Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8306 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8306 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato a Vasto il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2023 della Corte d’appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14/02/2023, la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza del 05/10/2018 del Tribunale di Vasto, per quanto qui interessa: a) dichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME in ordine ai reati di truffa in concorso di cui ai capi B), E), G), N), P) e dell’imputazione, per essere gli stessi estinti per prescrizione; b) confermava la condanna dello stesso NOME COGNOME per il reato di organizzazione di un’associazione per delinquere (finalizzata alla commissione di più delitti di truffa) di cui al capo A) dell’imputazione; c) rideterminava la pena irrogata al COGNOME per tale delitto, aggravato dalla recidiva specifica infraquinquennale, in quattro anni e sei mesi di reclusione; d) confermava le statuizioni civili.
Avverso l’indicata sentenza del 14/02/2023 della Corte d’appello di L’Aquila, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei propri difensori, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, articolato in tre profili, con il qual lamenta: «violazione del principio del favor rei in relazione a quello dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, errato calcolo del tempo necessario a prescrivere, nonché violazione e falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato».
2.1. Quanto al primo profilo della «violazione del principio del favor rei in relazione a quello dell’al di là di ogni ragionevole dubbio», il ricorrente deduce che la sentenza del Tribunale di Vasto sarebbe stata «incerta sul ruolo dei sodali» avendo lo stesso Tribunale ammesso «che non era possibile apprezzare la figura di un “capo” o di un “promotore” dell’associazione, capace Ci impartire ordini e direttive od anche di provocare l’adesione di terzi al gruppo precostituito» (pag. 39 della sentenza di primo grado) -, con un conseguente vizio della motivazione della stessa sentenza di primo grado, il quale sarebbe stato reiterato dalla Corte d’appello di L’Aquila, che, con l’affermare «aprioristicamente» che il COGNOME era «coinvolto nel progetto con un ruolo significativamente centrale», avrebbe «ome di rilevare, nonostante lo specifico motivo di gravame, la stessa osservazione dei Giudici del Tribunale di Vasto».
In tale modo, la Corte d’appello di L’Aquila avrebbe violato il principio del favor rei, con il suo corollario in dubio pro reo, discendente dalla regola di giudizio dell’«al di là di ogni ragionevole dubbio» sancita dall’art. 533 cod. proc. pen., atteso che, «n assenza di una precisa ricostruzione in punto di fatto», l stessa Corte avrebbe dovuto «privilegiare la ipotesi meno gravosa, prevista dal secondo comma dell’art. 416 c.p., irrogando la corrispondente sanzione».
2.2. Quanto al secondo profilo dell’«errato calcolo del tempo necessario a prescrivere», il ricorrente premette che la Corte d’appello di L’Aquila ha escluso che il reato di organizzazione di un’associazione per delinquere di cui al capo A) dell’imputazione fosse prescritto in quanto ha determinato il tempo necessario a prescrivere tale reato tenendo conto della recidiva specifica infraquinquennale sia ai fini dell’individuazione del termine prescrizionale “base”, ai sensi dell’art. 157 secondo comma, cod. pen., sia ai fini del terrnine massimo, a sensi dell’art. 161, secondo comma, cod. pen.
Ciò premesso, il COGNOME invoca l’orientamento della Corte di cassazione (sono citate, in particolare, Sez. 3, n. 50763 del 19/10/2016, COGNOME, non massimata, Sez. 6, n. 47269 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265518-01, oltre a un’altra pronuncia la cui indicazione, essendo coperta dalla firma digitale del difensore del ricorrente, non è leggibile) secondo cui, in ossequio al principio del ne bis in idem, sarebbe possibile tenere conto della recidiva ai fini
dell’individuazione o del termine prescrizionale “base” o del termine massimo, ma non contemporaneamente per entrambi tali fini.
2.3. Quanto al terzo profilo della «violazione e falsa applic:azione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato», il ricorrente premette che egli era stato tratto a giudizio per essere stato uno dei promotori dell’associazione per delinquere, mentre il Tribunale di Vasto lo aveva condannato per essere stato uno degli organizzatori della stessa associazione (pag. 39 della sentenza di primo grado).
Ciò premesso, il COGNOME deduce che la Corte d’appello di L’Aquila, motivando solamente che egli era «coinvolto nel progetto con un ruolo significativamente centrale», avrebbe implicitamente confermato la sentenza di primo grado, così incorrendo nella violazione dell’invocato principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sancito dall’art. 521 cod. proc. pen., attesa, appunto, la non corrispondenza tra «la imputazione e la decisione» discendente dal fatto che la condotta di promotore e quella di organizzatore sono «a carattere alternativo ma autonomo» e tra loro diverse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo profilo dell’unico motivo non è consentito.
Come è stato evidenziato anche dal Pubblico ministero, dalla lettura dell’atto di appello del COGNOME risulta che il motivo di appello relativo al capo A) dell’imputazione (pagg. 6-11) concerneva soltanto l’esistenza dell’associazione per delinquere e non la contestazione del ruolo apicale del COGNOME all’interno del sodalizio.
