Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32590 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32590 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 14/06/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME; udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale, che ha invocato il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni rassegnate dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, che si son riportati ai motivi di ricorso invocando l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
NOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, tempestivo ricorso, affidato a tre motivi.
2.1. Col primo motivo denuncia erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza, per i capi 3) e 4) di imputazione, dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 1, lett.b) dPR 309/90, in relazione all’art. 112, comma 1, lett.b), cod. pen.; e correlata mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto.
Nota la lettera dell’art. 80, comma 1, lett b) dPR 309/90, e il rinvio ivi dispost all’art.112, comma 1, lett b) cod.pen., lamenta la difesa che, al cospetto di una
rubrica della contestazione già “generica e confusa” (come “promozione e direzione della cooperazione del correo” -capo 3- e come “promozione e direzione della altrui condotta criminosa” -capo 4-, con ciò “assemblando” promozione e organizzazione, da riferirsi al reato, alla direzione, che si riferisce all’attività concorrenti) da un lato il Giudice per le indagini preliminari (rectius Giudice dell’udienza preliminare) ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante, pur contestata, al capo 3, come promozione e direzione della altrui condotta criminosa “con riferimento alla attività di direzione di altri soggetti”, astrattamen corrispondente alla seconda ipotesi dell’art. 112, n. 2, cod.pen. (in concreto in relazione alla “direzione” di un solo soggetto, il parente COGNOME, invece, secondo prospettazione difensiva, operante quanto meno in posizione di parità); e, quanto al capo 4, ove inizialmente era contestata anche a COGNOME, ma era stata per lui esclusa, come promozione e direzione della altrui condotta criminosa- con riferimento alla “ideazione e direzione dell’attività delittuosa”, peraltro senza alcun riferimento alla direzione della condotta dell’unico residuo concorrente, COGNOME.
La Corte di appello, a fronte dei precisi motivi di appello sul punto, avrebbe reso motivazione palesemente generica, carente o, al massimo illogica, laddove ne avrebbe ritenuto la sussistenza essendo COGNOME «personaggio certamente centrale e nevralgico» e «punto di riferimento dell’attività di spaccio», con argomentazioni sostanzialmente disancorate dalla piattaforma probatoria disponibile; omettendo di affrontare la consistenza, in diritto, delle due diverse ipotesi; con errore metodologico indubbio.
2.2. Col secondo motivo denuncia erronea applicazione di legge penale con riferimento all’art. 99, comma 4, cod.pen., e mancanza o manifesta illogicità della motivazione sulla mancata esclusione degli effetti sanzionatori della recidiva reiterata, apoditticamente fondata sui precedenti e non sostenuta da alcuna concreta motivazione sulla maggiore pericolosità e sulla più spiccata colpevolezza che la stessa mostrerebbe.
COGNOME ha tre precedenti, tutti risalenti nel tempo, uno per un furto, in concorso, per fatto del 2001 e uno per falsità materiale, per fatto del 2009, il terzo, l’unico che la difesa consideri significativo, per omicidio in concorso, per un fatto del 2005, per cui è stata riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 116 cod.pen. e, nel 2015, è stata concessa la misura alternativa della semilibertà; in ordine a tali ultime circostanze la Corte, che nell’affrontare il tema della recidiva ha richiamato la sentenza di primo grado, si sarebbe limitata a darne atto, senza effettuare alcun giudizio sul relativo valore. Nessuna considerazione è stata svolta, del pari, sulla distanza temporale tra i precedenti, aspecifici, e la commissione dei reati per cui si procede.
2.3. Col terzo motivo lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul trattamento sanzionatorio, in specie con riferimento alla pena base, ritenuta congrua in anni 9 di reclusione ed euro 26.000 di multa, agli aumenti per la continuazione interna, di ulteriori mesi 9 di reclusione ed euro 4.000 di multa quanto al reato di cui al capo 3, valutato dal Giudice per le indagini preliminari il più grave in concreto, in considerazione della contestata aggravante di aver diretto il correo.
La motivazione del Tribunale è stata genericamente svolta con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod.pen.. La determinazione della pena è stata oggetto di specifico motivo di appello. La Corte ha ritenuto che «Il giudice di primo grado ha fatto corretto uso dei parametri di legge (gravità dei fatti lqualità e quantità della droga, personalità del reo, sua collocazione in posizione verticistica nell’attività di promotore e di direzione nell’esecuzione dell’attività illecita, natura degli altri rea contestati, collegamenti con il traffico anche internazionale, vasto giro in ambito nazionale dell’attività di smistamento) nella commisurazione della pena in relazione al 3», concludendo «anche sotto questo profilo la sentenza merita piena conferma».
