personale dell’imputato. Sono stati valorizzati non solo i plurimi precedenti specifici in materia di stupefacenti, ma anche due sentenze divenute irrevocabili pochi mesi prima dei fatti contestati e la pendenza di un altro procedimento per lo stesso reato, commesso appena due mesi prima. Questo quadro, secondo la Corte, non poteva che essere interpretato come un “indice di maggiore pericolosità”, legittimando pienamente il riconoscimento della recidiva.
Il Diniego delle Attenuanti e la Quantificazione della Pena
Anche le altre censure sono state respinte. Per quanto riguarda la circostanza attenuante, la Corte ha ritenuto puntuale la motivazione dei giudici di appello, che l’avevano negata sulla base del possesso, da parte dell’imputato, di una somma di 700 euro in contanti, considerata “niente affatto modesta” e quindi incompatibile con un lucro minimale.
Infine, circa la commisurazione della pena, la Cassazione ha ribadito il corretto uso del potere discrezionale da parte del giudice di merito. Lo scostamento dal minimo edittale è stato giudicato legittimo in quanto fondato su parametri oggettivi, come la gravità del fatto e la personalità dell’imputato, desumibile proprio dalla sua storia criminale.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha fondato la propria decisione di inammissibilità sulla correttezza logica e giuridica della sentenza impugnata. I giudici di merito avevano fornito una risposta puntuale a tutte le censure mosse dalla difesa, esercitando correttamente il proprio potere discrezionale. La valutazione della recidiva è stata ancorata a elementi concreti e specifici (precedenti recenti e specifici, procedimenti pendenti), che delineavano un quadro di persistente inclinazione a delinquere. Questo ha giustificato non solo il riconoscimento della recidiva stessa, ma anche una pena superiore al minimo e il rigetto delle richieste di attenuanti. La decisione si allinea all’orientamento consolidato secondo cui il giudice deve motivare le proprie scelte sanzionatorie basandosi su tutti gli elementi a sua disposizione per valutare la personalità del reo.
Conclusioni
La sentenza in commento riafferma un principio fondamentale: la recidiva non è un automatismo, ma il risultato di una valutazione ponderata della storia criminale del soggetto. I precedenti specifici, soprattutto se recenti, costituiscono un indice qualificato di maggiore pericolosità sociale che il giudice ha il dovere di considerare nella commisurazione della pena. Questa pronuncia serve da monito: la lieve entità del singolo fatto di reato non è sufficiente a neutralizzare una comprovata e persistente tendenza a commettere crimini della stessa specie, la quale giustifica un trattamento sanzionatorio più severo.
Quando può essere riconosciuta la recidiva in un processo penale?
La recidiva può essere riconosciuta non solo sulla base dell’esistenza di precedenti condanne, ma quando questi, in particolare se specifici e recenti, dimostrano un’effettiva e maggiore pericolosità sociale dell’imputato, come indicato dalla sua storia criminale complessiva.
Perché nel caso di specie è stata negata l’attenuante del danno di speciale tenuità?
L’attenuante è stata negata perché l’imputato è stato trovato in possesso della somma di 700 euro in contanti, che la Corte ha giudicato ‘niente affatto modesta’ e quindi incompatibile con il presupposto di un lucro minimo o di un danno di speciale tenuità.
Un giudice può applicare una pena superiore al minimo anche per reati considerati di ‘lieve entità’?
Sì, il giudice può discostarsi dal minimo edittale anche per reati di lieve entità. La decisione deve essere motivata sulla base di parametri oggettivi, come le modalità del fatto e la personalità dell’imputato, così come emerge dai suoi precedenti penali.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44071 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44071 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 07/02/1991 in Senegal
avverso la sentenza del 15/01/2024 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Torino confermava la pronuncia di primo grado con la quale il Tribunale aveva condannato COGNOME per il delitto di detenzione a fini di spaccio di stupefacenti qualificato ai sensi dell’ 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso tale sentenza ha presentato ricorso l’imputato, per mezzo del suo difensore, articolando un unico motivo di ricorso in ordine al trattamento sanzionatorio in quanto la recidiva era stata riconosciuta in base ai soli precedenti penali senza valutare l’occasionalità della condotta; la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. era stata negata nonostante l’entità minimale del lucro in astratto ottenibile; la pena non era stata quantificata nel minimo edittale.
Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell’art 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile perché genericamente proposto e reiterativo di censure alle quali la Corte di appello ha fornito puntuale e corretta risposta.
La sentenza impugnata, senza incorrere in vizi logici e giuridici, ha riconosciuto la sussistenza della contestata recidiva qualificata richiamando sia i plurimi precedenti specifici del ricorrente (da ultimo le sentenze divenute irrevocabili il 2 marzo 2022 e 18 giugno 2022 per reati in materia di stupefacenti) sia i procedimenti pendenti per il medesimo reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, l’ultimo dei quali commesso due mesi prima del fatto per cui si procede, concludendo come detto sviluppo costituisca indice di maggiore pericolosità (pag. 3).
Altrettanto puntuale è la motivazione che ha negato la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. fondata sul possesso, da parte di NOME, della somma contante di 700 euro mostratasi in concreto niente affatto modesta.
Infine, circa la commisurazione della pena la sentenza impugnata ha dato conto del ridotto discostamento dai minimi edittali facendo corretto uso del proprio potere discrezionale secondo parametri oggettivi evincibili dal complesso argomentativo della sentenza, in rapporto al fatto e alla personalità dell’imputato (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 267949).
Alla stregua di detti argomenti il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
La Consigliera estensora
esidente
Così deciso il 7 novembre 2024