Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28969 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28969 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato ad Alba il 20/02/1969
avverso la sentenza dell’08/10/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Pistoia con la quale l’imputato era stato condannato, alla pena, con l’applicazione della recidiva reiterata specifica e infraquinquennale, di anni uno e mesi otto di reclusione, in relazione al reato di cui all’art. 5 d.lgs marzo 2000, n. 74 per avere, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, omesso la presentazione delle dichiarazioni fiscali per dette imposte per l’anno 2011, con evasione dell’Iva superiore alla soglia di punibilità. In Pistoia il 30/09/2012.
Avverso la sentenza di condanna ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, capo B), erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in punto accertamento del superamento della soglia di punibilità. Argomenta il ricorrente che la motivazione sarebbe apodittica ed illogica nella parte in cui, la corte territoriale, avrebbe disatteso la prospettazio difensiva di una mera duplicazione di alcuni gruppi di fatture (uguali per data, soggetto destinatario e imponibile), che, se correttamente valutata, avrebbe dovuto condurre all’esclusione, quantomeno in termini dubitativi, dal calcolo dell’ammontare dell’imponibile, delle fatture duplicate con conseguente mancato superamento della soglia di punibilità.
Sotto altro profilo la motivazione sarebbe caratterizzata dall’utilizzo di presunzioni tributarie che non sono utilizzabili in sede penale. Né sarebbe stata compiuta alcuna attività investigativa per l’accertamento del fatto di reato.
Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione all’art. 99 cod.pen. Errata applicazione della recidiva reiterata specifica infraquinquennale, esclusione della recidiva reiterata in considerazione del fatto che i reati di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, per cui ha già riportato condanna, non sarebbero della stessa indole. Assenza di motivazione in relazione al giudizio di pericolosità essendo questa fondata sulla mancata esplicazione di efficacia deterrente, errata applicazione della recidiva conseguente all’estinzione degli effetti penali delle precedenti condanne per applicazione del condono (sentenza del 17/01/2007), mentre per le restanti tre condanne (del 2010 e 2011) la pena pecuniaria risulta corrisposta. Assenza di riconoscimento in precedenza dello status di recidivo.
Con il terzo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen., inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 81 comma 2 cod.pen. mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con precedenti condanne.
Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per la proposizione di motivi meramente ripetitivi di quelli già devoluti ai giudici dell’impugnazione ed anch manifestamente infondati.
La censura del primo motivo di ricorso, meramente ripetitiva della stessa censura già devoluta ai giudici dell’impugnazione e da quei giudici disattesa, è manifestamente infondata.
Sotto un primo profilo la censura è volta a richiedere, nuovamente, una lettura alternativa degli elementi di prova e a contestare, in via del tutto generica la motivazione della corte territoriale sul tema della c.d. duplicazione delle fatture
Sotto un primo profilo, è indirizzo interpretativo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, nei reati tributari, spet esclusivamente al giudice penale il compito di determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta e non versata in base a una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dal giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria (Sez. 3, n. 50157 del 27/09/2018, Fiusco, Rv. 275439 – 01).
Quanto al caso in esame, i giudici del merito, lungi dal fondare il giudizio di responsabilità su presunzioni tributarie, sono pervenuti alla determinazione dell’imposta evasa con logica argomentazione basata su dati documentali provenienti dall’imputato. Segnatamente sulla scorta delle fatture attive messe a disposizione dallo stesso imputato, con deduzione dei costi come risultanti dalle fatture passive (cfr. pag. 3), anche tenendo conto della duplicazione della fattura n. 18 con detrazione del suo ammontare dall’imponibile, era stato determinato un imponibile di C 421.622,00 da cui una iva evasa pari a C 84.324,40.
Ora il ricorrente ripropone, senza sostanziali elementi di novità, la medesima censura difensiva, prospettando nuovamente l’alternativa tesi difensiva della duplicazione per mero errore di alcuni gruppi di fatture che presentavano la stessa data, lo stesso importo e lo stesso destinatario, tesi difensiva congruamente e logicamente disattesa dai giudici territoriali. I giudici territoriali hanno rite meramente ipotetica l’alternativa prospettazione difensiva della duplicazione, non risultando decisiva la circostanza che le fatture presentino identità di taluni dat (destinatario, importo e data di emissione) per escludere che si trattasse di una pluralità di prestazioni. In ogni caso, rileva, il Collegio, che il ricorso nepp allega, secondo la prospettazione difensiva, che dal calcolo dell’iva evasa, secondo l’alternativa tesi difensiva, sarebbe inferiore alla soglia di punibilità. Da cui anc la genericità del ricorso.
Si osserva, peraltro, che neppure risulta che il ricorrente si fosse difeso, sia in sede penale che tributaria, sostenendo l’errore per avere duplicato le fatture, con numerazioni progressive, né le ragioni per quali non aveva posto rimedio all’errore. Peraltro, osserva il Collegio come la sentenza impugnata dà atto che lo stesso consulente dell’imputato, nel rilevare che alcune fatture presentavano elementi uguali, ma diversa numerazione, aveva solo preso in considerazione le fatture n. 17 e 18, ritenendo che solo la n. 18 fosse una duplicazione e scomputandola dall’imponibile come avevano ritenuto anche i giudici del merito.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile sotto tutti i profili.
La recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale è stata correttamente ritenuto e applicata. ·f#
Manifestamente infondata è Vcensura che contesta la sussistenza della recidiva specifica ritenendo non configurabile la stessa indole tra i reati per cui ha riportato condanne (omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali) e il fatto per cui si procede (omesso pagamento delle imposte) posto che in entrambi i casi si verte nel mancato pagamento di imposte dovute.
In tema di recidiva, devono intendersi “reati della stessa indole” ex art. 101 cod. pen. non solo quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur se previsti da testi normativi diversi, presentano, in concreto, caratteri fondamentali comuni, in ragione della natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, da cui la correttezza della decisione fondata sulla circostanza del mancato versamento, in entrambi i casi, di quanto dovuto all’erario.
In secondo luogo, l’indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l’esecuzione, non ha tuttavia efficacia ablativa rispetto agli altri effetti scaturenti dalla sente di condanna, tra i quali rientra la recidiva, che può quindi essere contestata anche in relazione ai reati la cui pena, inflitta con precedenti sentenze definitive, sia sta condonata (Sez. 2, n. 34147 del 30/04/2015, Rv. 264629 – 01).
Il pagamento della pena pecuniaria, che costituisce l’esecuzione della sentenza, non vale di certo ad eliminare gli effetti della condanna, tra cui vi è l recidiva.
Le Sezioni Unite COGNOME hanno affermato che, in tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficien che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878 – 01).
Infine, è inammissibile perché priva di effettivo confronto critico la doglianza di assenza di motivazione in punto applicazione degli effetti della recidiva.
La sentenza impugnata contiene, invero, una congrua motivazione non solo fondata, come assume il ricorrente, sull’assenza di effetto deterrente, e argomenta che i precedenti penali non attestano una mera ricaduta nel delitto, ma dimostrano una attualizzata e accresciuta pericolosità sociale.
Il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile per genericità. Il ricorrent censura la violazione dell’art. 81 cod.pen. deducendo in via del tutto generica la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del reato continuato.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616
el
cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 25/06/2025