Rileva la difesa che le ragioni della ritenuta equivalenza delle attenuanti generiche alle contestate aggravanti all4 recidiva contestata, il riferimento ai «numerosi e gravi precedenti penali» del ricorrente, in parte disancorati dalla realtà delle emergenze processuali, sono stati valutati reiteratamente contra reum , erroneamente incidendo sulla dosimetria della pena e con omissione delle argomentazioni giustificative.
Coi motivi nuovi, del 10 marzo 2025, la difesa lamenta, in via ulteriore, erronea applicazione della legge penale -artt. 80, comma 1, lett. b), dPR 309/90 in relazione all’art. 112, comma 1, lett b), cod. pen.-, e travisamento della prova rilevante ai fini del vizio di motivazione, travisamento asseritamente denunciabile in questa sede di legittimità in quanto già censurato dall’odierno ricorrente nell’atto di appello, afferente alle risultanze delle intercettazioni e all’interrogatorio reso d COGNOME, emergenze da cui la Corte di appello ha tratto fondamento per confermare la aggravante in discussione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.
Nel ricorso, e specificamente in tutti i tre motivi, viene innanzitutto dedotto oltre al vizio di erronea applicazione di legge come partitamente indicato nel
riassumerne le ragioni, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il vizio di contraddittorietà, manifesta illogicità e carenza della motivazione.
Occorre, allora, innanzi tutto premettere che la sentenza di appello deve essere considerata a tutti gli effetti una c.d. “doppia conforme” della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i seguenti parametri: a) la sentenza di appello ripetutamente si richiama alla decisione del Tribunale; b) entrambe le sentenze di merito adottano gli stessi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
1.1. La rilevabilità del vizio di motivazione soggiace alla verifica del rispetto dell seguenti regole: a) il vizio deve essere dedotto in modo specifico in riferimento alla sua natura (contraddittorietà o manifesta illogicità o carenza), non essendo possibile dedurre il vizio di motivazione in forma alternativa o cumulativa; infatti non può rientrare fra i compiti del giudice della legittimità la selezione del possibile vizio genericamente denunciato, pena la violazione dell’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.; b) per il disposto dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il vizio della motivazione deve essere desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, nel senso che esso deve essere “interno” all’atto – sentenza e non il frutto di una rivisitazione in termini critici della valutazione del materia probatorio, perché in tale ultimo caso verrebbe introdotto un giudizio sul merito valutativo della prova che non è ammissibile nel giudizio di legittimità: di qui discende, inoltre, che è onere della parte indicare il punto della decisione che è connotata dal vizio, mettendo in evidenza nel caso di contraddittorietà della motivazione i diversi punti della decisione dai quali emerga il vizio denunciato che presuppone la formulazione di proposizioni che si pongono in insanabile contrasto tra loro, sì che l’accoglimento dell’una esclude l’altra e viceversa (Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, deo. 2017, Sanfilippo e altro, Rv. 271635); c) il vizio di motivazione della sentenza, per il disposto dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. può altresì emergere dalla lettura di un atto del processo. In tal caso, per il rispetto del principio di autosufficienza dell’impugnazione, è onere della parte procedere alla allegazione dell’atto specificato che viene messo in comparazione con la motivazione (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071); d) il vizio di motivazione deve presentare il carattere della essenzialità, nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico-argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori Corte di Cassazione – copia non ufficiale
da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spess della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965); e) il vizio di manifesta illogicità della motivazione consegue alla violazione di principi della logica formale diversi dalla contraddittorietà o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen. ovvero all’invalidità o alla scorrettezza dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e le conclusioni.
1.2. Va, inoltre, osservato che in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. riguardanti l’attendibilità d testimoni dell’accusa, non essendo l’inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc pen., ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294).
1.3. Parimenti, non è denunciabile con ricorso in cassazione, la violazione di norme penali processuali sotto il profilo della lett. b) dell’art. 606 cod. proc. pen., essend tale disposizione attinente ai soli casi di erronea applicazione di norme penali sostanziali, e sotto tale ultimo profilo non è legittima la denuncia di vizi dell motivazione surrettiziamente introdotti al di fuori dei circoscritti limiti det dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
1.4. Nell’approcciarsi alla disamina che seguirà, deve altresì richiamarsi il costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in presenza di un articolato compendio probatorio, non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è necessario, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma possibilistica) e successivamente procedere ad una esame globale degli elementi certi, per accertare se la – astratta – relativa ambiguità dì ciascuno di essi isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato (nella specie, atteso l’orizzonte del ricorso, gl elementi circostanziali dello stesso) “al di là di ogni ragionevole dubbio” e cioè, con una alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro
nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321; Sez. 1, n. 51457 del 21/06/2017, Taglio e altro, Rv. 271593).
