Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13160 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13160 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 28/01/2000
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso udito il difensore
E’ presente, in sostituzione dell’Avvocato NOME COGNOME del foro di ROMA per nomina scritta a sostituto processuale l’Avvocato COGNOME NOME del foro di Roma, in difesa di NOME la quale espone le ragioni poste alla base del ricorso e ne chiede l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma, in ‘parziale riforma della sentenza emessa il 19/01/2023 dal Tribunale di Roma nei confronti di NOME COGNOME ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in mesi sei di reclusione ed € 1.200,00 di multa, per il reato previsto dall’art.73, connma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, sanzione così determinata previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata recidiva.
La Corte ha premesso la ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado sulla base delle dichiarazioni rese dall’operante, del verbale di sequestro e della consulenza chimica; elementi dai quali era risultato che l’imputato, scendendo da una vettura, aveva lasciato cadere in terra un oggetto contenente tre involucri al cui interno era stata rinvenuta sostanza stupefacente del tipo hashish, da cui erano ricavabili 84 dosi.
Ha dedotto l’infondatezza del motivo di appello inerente alla penale responsabilità dell’imputato sulla base degli elementi già valutati dal Tribunale e consistenti, in particolare, nelle modalità di confezionamento dello stupefacente e nel fatto che, alla vista degli operanti, lo stesso aveva cercato di disfarsi della sostanza adducendo giustificazioni non plausibili in merito alla sua presenza sul posto; ritenend6quindi tali elementi del tutto incompatibili con una detenzione per uso esclusivamente personale.
Ha ritenuto non applicabile la causa di non punibilità prevista dall’articolo 131bis cod.pen., in ragione della non particolare tenuità del fatto e dei precedenti penali gravanti sull’imputato.
Ha invece ritenuto fondato il motivo di appello concernente il trattamento sanzionatorio riconoscendo al prevenuto le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva, rideterminando quindi la pena nel senso suddetto.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando quattro motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto la nullità o comunque il vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen., in merito al mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art.131bis cod.pen..
Ha dedotto che la motivazione adottata dalla Corte doveva ritenersi del tutto astratta e quindi, di fatto, come omessa; ritenendo che il giudice d’appello non avesse valutato connpiutamente tutte le peculiarità della fattispecie concreta
trascurando gli indicatori positivi evidenziati dalla difesa quali la giovane età dell’imputato, la condotta maldestra tenuta e il modesto quantitativo della sostanza, evidenziando altresì il positivo comportamento processuale dell’imputato medesimo, che aveva ammesso l’addebito e poi intrapreso un percorso di recupero.
Con il secondo motivo ha dedotto la nullità della sentenza ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b, per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 106 cod.pen., 131bís cod.pen. e 445 cod.proc.pen..
Ha dedotto che la sentenza si poneva in palese contrasto con il citato articolo 131bis cod.pen., ritenendo che la Corte avrebbe basato il diniego sulla dedotta abitualità del fatto quando, invece, l’imputato era gravato da un solo precedente specifico in relazione alla quale era peraltro stata pronunciata una dichiarazione di estinzione ai sensi dell’articolo 445, comma due, cod. proc. pen..
Con il terzo motivo ha dedotto la nullità della sentenza ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 99 e 106 cod.pen. e 445 cod.proc.pen..
Ha dedotto che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la recidiva non potendosi tenere conto a tali fini dei reati per i quali era intervenuta una causa di estinzione.
Con il quarto motivo ha dedotto la nullità della sentenza e il vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) e c), cod.proc.pen., per erronea applicazione dell’art.73, comma 5, T.U. stup..
Ha dedotto che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto perfezionato il fine di spaccio non essendo stato evidenziato alcun elemento che potesse costituire prova della destinazione della sostanza stupefacente allo smercio e tanto in considerazione del concreto dato quantitativo nella sostanza medesima.
Il Procuratore generale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, limitatamente al terzo motivo.
Va pregiudizialmente esaminato, per ragioni di anteriorità logica, il quarto motivo di ricorso, con il quale la difesa dell’imputato ha contestato la sussistenza del fine di spaccio assumendo che la sostanza rinvenuta in possesso del prevenuto sarebbe stata destinata a uso personale.
Il motivo è inammissibile in quanto meramente reiterativo di argomentazioni già proposte di fronte al giudice di appello e da questi rigettate con motivazione congrua e non palesemente illogica.
Sul punto, fermo restando che la destinazione all’uso personale della sostanza .stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e non è onere dell’imputato darne la prova, gravando invece sulla pubblica accusa l’onere di dimostrare la destinazione allo spaccio (Sez. 6, n. 26738 del 18/09/2020, Canduci, Rv. 279614), va ricordato che la prova della destinazione della sostanza ad uso personale, come quella della sua destinazione allo spaccio, può essere desunta da qualsiasi elemento o dato indiziario che, con rigore, univocità e certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso un procedimento logico adeguatamente fondato su corrette massime di esperienza (Sez. 3, n. 24651 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284842).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha adeguatamente valutato il suddetto presupposto ritenendo sussistente il fine di spaccio sulla base delle modalità di confezionamento della sostanza stupefacente e della mancata giustificazione fornita dal ricorrente in ordine alla sua presenza sul posto in orario notturno; dovendosi anche valutare sul punto l’elemento rappresentato dal fatto che l’imputato aveva intenzionalmente cercato di disfarsi dell’involucro in questione.
Il primo e il secondo motivo, attinenti al rigetto della richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art.131bis cod.pen., possono essere congiuntamente esaminati alla luce della loro stretta connessione logica.
I motivi sono complessivamente inammissibili in quanto omissivi del necessario onere di raffronto con le argomentazioni della sentenza impugnata.