Pertanto, il profilo di doglianza si appalesa come del tutto nuovo, in quanto prospettato per la prima volta davanti alla Corte di cassazione e, perciò, non consentito.
Il secondo profilo dell’unico motivo è manifestamente infondato.
A favore della linea interpretativa sostenuta dal ricorrente si rintracciano isolate pronunce secondo cui, in tema di prescrizione, è possibile tenere conto della recidiva reiterata (o anche, evidentemente, della recidiva di cui al secondo comma dell’art. 99 cod. pen.) ai fini dell’individuazione del termine prescrizionalebase, ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod. pen., o del termine massimo, ai sensi dell’art. 161, secondo comma, cod. pen,, ma non contemporaneamente per tali fini, altrimenti ponendosi a carico del reo lo stesso elemento, in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale (in tale senso: Sez. 3, n. 50763 del 19/10/2016, COGNOME e Sez. 6, n. 47269 del 09/09/2015, COGNOME, citate dal ricorrente).
A fronte di ciò, si registra, però, un consolidato successivo orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, che è condiviso dal Collegio, secondo cui la recidiva reiterata (o anche, evidentemente, quella di cui al secondo comma dell’art. 99 cod. pen.), quale circostanza a effetto speciale, incide sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod. pen. e, in presenza di atti interruttivi, anche sul calcolo del termine massimo, ex art. 161, secondo comma, cod. oen., senza che tale duplice valenza comporti una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale o dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU – come interpretato dalla sentenza della Corte EDU 10 febbraio 2009, COGNOME c. Russia – nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione (Sez. 4, n. 44610 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 28526701; Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, COGNOME, Rv. 273490-01; Sez. 2, n. 5985 del 10/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272015-01; Sez. 3, n. 50619 del 30/01/2017, COGNOME, Rv. 271802-01; Sez. 6, n. 50089 del 28/10/2016, COGNOME, Rv. 268214).
Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente con il profilo di doglianza in esame, del tutto correttamente la Corte d’appello di L’Aquila ha determinato il tempo necessario a prescrivere il reato di cui all’art. 416, primo comma, cod. pen., tenendo conto della ritenuta recidiva specifica infraquinquennale ai fini sia dell’individuazione del termine prescrizionale-base, ai sensi dell’art. 157, secondo comma, cod. pen., sia del termine massimo, ai sensi dell’art. 161, secondo comma, cod. pen., con la conseguenza che il suddetto tempo di prescrizione del reato è stato esattamente calcolato in 15 anni e nove mesi e che lo stesso reato, che era contestato come commesso «fino al 23.12.2011», si sarebbe prescritto solo il 23/09/2027.
Il terzo profilo dell’unico motivo non è consentito (e sarebbe, in ogni caso, manifestamente infondato).
3.1. Si deve rilevare che, secondo quanto è stato dedotto dallo stesso ricorrente, la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza da esso lamentata si sarebbe verificata in primo grado, per averlo il Tribunale di Vasto condannato per essere stato uno degli organizzatori dell’associazione per delinquere, nonostante egli fosse stato tratto a giudizio per essere stato uno dei promotori della stessa associazione.
Ciò nonostante, la questione dell’asserita violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. non risulta essere stata posta dal COGNOME né nel proprio atto di appello né nel corso del giudizio di secondo grado, con la conseguenza che il profilo di doglianza relativo alla suddetta asserita violazione, essendo stato prospettato per la prima volta davanti alla Corte di cassazione, si deve ritenere non consentito. Ciò alla luce della costante giurisprudenza della stessa Corte di cassazione,
secondo cui «questa Corte ritiene con orientamento unanime che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integri una nullità a regime intermedio che, allorché verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo; ne consegue che la stessa non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità, come nella specie verificatosi (Sez. 4, n. 19043 del 29/03/201:7, Privitera, Rv. 269886; Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012, COGNOME COGNOME, Rv. 253217; n. 12620 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 246740; Sez. 5, n. 9281 del 08/01/2009, Parente, Rv. 243161)» (Sez. 2, n. 12792 del 19/02/2020, COGNOME, non massimata).
3.2. Il profilo di doglianza sarebbe, comunque, manifestamente infondato, atteso che il capo A) dell’imputazione enuncia chiaramente i fatti contestati all’imputato, che questi ha potuto esercitare la propria difesa in ordine agli stessi fatti e che i medesimi sono stati semplicemente qualificati giuridicamente come organizzazione (anziché come promozione dell’associazione); qualificazione giuridica che è del tutto legittima, ai sensi dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen., tenuto anche conto del fatto che l’organizzazione e la promozione di un’associazione per delinquere non rappresentano due diverse ipotesi criminose ma solo due distinte modalità di svolgimento di funzioni parimenti “di vertice”.
4. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, altresì, la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME, che si liquidano in complessivi C 3.686,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME, che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 12/01/2024.