1.5. Ciò premesso la disamina che segue dimostrerà la non configurabilità del vizio in tal senso reiteratamente denunciato.
Rilevato, allora, che la responsabilità di COGNOME è stata affermata anche con riferimento alla contestata aggravante di cui all’art. 80, comma 1, lett b). dPR 309/90, si osserva in via preliminare che il primo motivo, ancor prima che infondato, risulta inammissibile per genericità “estrinseca”, sostanzialmente riproponendo le stesse censure proposte in appello e non confrontandosi con la motivazione resa.
Le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01; conformi, ex multis, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, COGNOME, Rv. 277811 – 01; Sez. 3, n. 12727 del 21/02/2019, COGNOME, Rv. 275841 – 01) hanno precisato che i motivi di impugnazione (sia in appello che in cassazione) sono affetti da genericità «estrinseca» quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato), posto che l’atto di impugnazione «non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato» (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
3. E’, comunque, manifestamente infondato.
Il rinvio, da parte dell’art. 80 dPR 309/90, all’art. 112, comma 1, lett b), cod.pen., comporta, ove la stessa venga riscontrata, l’aggravamento della pena in relazione alla necessità di parametrare la responsabilità di coloro che concorrono alla commissione del reato sulla base del contributo da ciascuno apportato alla realizzazione del fatto; viene, infatti, punito più severamente chi abbia promosso, organizzato o diretto la commissione del reato, proprio a causa del suo ruolo di preminenza all’interno del concorso di persone.
3.1. La contestazione è, nonostante il diverso avviso della difesa, precisa nell’imputare entrambe le condotte di promozione e direzione (“promozione e direzione della cooperazione del correo” -capo 3- e “promozione e direzione della altrui condotta criminosa” -capo 4-).
3.2. Questa Corte è ferma nell’affermare che fini della circostanza aggravante prevista dall’art. 112, comma primo, n. 2) cod. pen., il promotore è colui che ha
ideato l’impresa delittuosa, perché ne ha avuto l’iniziativa, riuscendo a persuadere altri dell’opportunità di attuarla, mentre l’attività di direzione richiede svolgimento e l’esternazione di attività preparatorie (Sez. 1, n. 2645 del 07/06/2011, dep. 2012, Carlino, Rv. 251664 – 01).
3.3. La Corte di appello, investita della questione oggetto del gravame principale, dei motivi aggiunti e di una memoria depositata in limine litis, ha ritenuto «il ruolo di predominio esercitato» dal ricorrente «di tutta evidenza».
Ed ha dato ampia contezza delle fonti probatorie che tanto attestano, indicate, con dovizia di particolari, nel dato, oggettivo, dell’essere il ricorrente personaggio centrale, nevralgico, di tutta l’attività illecita, per gestire i propri contatti fornitori, anche sudamericani, in relazione al fumo, e quelli con i destinatari dei ben rilevanti quantitativi di droga smerciati, forieri di un ingente traffico da l organizzato, sì rilevante da render necessario l’avvalimento di personaggi a lui collaterali, in relazione ai quali si poneva in posizione apicale nella gestione di un giro di affari cospicuo, con collegamenti col traffico internazionale, soggetti individuati nel cognato e coimputato COGNOME e nel ‘protetto’ COGNOME, a sua volta avvalsosi dell’ausilio di COGNOME NOME. Assunto peraltro frutto delle stesse, chiare, dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di interrogatorio reso dinanzi al pubblico ministero il 7 dicembre ’22, quando ricostruiva il rapporto con COGNOME rivendicandone lo stato di suo subordinato, e si assumeva tutta la responsabilità per la condotta del congiunto, ancora una volta dichiarando che sempre costui aveva agito in posizione a lui subalterna. Assunto, ancora, con evidenza desumibile dalle conversazioni intercettate, nel corso delle quali anche altri interlocutori, per le vicende di droga, a lui si rivolgevano con modalità deferenti; o da quanto dichiarato da coimputati, in primis COGNOME, che in sede di interrogatorio aveva indicato l’attuale ricorrente quale proprio fornitore di cocaina. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.4. Si tratta di argomentazioni, aderenti alle risultanze probatorie, che elidono la tesi difensiva del concorso con COGNOME e COGNOME su basi essenzialmente paritarie, già proposta con l’atto di appello dalla difesa, che propugnava una diversa, alternativa e più favorevole all’odierno ricorrente loro interpretazione (in merito ai motivi sottesi ai rapporti coi detti coimputati, inerenti a meramente possibili, assolutamente non provate, ragioni relazionali) invero correttamente e fondatamente sconfessata dalla Corte territoriale, e che, comunque esulando dagli orizzonti del giudizio di legittimità, non è giustificata dalla base conoscitiva disposizione da cui, invece, si evince -come sinteticamente dedotto- il ruolo di coordinamento dell’azione dei correi svolto dal ricorrente nella fase ideatoria, preparatoria e pianificatoria degli illeciti, in vista della successiva perpetrazione dei reati, sotto la duplice caratterizzazione di ideazione e direzione, esattamente nel solco della elevata contestazione.