Sul punto, in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art.131bis cod.pen. va premesso che, come rilevato da Sez. U, 25/02/2016, n.13681, Tushaj, Rv. 266590-01, il fatto Particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori, ovvero le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza.
Da ciò consegue che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod.pen.; si richiede, in particolare, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto, tanto sul fondamentale rilievo che il disvalore penale del fatto, per assegnare allo stesso l’attributo della particolare tenuità, dipende dalla
concreta manifestazione del reato, che ne segna perciò il disvalore. Nel pervenire a tale conclusione, le Sezioni Unite hanno ritenuto illuminante il riferimento testuale, contenuto nell’art. 131bis cod. pen., alle modalità della condotta, segno che la nuova normativa non si interessa tanto della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, anche in considerazione delle componenti soggettive della condotta stessa, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena. In altri termini, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, occorre avere riguardo, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, al fatto storico, alla situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente perché non è in questione la conformità del fatto al tipo (la causa di non punibilità presuppone l’esistenza di un fatto conforme al tipo ed offensivo ma il cui grado di offesa sia particolarmente tenue tanto da non richiedere necessità di pena), bensì l’entità del suo complessivo disvalore e questo spiega il riferimento alla connotazione storica della condotta nella sua componente oggettiva e soggettiva.
La necessità di compiere questa complessa valutazione alla luce dell’art.133, comma 1, cod. pen. mette in campo, oltre alle caratteristiche dell’azione e alla gravità del danno o del pericolo, anche l’intensità del dolo e il grado della colpa, per cui essendo richiesta, nell’ottica delle Sezioni Unite, la ponderazione della colpevolezza in termini di esiguità e quindi la sua graduazione, è del tutto naturale che il giudice sia chiamato ad un apprezzamento di tutte le rilevanti contingenze che caratterizzano ciascuna vicenda concreta ed in specie di quelle afferenti alla condotta; ed anche riguardo alla ponderazione dell’entità del danno o del pericolo occorre compiere una valutazione mirata sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze, sicché l’esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza. E potrà ben accadere che si sia in presenza di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentemente, fermo restando che la valutazione debba essere ancorata ad elementi connotanti il caso concreto.
Da tale premessa deriva come la particolare tenuità dell’offesa costituisca la risultante della positiva valutazione tanto delle modalità della condotta nella sua componente oggettiva (avuto riguardo alla natura, ‘alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell’azione secondo quanto prevede l’art.133, comma 1, n. 1 cod. pen.) e nella sua componente soggettiva (avuto riguardo all’intensità del dolo o al grado della colpa secondo quanto prevede l’art. 133, comma 1, n. 3 cod. pen.), quanto del danno o del pericolo (avuto riguardo all’entità del danno o del pericolo cagionato secondo quanto prevede l’art. 133, comma 1, n. 2 cod. pen.); tenendo altresì conto – sulla base della modifica
operata dall’art.1, comma 1, lett.c), n.1), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n.150 – del parametro costituito dal comportamento susseguente al reato.
All’interno di ogni indicatore il giudice è quindi chiamato a operare un bilanciamento tra i vari elementi del caso concreto (riferito all’episodio della vita e alle specifiche e singolari forme di manifestazione del reato, che ovviamente variano da caso a caso pure in presenza della violazione di una stessa norma penale), conseguendone che il giudizio finale di particolare tenuità dell’offesa postula necessariamente la positiva valutazione di tutte le componenti richieste per l’integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel primo comma dell’art. 131bis cod. pen. sono cumulativi quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità e alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla v a lutazione negativa anche di uno solo di essi (infatti, secondo il tenore letterale dell’art. 131bis cod. pen., nella parte del primo comma che qui interessa, la punibilità è esclusa quando, sia per le modalità della condotta che per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità; in senso conforme Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647).
Mentre, quanto al requisito dell’abitualità, lo stesso si pone invece come automatica causa di esclusione della possibilità di applicare il beneficio.
Nel caso di specie, quindi, va rilevato come – dalla stringata ma congrua motivazione della Corte territoriale – si evinca che, all’interno della stessa, non si faccia alcun riferimento al presupposto ostativo dell’abitualità; cio in quanto la valutazione generica in ordine ai precedenti dell’imputato è stata valorizzata solo ai fini del negativo giudizio sulla sua personalità, il tutto unito alla considerazione della non particolare tenuità del fatto ascritto.
Ne consegue che il motivo di ricorso risulta connotato da estrinseca aspecificità, non raffrontandosi lo stesso con le effettive ragioni poste alla base del rigetto del relativo motivo di appello.
4. Il terzo motivo di appello è fondato.
Sul punto, in riferimento alle argomentazioni della difesa, costituisce effettivamente principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello in base al quale, ai fini della recidiva, non possa tenersi conto dei reati per i quali è intervenuta la declaratoria di estinzione ai sensi dell’articolo 445 cod.proc.pen. (Sez. 3, Sentenza n. 7067 del 12/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254742; Sez. 6, n. 6673 del 29/01/2016, COGNOME, Rv. 266119; Sez. 2, n. 994 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282515).
Evidenziando altresì che la causa di estinzione opera di diritto, essendo quindi non rilevante il fatto che la stessa sia stata dichiarata dal giudice dell’esecuzi successivamente alla pronuncia della sentenza di appello.
Trattandosi dell’unica di sentenza di condanna posta alla base della contestazione della recidiva, ne consegue che la stessa deve essere necessariamente esclusa ai fini del calcolo della pena.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio derivante dall’esclusione della predetta circostanza aggravante e con dichiarazione di inammissibilità, nel resto, del ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio, per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma; dichiara inammissibile, nel resto, il ricorso.
Così deciso il 28 marzo 2025
Il Consigliere estensore
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Il President