Manifestamente infondato è, anche, il secondo motivo, con cui la difesa contesta la mancata esclusione degli effetti sanzionatori della contestata recidiva reiterata. 4.1. La Corte di appello, nel confermare anche in parte qua la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare, avverso cui la difesa aveva svolto apposito motivo di appello, e nel confermare la valutazione del Tribunale in ordine alla gravità intrinseca della contestazione elevata al ricorrente (descritto in posizione nevralgica, apicale rispetto ai concorrenti, al centro di importanti traffici di droga sia cocaina che marijuana, in rilevanti quantitativi e, quindi, regista di un giro d affari molto cospicuo, con collegamenti anche con il traffico internazionale, addirittura con il mercato dominicano per l’approvvigionamento delle droghe leggere), ne ha rinnovato l’attestazione di gravità tale da dimostrare «A fronte delle precedenti condanne, una anche per omicidio in relazione al quale lo stesso pur essendogli stata riconosciuta l’attenuante del concorso cosiddetto anomalo aveva subito una condanna a 15 anni di reclusione» il rientro nel circuito criminale come dimostrativo della sua maggiore pericolosità e dell’ancora più spiccata colpevolezza, tanto più al cospetto della precedente pesante condanna e della correlata lunga detenzione esitata benevolmente, con misura alternativa, dalla quale tuttavia non aveva tratto positivo spirito di emenda ai fini del recupero della realtà sociale che lo aveva accolto ormai da diversi anni.
4.2. Tanto secondo prospettazione difensiva / in virtù di percorso logico-giuridico errato e con motivazione viziata da considerazioni eccentriche rispetto al doveroso vaglio degli effetti concretamente sanzionatori delle recidiva contestata in relazione a precedenti vetusti e aspecifici.
4.3. Osserva il Collegio che la giurisprudenza della Corte è nel senso che «in tema di recidiva facoltativa, è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa» (Sez. 2, n. 51257 del 16/11/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782 – 01).
Già con sentenza n. 20798/2011 (ud. 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664 – 01), le Sezioni Unite della Corte hanno evidenziato che il giudizio sulla recidiva non riguarda l’ «astratta pericolosità» del soggetto o un suo status personale svincolato dal fatto reato. Esso postula, piuttosto, la valutazione della gravità dell’illeci commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva – sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale – quale aspetto della colpevolezza e della capacità di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei
precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo.
Si è poi affermato che, in caso di contestazione della recidiva nelle ipotesi previste da uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grad di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello d omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419 – 01; Sez. 6, n. 43438 del 23/11/2010, COGNOME, Rv. 248960 – 01).
Ancora, si è precisato che il giudice è tenuto a verificare «se e in qual misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice» (Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284425 01).
Tra gli elementi da tenere in considerazione per i motivi di cui sopra, vi è anche l’eventuale lasso di tempo trascorso tra le pregresse fattispecie e quella attualmente giudicata, certamente indice di una relazione qualificata (Sez. 3, n. 16047 del 14/03/2019, COGNOME, n.m.).
Tale dovere di puntuale valutazione, tuttavia, può ritenersi adempiuto anche nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782), e può essere adempiuto anche implicitamente, ove si dia conto della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, come nel caso in cui la sentenza richiami la negativa personalità dell’imputato desumibile dalla particolare pericolosità sociale della condotta da costui posta in essere (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, Rv. 267130 – 01).
E’ comunque necessario che, dal complesso della motivazione, emerga che il giudice ha valutato i parametri di cui sopra e ritenuto che il nuovo delitto costituisca espressione di una «maggiore capacità delinquenziale». A tal proposito va ribadito che «ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo
egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”», (Sez. 3, Sentenza n. 33299 del 16/11/2016 Ud. , dep. iI2017, Del COGNOME, Rv. 270419 – 01).
4.3. Tanto premesso si rileva che la motivazione resa dalla Corte di appello territoriale è corretta in diritto e adeguatamente motivata, senza cesure logicoargomentative, sicché si sottrae alle critiche difensive che, peraltro, come già dedotto per il primo motivo, sono prive della necessaria specificità, in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni (giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili i questa sede) in virtù delle quali la Corte di appello ha disatteso il corrispondente motivo di gravame, legittimamente valorizzando la premessa gravità dei fatti e la “valenza criminogena” della contestata recidiva, in presenza della nuova commissione di plurimi reati , e di un articolato disegno criminoso.
4.4. La manifesta infondatezza delle censure difensive deriva infatti e in ogni caso dalla circostanza dell’avere la Corte territoriale adeguatamente vagliato la gravità intrinseca della contestazione, ove, a pagina 8 (cfr. § 4.1.), ha descritto icasticamente addebito e ruolo del ricorrente, e, vagliando colpevolezza e capacità di realizzazione dei nuovi reati, quelli sub iudice, caratterizzati dalla funzione apicale e direttiva del ricorrente, verificato la relazione tra i precedenti (tre, t rilevanti, particolarmente significativo quello per omicidio -qualificato dalla entit della condanna nonostante il riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 116 cod.pen.-) e il nuovo illecito, ritenuto la riprovevolezza della condotta soverchia rispetto alla vetustà dei precedenti, negando occasionalità della ricaduta nel circuito criminale (allorquando nessuna rilevanza ha ritenuto potesse avere la concomitanza del fatto con la pandemia , evenienza allegata dal COGNOME in suo favore) e ritenendola, invece, indicativa di una perdurante e colpevole inclinazione al delitto, nonostante la lunga esperienza detentiva che pure avrebbe potuto/dovuto spiegare efficacia deterrente e funzione rieducativa, evidentemente frustrata nonostante il ricorrente abbia, anche, da ultimo, fruito di misura alternativa.
Tanto -si legge sia nello spaccato motivazionale in cui, espressamente, si esamina il relativo motivo di appello, sia dal complesso della motivazione- determina la certezza del fatto che la Corte territoriale ha ritenuto, con corretta applicazione del disposto normativo, il nuovo delitto espressione di una maggiore capacità delinquenziale, sulla scorta della verificata sussistenza di quei parametri individualizzanti che, finalizzati ad evitare la automaticità della sua applicazione,
si pongono in linea con la ratio di rieducazione che, ex art. 27, comma 3, Cost. rappresenta il fondamento dell’intero sistema carcerario, e di cui le aggravanti previste dall’art. 99 cod.pen. costituiscono “supplemento”.
Manifestamente infondato, e dunque inammissibile oltre che per aspecificità intrinseca ed estrinseca è, pure, il motivo sulla dosimetria della pena.
5.1. La graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen..
Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01).
Nel giudizio di cassazione è dunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.).
5.2. La motivazione resa dalla Corte di appello, adesiva rispetto a quella resa dal Tribunale, è sintetica, ma rispettosa del dettato normativo, nella misura in cui, a proposito della determinazione della pena base per il reato di cui al capo 3), in concreto più grave, di acquisto detenzione e cessione di grammi 1169,33 di cocaina, ritiene congrua la misura già determinata in primo grado alla luce dei parametri di legge espressamente indicati in gravità dei fatti qualità e quantità della droga, personalità del reo, sua collocazione in posizione verticistica nell’attività di promotore di direzione nell’esecuzione delle attività illecite, natu degli altri reati contestati, collegamenti con il traffico anche internazionale, vast giro in ambito nazionale delle attività di smistamento.
In ordine, infine, all’ulteriore doglianza sviluppata coi motivi nuovi, deve rilevarsi che la mancata instaurazione di un corretto rapporto processuale per effetto del presente ricorso non ne consente la disamina perché l’inammissibilità
dei motivi principali si estende ai motivi nuovi, quali si configurano le doglianze di concernenti questioni non attinte dal ricorso principale (v, ex multis, Sez. 1, n. 5182 del 15 gennaio 2013, Rv. 254485; Sez. 3, n. 14776 del 22 gennaio 2004, COGNOME, Rv. 228525).
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26 marzo 2025
La Co sigliera est.
Il Presidente